Angela Ragozzino
IL COLORE DEI RICORDI
poesie e immagini
Recensione di Foriano
Romboli
Il ricordo e la speranza nella poesia di Angela Ragozzino
Un vivo sentimento del tempo
accompagna da sempre l’esperienza dell’uomo, stimolando la riflessione sistematica
intorno a esso, alla sua sfuggente, indefinibile problematicità, come nell’insuperata focalizzazione agostiniana (“Che cos’è dunque il tempo?
Se nessuno me lo chiede, lo so; se intendo spiegarlo a uno che me lo domanda,
allora non lo so più” (Qui est ergo tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si
quaerenti esplicare velim, nescio), Confessioni,
XI, 14), contrassegnata dalla rivendicazione della primaria dimensione
interiore, della specificità di una distensio
animi in continuo, precario equilibrio in un presente proteso immediatamente nel futuro, ma già attratto e inglobato nel passato.
Il senso del tempo si manifesta innanzitutto tramite
l’avvertimento – ricco di implicazioni emotive ed etico-intellettuali – del suo
inesorabile trascorrere: “Il tempo passa, / traccia il suo corso, / di uomini e
storie / tante ne ha viste e sentite, / ma niente distoglie / il suo lento
fluire…” (E il fiume scorre e va…, vv.22-27);
e altresì della sua azione distruttiva (“Cerco nella mente / immagini del
giorno appena trascorso, / ma non ne trovo, / risucchiate dal vortice dei
pensieri / vagano come fantasmi/senza lasciare traccia. / Volti, voci e luoghi
dispersi nel nulla…”, Ombre nella
notte, vv.10-16), del suo potere disorientante: “I giorni si
susseguono / passano i mesi, / le ore lasciano / un senso di vuoto, / ad un
pensiero / ne segue un altro” (Solo una voce,
vv.1-6).
Nelle liriche raccolte nel
volume Il colore dei ricordi, pubblicato la scorsa primavera dall’editore
milanese Guido Miano, Angela Ragozzino esprime
con forza il desiderio di “fermare il tempo” (“Vorrei fermare il tempo / racchiudere
in cristalli lucenti / i volti, i sorrisi, i vostri occhi / espressioni di
sentimenti buoni”, Una festa fra amici,
vv.17-20), di sottrarre alla temporalità e alla sua dinamica dispersiva e
annientatrice momenti e situazioni sentimentalmente e moralmente rilevanti,
fissandoli nel ricordo e facendo così
del patrimonio memoriale una ragione
essenziale di resistenza all’infelicità e un motivo prezioso di intimità gioiosa e confortante, e quindi di speranza: “Vi vedo allegri e ridenti,/i ricordi esplodono nella mente / e li sigillo nel cuore / che si riempie di gioia” (ivi), vv.9-12, corsivi miei,
come in seguito); “Se indietro ritorno
/ nel tempo e nei ricordi / rivedo il tuo volto, / sento il respiro
caldo / sulla pelle, / le sensazioni
uniche / ed il dolce rifugio del
tuo abbraccio” (Al mio amore, vv.14-21); “All’uscio
sgangherato si accosta / un cespuglio di gialle / margherite. / Sanno di
allegre risate, baci / e dolci promesse… Immagini / di momenti felici / che riscaldano il cuore / e ridanno speranza. / Domani è sempre un altro
giorno!” (Vecchio casolare, vv.19-27).
La scrittrice non ignora di
certo gli aspetti negativi e dolorosi del vivere, tuttavia sa aprire la mente e
il cuore a una visione positiva e fiduciosa (“Il sole lentamente si alza, / la
nebbia si dissolve / un altro giorno / prende vita. / Un altro giorno / in cui
vivere, / sperare / e volersi bene”, Una mattina
d’autunno, vv.14-21); e inoltre sviluppa il suo tema non
esclusivamente in termini soggettivistici, psicologico-esistenziali, bensì
predilige l’obiettivazione degli stati d’animo nelle descrizioni paesistico-naturali,
sovente caratterizzate da un diffuso, felice cromatismo (“Nel chiarore perlaceo
dell’alba, / un arbusto sottile s’accresce. / Dal tronco sparute macchie/di
colore giallo e rossastro / si scaldano ai raggi del sole”, Foglie nella nebbia, vv.1-6; “Chiudo gli
occhi / e vedo / alberi in fiore, / prati verdi / e bianche margherite, / corolle
colorate / e profumate. / La mimosa è sfiorita / ma nuove foglie / spuntano sui
rami, / la siepe muta colore”, Solo un incubo,
vv. 1-11), esaltato dalla serie di affascinanti fotografie di Enrico Raimondo,
Marica
Raucci, Benedetto Scaravilli - che nel libro sono
significativamente associate alle poesie – e presente quale coefficiente
importante di un moto partecipativo non scevro di suggestivi esiti pànici: “Dopo
una giornata lunga / e afosa, anelo un refolo di brezza / che rinfreschi viso /
e rischiari la mente. / All’imbrunire il canto del pettirosso / rallegra e
rinfranca, / preludio dell’ombra avvolgente / e riposante della nascente luna”
(La porta socchiusa, vv.9-6); “Il mare
azzurro / sconfina dolcemente all’orizzonte. / Le onde si perdono nell’infinito
/ là dove si perde anche lo sguardo, / rapito a tratti/dal volo di un gabbiano.
/ E volteggia in alto / insieme ai pensieri / ed alle inconsce paure (…) Incanta
il dolce sciabordio / delle onde verso l’orizzonte, / tra il dolce fruscio del
vento, / aria salmastra invade le narici, / e rinfranca lo spirito. / Il cuore
riprende il suo ritmo, / al verso stridulo del gabbiano / echeggiante
nell’aria” (Magnifica solitudine, vv.1-9
e 16-23).
L’incontro fra l’àmbito
soggettivo-personale e il contesto oggettivo, naturale e anche storico,
realizza il “miracolo” delle radici,
spiega il determinarsi di quei tenaci legami affettivi fra l’individuo e il
proprio ambiente, fra l’ “io” e gli altri (uomini, animali, piante), che
costituiscono la base dei ricordi, ai
quali assicurano consistenza intellettuale-morale e valenza atemporale: “Nelle
umide zolle / affondano / le Radici possenti / in un abbraccio / materno (…)
Rivolgo la mente al passato / e trovo rifugio / là dove tutto / ebbe inizio, / là
dove le mie Radici / hanno trovato / la terra, / l’acqua, / il fuoco…/ la vita”
(Le Radici, vv.1-5 e 19-28), sul fondamento
identitario della Fede religiosa: “Là in alto, / il Cristo dal volto segnato, /
ti accoglie e benedice (…) Scene di una storia di fede / nei secoli sempre
viva, / sempre vera. / Scene di una storia di Luce / che illumina / il cammino
dell’umanità” (Basilica di Sant’Angelo in Formis,
vv.30-32 e 43-48).
Il linguaggio dell’autrice
risulta lineare nella sua essenzialità espressiva, stilisticamente animato da
una discorsività sobria e nondimeno lontana da approssimazioni compositive, da facilistiche
estemporaneità. Si nota infatti un impiego sapiente di figure come la similitudine (“Come il contorto
alberello / avvolto nella nebbia / mi lascio travolgere / dal tempo che passa /
e dalle alterne fortune”, Foglie nella
notte, cit., vv.12-16) e la sinestesia
(“Rivedo i volti ridenti, / sento le voci, i profumi, / il calore di un
abbraccio…”, Vigilia di Natale,
vv.14-16), non casualmente frequenti nei testi, perché evidentemente implicate
dall’atteggiamento complessivo a cui si è fatto cenno in precedenza.
D’altronde la solida cultura
letteraria di Angela
Ragozzino è attestata da “allusioni” inequivoche, da riferimenti,
dissimulati eppur operanti, a classici della poesia italiana. Ad esempio la
lettura della lirica Acquerello di un
tramonto, con l’evocazione della fine del giorno (“Uno stormo di uccelli
neri, / si perde all’orizzonte, / come alate sembianze / di cupi pensieri”,
vv.14-17), non può non suscitare il richiamo della strofa finale del
celeberrimo componimento di Giosuè Carducci San Martino, ultimato nel dicembre 1883 e poi compreso in Rime nuove: “…tra le rossastre nubi / stormi
d’uccelli neri, / com’esuli pensieri, / nel vespero migrar” (vv.13-16). La ricerca
della scrittrice campana si colloca pertanto consapevolmente nel solco di una
tradizione artistica prestigiosa.
Floriano Romboli
Angela Ragozzino, Il colore dei
ricordi, prefazione di Nazario Pardini; Guido Miano Editore, Milano 2021,
pp. 80, isbn 978-88-31497-45-9.
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