Maria Rizzi su “Dentro L’Uragano” di Franco Campegiani - Pegasus Edizioni
Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
Ho
ricevuto
“Puntuale e
copiosa, mia terra,
nell’ossequio sacrale elargisci
le tue messi a me contadino.
Ultimo della mia stirpe
e ultimo forse
dell’umanità progenie,
invano cerco di esserti umile figlio,
pur lacrimando sconfitto e indifeso” - tratti da “Non avere pietà”
La ‘terrestrità’ della quale l’Autore è
paladino, nella Silloge si esprime in tutto il suo moto circolare. La sua
rabbia, tinta di speculazioni filosofiche, tende a colpire il villaggio globale
nel quale viviamo oggi e che, come la maggior parte dei villaggi, è tutt’altro
che ideale. Ci ha ridoti a esistere ‘in fotocopia’, per adottare un termine di
Campegiani, del quale sono proselita da molti anni. “E solo tenebre incontri / senza più coscienza delle tenebre, / case
nere lungo i viali asfaltati / senza più finestre, / un dolore inconsapevole, /
una notte senza sbocchi / che rifiuta l’impasto con le aurore” - tratti da
“Case nere lungo i viali asfaltati” . In effetti una zolla di terra si potrebbe
paragonare a un grande santo, che guarisce, ripara e resuscita ogni cosa.
Dentro di lei le cose malate diventano sane, la vecchiaia si trasforma in
gioventù, la morte diventa vita. Eppure al giorno d’oggi le persone sono
occupate a uccidere le zolle di terra. “Nessuno
può estirpare la vigna, / né l’orto o il frutteto. / Qui forse, nel solenne
artificio, può sembrare il contrario, / ma mani invisibili coltivano ancora /e
i ramarri sfrusciano / e gorgheggiano i cuculi”- tratti da “Concerto di
primavera”. L’Autore crede nella palingenesi: tutto nasce dalla terra e a essa
ritorna. “Saggia campagna / malgrado i
tanti secoli / prolifichi sempre copiosa. / Tu amante, tu madre, ti doni / e
urla il contadino nell’amplesso di puro amore”- tratti da “Tellure” . E il
moto tellurico del canto del Poeta non deve indurre a crederlo teso alla
negatività, egli è convinto che la vita stessa sia un transito, ma non vuole
che divenga una triste camminata tra le macerie della storia. Sostenuto dalla
teoria degli opposti il Nostro, a mio umile avviso, sembra asserire che oggi
siamo a disagio perché non sappiamo vivere fino in fondo l’esperienza della
dissoluzione dell’essere. “Seppure si
sfaldasse un dì la terra / e si schiantasse il grembo antico di frescure / noi
cadremmo dove non si può morire, / là nel più segreto degli abissi, / nel
centro di pulsazione universale” - tratti da “Tutto tornerà al suo posto”.
Passionario, verace, veemente, l’amico Poeta si rivela in questo testo, più che
nelle altre Sillogi che ho avuto l’onore di leggere, abitante della letteratura
e abitante del mondo, inserito nel tempo presente, nella dolorosa ‘pulsazione
dell’universo’, nel grande cuore dell’umanità con il suo movimento di sistole e
diastole. I poeti migranti, legati alla terra, martoriati nel vederla mutare e
vivendo tale cambiamento quasi fosse l’esperienza della loro nascita, visitano
luoghi notturni o solari della coscienza, che una lingua a noi sconosciuta
spalanca alla loro vista. Anche le poesie d’amore, strazianti nella loro
incandescente bellezza, dimostrano quanto Campegiani sia un predestinato.
“Morire in
te,
nei neri laghi
dei tuoi occhi limpidi,
come sole che muore
nel notturno mare.
Spegnermi come si spegne
questo ciclone di fuoco che cade
nella rete del pescatore.
Così, languente,
cadere anch’io mollemente
nella rete pescatrice
dei tuoi capelli al vento
nella dolce sera.
E come stella accendermi
nel golfo delle tue ciglia vivide,
nel palpito fremente
del grembo universale” - la
lirica “Morire in te”
La donna, intesa come mito cosmico, come
allegoria dell’utero universale, ovvero della madre - terra, riporta a concetti
fondamentali del Nostro, che da sempre celebra il mito in qualità di racconto,
mai in senso favolistico. F. Nietzsche asseriva: “Il vero amore pensa
all’istante e all’eternità, mai alla durata”, Campegiani pur lontano da ogni
atteggiamento nichilista, credo possa sposare questa frase nel modo visionario
di intendere il rapporto con l’altro sesso: “fuggirai
ancora, lo so, / nell’insondabile mistero /insieme a tutto ciò che è altro / e
diverso da me. / E’ novembre e un vento di primavera / scende nei vicoli dei
cimiteri, / spruzza fragranze / nei vuoti calici / dove il glicine spunterà”- tratti
da “Alzo il calice”. Le liriche, in relazione all’armonia dei contrari, perno
del pensiero del Poeta, sono in levare, prevedono sempre e comunque un’apertura
d’ali. Va detto che
.
Questa tua recensione, carissima Maria, è un fiore all'occhiello nella mia antologia critica e te ne sono molto grato. Con grande acume, tu cogli - sulla scorta della lezione pasoliniana - il vero valore della Tradizione e della Memoria, da intendersi come forza vitale che non s'identifica con il Passato e non proviene da esso, quanto "piuttosto con il vivere al Presente": quell'Eterno Presente non "originario", ma "originante"; non storico, ma perennemente calato nell'attualità. E di cos'altro parliamo se non di Spirito, di quel soffio vitale che non ha età pur avendo tutte
RispondiEliminale età? Dipende da noi, e solo da noi, mantenere desto questo faro interiore che nessun progresso materiale può offuscare, se noi non lo consentiamo. Non è il progresso che si deve demonizzare, ma l'uomo che non vuole essere all'altezza morale del progresso raggiunto, divenendo ingordo e calpestando le leggi del rispetto e dell'amore universale. Giacché l'amore - anche quello tra uomo e donna - è molto più di un sentimento, è una legge universale. Quella legge che in sede filosofica definiamo "attrazione di contrari". Ed ecco il parallelismo tra poesia e filosofia del mio universo mentale, da te splendidamente intuito. Grazie di cuore.
Franco
Franco mio, sai bene che il tuo mondo mi attrae in modo irresistibile da sempre, ma scrivere della tua poetica è impresa davvero ardua, dopo le prove di Aldo Onorati, di Nazario, di Maria Grazia Ferraris. Mi sento inadeguata e la tua gioia mi commuove a dir poco. L'Opera è un capolavoro! Grazie e un forte abbraccio, che estendo al Vate e agli amici nominati.
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