LE PROBLEMATICHE DELL’ESSERE
IN FRANCESCO TERRONE
E JORGE GUILLÉN
Angela Ambrosini,
collaboratrice di Lèucade
“Palpiti
di corallo / rumoreggiano al / tuo splendore / in notte fonda / annega il mio
respiro, /nel silenzio/ al passaggio di cavalli scalzi / persi / lungo le
praterie / dove vivono / le idee, i sogni / le speranze!” (Palpiti di corallo, da Il piacere della memoria, 2013).
Le
splendide sinestesie iniziali di questa incisiva lirica, stanno a saldare in
un’unica essenza note e umori di un paesaggio che si fa cardine dell’esistere.
La volontà o meglio, diremmo, l’ineluttabilità di fusione con la realtà
circostante, eleva Francesco Terrone a filtrare percezioni esterne e sentire
interiore in un’unica natura ed è allora che la gioia di vivere si esprime in
tutta la sua intangibile compiutezza. Anche quando le avversità (le ombre del silenzio) lo assalgono, non
demorde dalla volontà di respirare sia pure a
fatica, il gusto della vita. (Chiusi tra le ombre, da Il tenero e fragile silenzio, 2013).
Un
simile atteggiamento di fiduciosa, attiva partecipazione, trova riscontro nella
sua percezione serena e non malinconica del passato, quasi che un anello
invisibile lo ancorasse in un rapporto di serena compenetrazione con il
destino, non disgiunta, a volte, dal profondo senso di appartenenza alla sua
terra: “La mia terra, / la mia gente / sono /le radici del mio mondo /sono
quelle radici / che durante le stagioni / della mia vita /rivelano la forza /
del mio cuore, /l’ardore/ della mia esistenza…” (Le mie radici, in Vibrazioni,
2014).
Anche
se con altre coordinate estetico-formali, paragonabile gioia vitale esprime
Jorge Guillén, esponente di punta della ricerca e sperimentazione espressive
della Generazione spagnola del ’27, cultore e maestro raffinato, quando non
radicale, della cosiddetta “poesia pura”, cioè esente da scorie sentimentali e
interferenze private delle umane vicende che potrebbero intaccare la purezza,
appunto, del canto poetico, elevato a squisito godimento esistenziale e
formale. Una poesia, quella di Guillén, che trova il suo acme nella celebre
raccolta Cantico (pubblicata a più
riprese tra il 1928 e il 1950), il cui titolo è indicativo dell’atteggiamento di
esultante affermazione del poeta di fronte alla natura e, di conseguenza, alla
vita. L’esistenza si fa specchio della perfezione della realtà e si traduce in
godimento consustanziale all’uomo, svincolato dalle sue problematiche.: “Oh,
perfezione! Dipendo / Dal totale oltre, /Dipendo dalle cose, /Senza di me esse
sono e già stanno” (Oltre da Cantico). Manteniamo le
iniziali maiuscole in ogni capoverso, rispettando questa particolare cifra
stilistica del poeta, che intendeva dare così indipendenza e pregnanza a ogni
singolo verso di ogni singola poesia). E ancora: “E sugli istanti / Che passano
di continuo /Di continuo salvo il presente, /Eternità in bilico” (Ibidem).
Analoga empatia con la pienezza del momento esprime Terrone: “vita su vita /è
il tuo amorevole/ cammino / nel tempo, /che perpetua /il tempo, / lungo il
tempo / della stessa / vita …!” (Polvere di vita da Pitagora, 2014).
La
punteggiatura stessa, in entrambi gli autori generosa di esclamativi e punti di
sospensione, accompagna i brevi versi (prevalentemente settenari in Guillén e
con irregolarità sillabica in Terrone), a voler inserire nel testo, sgombro di
inutili aggettivazioni, quella certa coloritura asemantica e di neutrale
partecipazione affettiva che altre parole non potrebbero trasmettere con pari
imparzialità. “Solo sogni di cenere /sono rimasti / come impronta del tempo …
/e la vita che vola / e verso l’infinito va!” (Terrone, La vita vola da Il piacere della memoria). Guillén accentua la carica concettuale
mediante la soppressione frequente di nessi e subordinate: “Oh, presente senza fine,
adesso eterno /Con freschezza continua di rugiada, /E senza sapere del male né
dell’inverno, /Assoluto nella sua istantaneità d’estate!” (Anello da Cantico).
In
una siffatta totalità di adesione quasi panica ai ritmi sempiterni della
natura, neanche l’allusione al lento imbrunire del giorno evoca presagio di
morte (metafora troppo abusata), ma, al contrario, promessa di un nuovo
risveglio che nel poeta spagnolo affretta persino il processo del tramonto. Con
questi versi si esprime Terrone, in una positiva accettazione dello scorrere
del tempo: “Cade la sera, / tutto si abbandona / al silenzio, /mentre /le
nostre membra /a ritmo lento / vegliano sulla vita /che passa / e legano la
loro speranza /al risveglio del sole /ed al dolce profumo / dei fiori”. (Risveglio da Ti scrivo poesie, 2012). Così canta Guillén nel suo Cantico: “Già si allungano le sere, già
si lascia /Lentamente accompagnare l’ultimo sole /…/- Sotto nuvole fiammeggianti
- fino al verde / Tenace degli abeti e si affretta / La ritirata lenta della
sera”. (Già si
allungano le sere).
Né
poteva mancare il riferimento al mare come origine di pulsione vitale: “Ti
osservo, mare, e vedo / un orizzonte infinito / che mi copre d’emozioni” (Terrone, Orizzonte infinito da Ti
scrivo poesie). E ancora, in Guillén: “Di nuovo ti contemplo, mare in lotta
/Senza pausa di sciabordio né di spuma / E di nuovo il tuo spettacolo mi scuote” (Mare
in lotta da Clamore, 1960). Ma in
tale raccolta, composta dopo gli eventi storici della guerra civile, il nitore
della natura adombra inedite inquietudini nell’animo del poeta di Valladolid,
pur perdurando la sua peculiare compenetrazione con l’armonia del creato. E questa
rimane l’essenza di Guillén, la sua voce autentica nel fraseggio di versi
immortali.
In
Francesco Terrone risuona un’eco della stessa trasparenza, della stessa
freschezza festante nei confronti del creato: “l’unica / vera forza / che viene
/ dal mio essere / e non essere /un chicco di grano / un seme di ginepro /un
granellino di sabbia /…/la materia / di cui è fatta / la mia anima … “. (La mia anima da Il piacere della memoria).
Angela Ambrosini
La traduzione italiana dei versi di
Jorge Guillén è di Angela Ambrosini
Francesco
Terrone, Le valli del tempo, Guido
Miano Editore, Milano 2015, pp. 19-22 (collana “Analisi Poetica Sovranazionale
del terzo millennio”).
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