martedì 15 gennaio 2019

PATRIZIA STEFANELLI LEGGE: "CRONACA DI UN SOGGIORNO" DI N. PARDINI




Leggendo “Cronaca di un soggiorno” di Nazario Pardini
epistola d'inverno
Patrizia Stefanelli,
collaboratrice di Lèucade


Carissimo Nazario, omnia tempus habent e il tempo del tuo libro è stato quello di questi giorni di mezzo inverno. È talmente breve qui da noi, l'inverno, che occorre goderselo appieno. Sai che vivo su di una collina dal nome curioso? Non ricordo di avertelo detto; si chiama Campanaro, come a dire “chi suona le campane” o forse il nome viene dal nome di un piccolo uccello passeriforme, chissà. Per ogni cosa ci sono sempre più significati e la verità può essere quella che più ci aggrada. Io penso al campanaro come al povero Quasimodo di Hugo e queste punte dei colli intorno-vedi?- sono le guglie della Cattedrale. Ma questa è un'altra storia.
Il titolo del tuo libro è “Cronaca di un soggiorno” e  il dipinto emblematico del tuo caro fratello, riportato in copertina, fa pensare al soggiorno in una dimora non abituale, in cui si sta poco tempo. O forse il soggiorno è  il breve sostare della nostra essenza in vita, tanto breve, molto più di tante altre in natura? Sì, è possibile. La risposta arriva subito, dalla poesia che apre la silloge dal titolo Il soggiorno. Comincia la musica dei tuoi versi.

Ouverture

Il nostro poeta nocchiero sta tra scogli scivolosi e onde devastanti: Quante le navigate in mari aperti/senza fari a illuminare approdi ,/ né porti per cambuse! /Questo vi posso dire:/ Ho amato l’amore; quante barche logorate dalle acque dell’amato mare, fino all’isola che, come novello Ulisse, l’ha tenuto prigioniero. Forse che l'isola conservava lo scrigno del sapere o l'antidoto al desiderio continuo? Oh sì, tutto finisce ma non il desiderio .
Nell’introduzione N. Pardini ci parla di anima e dice: ogni contenuto è buono per essere tradotto in arte, ammesso che sia filtrato dall’anima in stato di grazia ispirativa. Dell’anima non so molto e in verità credo parecchio nell’amigdala, quella piccola mandorla del nostro cervello che ci porta le emozioni per la sopravvivenza. Non so se assegniamo il nome giusto alle cose. Sicuramente, però, dall’accordo della totalità degli elementi interni ed esterni, individuato come stato di grazia, può nascere un’opera d’arte. Capiamo che la grazia è l’equilibrio che viene dalla pienezza, quando a questa contrapponiamo la mancanza. Eh già, come potrebbe esistere l’una senza l’altra? A tenerle insieme la memoria che è parte del tutto ed è attesa di un ritorno, di nuove capriole tra l’erba di maggio; ridicole, come sa essere ridicolo chi ama l’amore. Ecco il bel compito della poesia attivarsi con la lettura, diventare domanda, riflessione a specchio, confronto, verità soggettiva.
Ci porta un brivido la poesia dal titolo La scala. Di tutto ci fa partecipi: della famiglia, dei voli di poeta bambino, del pensiero ferito da mancanze con una chiusa da togliere il fiato:
Non è certo un ricordo, una memoria,/ è soltanto un’attesa a fine giorno. Mi sovviene un’aura delicata tra tende leggere di brezza, un abat-jour, la musica di un vecchio grammofono e Il profumo della rosa:

Quanto breve il profumo della rosa!
Nelle mani del vento,
nelle fauci del sole è di già spento
nonostante le guazze dei ricordi.

Tutto scorre, l'attenzione si sofferma su molti versi. Qui, nella stanza in cui sono e leggo, c’è l’aura di Rosa. Fu breve il suo soggiorno, credette nelle illusioni e ora è triste, dicono, in quell’oltre che non conosciamo e che a pochi, forse, è concesso di percepire.  Di lei, Rosa, non resta che il nome sul marmo che intitola il vicolo. Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus: comprendo questa frase (che chiude il famoso romanzo di Eco), ma sono un po’ confusa.
È vero solo il mondo antecedente/e quello che continua oltre di noi.
Potremmo restare per giorni su questo verso della poesia dal titolo Se il mondo.  È vero ciò che è fuori dal tempo mentre l’attimo vissuto fugge? Ciò che è stato è causa e ciò che è oltre di noi è l’effetto, mentre

(…) nel mezzo c’è una storia inesistente,
di una finzione di cui niente rimane,
nella nera eternità.
Quella infinita.
L’eterna eternità universale.

Qui c’è tutta la filosofia da Eraclito a Hegel traendo lezione da Platone (volendo anche da Guglielmo Da Baskerville). Non è facile leggere una poesia del Pardini, non è facile per niente.  Noto nuove sfumature con le quali mi sento in sintonia.
Le ultime poesie,  in ordine di cronaca, conoscono la strana ossimorica carne, tanto tenera quanto dura ed eterea: marmorea carne di cielo (Apuane); carne di poesia (Sono un lupo selvatico); pensiero che morde la carne (Tornare spesso); carne umana da macello (Campi).
Eccomi alla passione dolorosa, alla mia malacarne, alle parole che mia madre non diceva (non si può fare a meno di rendere propri i movimenti poetici). Lei era una profuga istriana. Se n’è andata da poco. Non volle mai tornare alla sua terra, a quei buchi neri, dove sono i suoi morti:

(…) Rimasti a riposare
in braccio ad altri scheletri,
addormentati con in mente il giorno,
la luce, il sole dei larghi pianori,
di quando scaricavano in quei buchi
ceppe di terra o foglie
per mirarle sparire lentamente,
allegramente dentro i buchi neri (In memoria delle Foibe).

È, questa, una poesia la cui drammaticità è acuita dal contrasto tra i corpi gettati e l’allegrezza delle foglie. Lascio andare, mi si stringe il cuore.

Torna l'ouverture  e più leggiadre visioni

 Il Poeta sta seduto a mirare in alto, là lontano, / la sagoma di un’isola brumosa, / che vibra la sua immagine irrequieta (Voglio stare). La sua isola è la sua donna, la sua verità, la Poesia dalla quale tornare a sera, svolte le incombenze quotidiane, lontano e al di sopra del razzolare a terra che ci fa povera umanità incapace di volare alto e di lasciare lo spazio ristretto di un cortile. Eppure… eppure.
In aiuto gli viene sempre la natura (che sia l’isola, o un bosco, il paese, una pineta dell'amatissima Versilia, il suo lago con anatre e garzette) nel riportargli la vivezza di sentimenti d’amore: verso l'innamorata Luisella, verso il fratello, la madre, il padre, il figlio, la zia Rosina e tanti uomini e donne uniti, da una viola d’amore tra le più belle, quella dell’ amato coro a bocca chiusa.

Il Nostro, che ama il dettato chiaro, merito della sua poetica, è preso da continue visioni tornando sempre ad alcune ricorrenti poiché un poeta ha bisogno di queste.

(…) Ed ora io ci sono in questo mondo
 dove si lascia l’anima inquinata
 fuori dal corpo in cerca dei profumi
 che il vento appiccicava alle carezze
 di orizzonti puliti e senza fumi,
 dove lo sguardo si perdeva largo
 in braccio a un sole che moriva in mare
(Se buio).

Lo stupore per ogni tramonto è ancoraggio alla realtà dalla quale svitarsi e riavvitarsi (come una vite) per fissare le cose tra loro, riallinearle all’ipotesi di un orizzonte, trasformando un moto circolare in un moto rettilineo. In lui la vena leopardiana del limite si ramifica irrorando nuovo tessuto poiché sempre largo, come la piena degli archi nel preludio del "Parsifal", è il suo confine:

La strada si confonde con il cielo,
mentre l’aria si slarga all’orizzonte
senza confini. Sembra che sia il mare
questo tappeto verde senza freni
(Escono allegri).

Tra terra e cielo ci sono le speranze; il punto di intersezione col divino, la tavola dove siedono derelitti e puttane serviti dal Signore e da tutti i Santi (Pasqua 2017). Mentre la fede traspare, giunge la contraddizione, umana e condivisibile, del senso d’inutilità del tutto quanto facciamo:
(…) quello che ci è toccato/non è altro che un tempo -e niente più- prestato dalla morte. No comment, è solo un momento.
L’umana natura ama l’amore e Il tocco erotico dell’onda . Eros allo stato puro, questa poesia è un torrente di endecasillabi che comincia con due versi in solenne “a maiore”, poi il lento e discendente dattilico per continuare in una danza ritmica di grande effetto evocativo:

(…) Cerca il tuo corpo, penetra nei vuoti,
ti avvolge fra le braccia con audacia,
ti tocca con il flusso che tu senti…

Viaggiamo da un’emozione all’altra  e ci commuove la penna del poeta quando ricama sua madre su un fazzoletto di terra. Lei è  Mnemosine, madre di tutte le Muse che ha fianchi stremati a sera, per un pugno di spinaci. Grande il poeta capace di stupirsi ancora ai suoi stessi soli d’oro porgendoceli intatti. E poi il padre in sogno! Che poema! Il Pardini è la sua terra, il suo mare, la sua poesia, la nostra.  M’incanto alla  poetica equorea (così amerei descriverla) del Nostro, liquida per scorrevolezza e simboli, sensuale per la significazione che innesta il tessuto poietico, ampia all’orizzonte, piana e poi avvolgente come una coperta d’azzurro e di verde, in un mondo che trema senza sosta, / dove volerci bene è cosa rara.

(…) E tu ci andavi, / nel candido cortile o per il prato
a sprofondare i piedi con tuo padre?
(La mia casa).

Io non ci andavo. È tutto.

Grazie, per il dono prezioso delle tue poesie QQqqqqWQQQQeeeeeeeeQQQQQQQQQQQQQQQqqqqqqqqqqqqqqzzzzzzzzxxxcccvcvbvbbbbnbbbvbbbbbQQQQQQQqqwqe per ogni volta che mi chiedi cosa ne penso, grazie per avermi aspettata mentre da te imparo. Poca cosa sono queste mie parole  rispetto a quelle dei grandi critici che ti fanno onore, ma so che le terrai a cuore.
Con grande affetto e stima ti saluto e ti abbraccio.
Tua amica Patty (Patrizia Stefanelli)

Itri, 12 gennaio 2019

3 commenti:

  1. Splendida esegesi, cara Patrizia. Con la consueta e amata tua levità, dai corpo ad una lettura appassionata e brillante, ma al tempo stesso colta e molto profonda di un testo poetico di così insolita bellezza e umanità. Lo fai con un piglio critico eccezionale, capace di agganciare i battiti cardiaci e le emozioni universali che la poesia di Pardini, a iosa, è in grado di suscitare ad una vivacissima e personale tua visione del mondo. Preferisco di gran lunga questo metodo a quello del critico cosiddetto "scientifico", con tutto il rispetto che merita chi presume di lavorare in modo imparziale ed oggettivo (beato lui se ci riesce!). Una sola perplessità (ed è inevitabilmente la mia visione del mondo a fare capolino). Se mi chiedi cos'è l'eternità, ovviamente non so risponderti. So bene che il tempo è fuggitivo, ma mentre il tempo muta, non posso fare a meno di notare che, pur mutando nel tempo, io resto sempre me stesso. Il bambino (come il poeta e come ogni essere umano) non sa nulla dell'oltre, eppure continuamente si scinde per interrogare se stesso, la sua anima immune alle ingiurie del tempo, nonostante viva nel tempo e gli sia vicina. Aggiungo soltanto che accettare umilmente questo mistero è ben diverso dal costruire, su di esso, dogmi e incrollabili imperi. Ti abbraccio, grato per la riflessione che mi hai indotto a fare.
    Franco Campegiani

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  2. Patrizia mia, la tua recensione è davvero da brividi. Innanzitutto autentica, come sai essere in ogni tua manifestazione e in secondo luogo profonda, ricca di metafore immediate, che ci trafiggono come la luna trafigge la notte. Mi colpisce in particolar modo l'asciuttezza espressiva, che si coniuga con la capacità di dare alla letteratura l'andamento della vita, sinuoso, accessibile a tutti, denso di pause ritmiche, che suggeriscono scansioni intense ed energiche. La chiusa è una dedica commovente al nostro 'Nume tutelare',testimonianza della tua attitudine a scrivere evitando gli sterili tecnicismi e ricorrendo al potere del cuore. Grazie per questa bellissima lezione e, ovviamente, infiniti complimenti all'Autore dell'Opera!
    Maria Rizzi

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  3. RICEVO E PUBBLICO

    Carissimi amici, Nazario, Franco e Maria, mi scuso sempre per il fatto di non riuscire a pubblicare direttamente i commenti. Sono felice e onorata della vostra approvazione per questa mia recensione che ho scritto con sano timore. Franco, che mi sei maestro, il tempo che fugge... Il prima e il poi, l'oltre o ciò che rappresenta sono senz'altro parte della tue alte riflessioni filosofiche che io sfioro soltanto con le mie domande e l'ascolto. Questo è il tuo pane ( a proposito, sto leggendo il tuo splendido libro). Si resta davvero se stessi e cioè la propria anima, mentre il tempo muta? o quel se stessi è l'essere nell'attimo presente poiché la mente aggiorna il qui e l'ora? Tutto si attualizza e dunque quel bambino è (il) poeta di oggi e dello ieri. Sicuri di percepire noi stessi nel modo giusto? chi lo sa davvero? In fondo come ben dici è bello accettare il Mistero dell’oltre. L'importante, a mio avviso è non vivere di illusioni per non sprecare la propria esistenza. I desideri vanno alimentati con i fatti e sostanziati dalle corrispondenze. Nella lettura di un testo o meglio, in questo caso di un tessuto poetico, è necessario che chi lo fa riesca ad essere umile piano sul quale poggiare il tessuto e, nella luce di una trasparenza, riesca a percepire le visioni dello scrittore che, come per la storia del personaggio di Stanislavskij (che utilizzo in teatro), acquistano sostanza per l’idea fino a realizzarsi. Dunque, il passaggio da se stessi è necessario e non può essere evitato. Altra cosa è restare buoni critici riuscendo a riconoscere l'altro, ad essere imparziali nel comprendere anche ciò che è lontano dalle nostre tendenze letterarie. Comprendere significa accettare ma non necessariamente condividere. Una poesia eccelsa, come quella del nostro Nume Tutelare, come giustamente lo chiama Maria, arriva chiaramente alla visione di un lettore attivo che diviene il lettore modello, poiché capace di restituire al testo, attraverso se stesso, la volontà dell'autore. Questo è il massimo e sarebbe la felicità di ogni testo. Certamente la lettura attenta, e soprattutto capace, serve, in quanto l'utilizzo di un fonema invece che un altro; di una determinata metrica col suo ritmo adeguato al pensiero unito ad armonia e prosodia sono parte del contenuto, didascalia e funzione. Maria cara, ormai la tua sintonia con la mia asciuttezza espressiva è piena. Se vogliamo che la poesia sia letta, nonostante lo tsunami letterario che viviamo, occorre, a mio avviso, che scriviamo le nostre note di lettura o recensioni, introduzioni o prefazioni in modo chiaro per ogni lettore attenendoci al testo senza divagazioni narcisistiche in ciò che rappresenta soltanto noi e non la mediazione che viene dal rapporto intimo col testo stesso. Sai quanto pesi le parole che pongo come pietre ad argine in un fiume in piena. Non sempre riesco nell’intento e tu vedi, faccio delle rapide. La tua affinità mi è preziosa, in un mondo in cui, te lo dico sinceramente come sai, spesso ci spiazza e ci sperde. Allora, carissimi, complimenti ancora all'Autore (che so contento perché me l’ha detto), e a leggerci sempre con affetto e stima nell'idea di imparare l'uno dall'altro. Un grandissimo abbraccio e GRAZIE.

    Patrizia

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