sabato 18 settembre 2021

FLORIANO ROMBOLI: "LA POESIA DELLE RADICI IN DOMENICO DISTEFANO"

 

     La  poesia  delle  radici  in  Domenico  Distefano

 

Viene da lontano la tradizione d’arte e di pensiero che si sofferma sulla dolorosa solitudine dell’uomo, smarrito e impotente dinanzi alla forza soverchiante e incontrollabile della natura. Un grande poeta della latinità classica, Lucrezio, espresse con rara efficacia tale senso angoscioso, allorché abbozzò il paragone impietoso del “navigante sbattuto dall’onda crudele” sulla spiaggia inospitale (“ut saevis proiectus ab undis/navita”), e inoltre mise a fuoco l’immagine del bambino che, “non appena la natura lo ha gettato dal ventre materno con le doglie del parto nella vita e nella luce” (“cum primum in luminis oras/ nixibus ex alvo matris natura profudit”), se ne sta “nudo sulla terra, incapace di parlare, bisognoso di ogni conforto vitale”(“nudus humi iacet et, infans, indigus omni/ vitali auxilio” (De rerum natura, V, vv.222-225).

Alla mesta lezione dell’antico scrittore si sarebbero aggiunte in epoca moderna la svalorizzazione del rapporto interumano – “l’enfer, c’est les autres” (“gli altri sono l’inferno”), stando alla celebre battuta sartriana di Huis clos (A porte chiuse) (1944) -, la constatazione amaramente pessimistica della deiezione     esistenziale, della continua vanificazione dell’aspirazione all’armonia intellettuale e morale dell’Essere, dell’assenza di una Figura divina provvidenziale e confortatrice.

La ricerca artistica di Domenico Distefano rivela un animus radicalmente differente, si àncora a una concezione apertamente ottimistica, che insiste sulla positività della condizione individuale, sul beneficio inestimabile rappresentato dal fatto stesso di vivere, sul patrimonio prezioso degli affetti fra le persone, sul valore primario del legame fra le generazioni, attraverso le quali nel tempo si perpetua e si rinnova l’umanità: “Nel vibrare di attese senza fine,/voi due, innestati all’Amore,/crescerete i figli, che verranno,/ai valori degli affetti e del rispetto,/della dignità dell’onesto lavoro,/a sentire fratello ogni uomo,/ad amare la natura e la pace (…) Nutrite sempre la speranza/di un domani migliore./Non temete qualche nebbia sul cammino,/il primo sole la disperderà./Abbiate fiducia in voi stessi/e della storia degli uomini/non imitate gli errori,/perché non lasciano echi gioiosi,/che scaldano i cuori” (Agli sposi Nicola e Agnese, vv. 3-9 e 12-20).

L’autore intende consegnare al figlio che si sposa le idealità trasmessegli dai genitori, a cui dedica versi toccanti, non casualmente contigui nella struttura complessiva dei testi; il ricordo incancellabile di essi vive nella nobile eredità spirituale che lasciano: “Ti rivedo nel passato: (…) Nel cuore conservo/i valori: la fede,/l’affetto, il rispetto,/il senso di giustizia,/il desiderio di pace,/la dignità del lavoro,/la gioia di vivere”(A mio padre, vv. 29 e 35-41);   “Tu sai che la vita è un dono,/una continua meraviglia,/un’occasione unica e irripetibile,/che non si può sprecare (…) Mi sono accorto anch’io/che sono solo due o tre/le verità che contano,/i grandi principi della vita/e sono quelli che tu/mi hai insegnato da bambino” (La mia vecchierella, vv. 12-15 e 32-37).

L’instaurazione di solidi vincoli affettivi (“Continueremo a coltivar speranze/in questa terra piena d’incantesimo/e avremo più tempo e più bisogno/di tenerci per mano/sull’arenile della nostra sera”, A mia moglie: ieri, oggi, domani, vv.52-56)   radica  l’uomo nel suo spazio e nel suo tempo, conferisce significato alla sua esistenza e, attraverso la sedimentazione memoriale, dà stabilità e serenità psicologiche e sentimentali, assicura un saldo orientamento etico-culturale: “Talvolta, dai meandri del cuore,/sgorgano volumi di ricordi,/distinti come fotogrammi di un film;/aleggiano presenze impalpabili/sempre vive, fresche e limpide,/come acqua gorgogliante di sorgente./Ripercorro una strada che conosco;/erro in linea retta verso i miei avi,/senza mai perdere la direzione(…) Qui continuo a stupirmi,/a sognare, a illudermi, a sperare/e a riempirmi di gioia/ per le piccole cose”( Montalbano, paese natio, vv.161-169 e 199-202, corsivi miei).

Componenti fondamentali, motivi decisivamente integranti di questa visione vitale e positiva – che tuttavia non ignora le molte ingiustizie e il grave e increscioso condizionamento dei pregiudizî – sono le profonde convinzioni religiose (“Ti farà scorgere/quell’ineffabile Luce,/consolatrice,/custode del germe della vita/e spiraglio di certezze,/in cui hai sempre creduto/e che hai sempre pregato”, Or sembri quasi un’ombra, vv. 43-49)  e la rivendicazione, su questi fondamenti, di una relazione partecipe e simpatetica con le tante manifestazioni della dinamica naturale:  “Qui, in ogni cosa,/si scorge con stupore/l’impronta del Divino Amore:/dalla rosata aurora/all’infuocato tramonto,/dalla calura estiva/al fioccar della neve,/dalla leggera brezza/al violento temporale,/dal garrire delle rondini/allo sbocciare d’un fiore,/dalla salubrità dell’aria/alla freschezza delle sorgenti (…) La sera, quando l’aria imbruna/e inghiotte forme e colori,/gufi, allocchi e barbagianni,/insonni, rovistano il mistero”(Montalbano, paese natio, cit., vv.133-145 e 148-151).

D’altronde il poeta dichiara con fermezza nella lirica Primavera (v. 16) che “tutta la natura grida alla vita”, comunicando così felicemente al lettore il sentimento di un coinvolgente, affascinante vitalismo.

I componimenti raccolti nel volume Vita nel cuore dell’amore e della fede pubblicato alcuni mesi fa dall’Editore Miano sono caratterizzati da soluzioni stilistico-formali piane e scioltamente colloquiali, eppur non prive di una sobria ricercatezza, che si concretizza in un ricorrente sistema di rime per lo più accennate (“E’ il tuo passo, amore./Impegnata in lavori domestici,/cerchi di non fare rumore,/di non disturbare,/di non svegliare/i nostri due piccoli figli”, L’angelo della casa, vv.6-11, corsivi miei, come sempre in seguito;  “Pregherò il Signore/di guidare i tuoi passi/verso agevoli sentieri,/dove crescono alberi annosi,/dai rami sempreverdi/e dai frutti copiosi”, Pregherò il Signore, vv.5-10),  in scelte lessicali anche auliche  (“…l’armonia,/che sovrana dimora/associata all’Amore/senza confini”, ivi, vv.17-20;  “ Un incurabil morbo/celatamente cova/e il tuo penar mi accora”, La mia vecchierella, cit., vv.4-6),  in una sintassi talora increspata dal ricorso all’anastrofe (“E mentre alita la brezza/profumata di salsedine,/inesorabile miete il tempo le ore”, Sulla spiaggia, vv.16-18;  “La Tua casa è il Santuario,/costruito su un promontorio,/impastato di sole, di vento e mare/per i secoli sfidare”, Madonna a Tindari, vv. 1-4),   nella predilezione delle sequenze iterative:  “Riflettete sul cielo azzurro/con il sole dorato,/sul ticchettio della pioggia/con le carezze del vento,/sulle notti serene/con le tremule stelle,/sul rifiorir di viole/con la nuova stagione”(Agli sposi Nicola e Agnese, cit., vv. 22-29).

Distefano ama sinceramente la poesia, che per lui – come per gli antichi greci la filosofia – nasce da un atteggiamento di stupita meraviglia; la concentrazione lirica, quando giunge a esiti di schiettezza e di profondità, tocca le corde più intime dell’animo degli uomini, è in grado di sfidare il tempo e di proporsi quale acquisizione perenne: “Tu comunichi emozioni,/adeguate a tutte le culture;/apri orizzonti, risvegli le coscienze,/cogli l’essenza delle cose/e delle esperienze umane (…) Ingialliscono le tue pagine/col   passare dei lustri,/ma rimangon fresche e profumate/le rose dei tuoi versi,/sbocciate nei giardini,/ove tacciono i rumori molesti” (Poesia, vv. 23-27 e 40-45)                     

Floriano  Romboli 

Domenico Distefano, Vita nel cuore dell’amore e della fede, prefazione di N. Pardini, Milano, Miano Editore, 2021, pp.66.

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