domenica 20 gennaio 2019

NAZARIO P. LEGGE "CREPITII. EPILLI" DI UGO PISCOPO


Ugo Piscopo: Crepititii Epilli. Oèdipus Edizioni. Salerno. 2028

Ugo Piscopo e la filosofia della forma



Ipertrofico, eccessivo, abbondante, sovraccarico. Ma forse esiste una regola che detta i confini della poesia? che deve essere in un modo invece che in un altro? O sarà la Storia a passarla dal suo vaglio per darle lunga vita. No! Non ci sono regole, a meno che non la si voglia distinguere dalla prosa. O non si tratti di poesia in metrica: in questo ultimo caso le regole da seguire sono ben precise. Ma per quanto riguarda la poesia cosiddetta libera non ha alle spalle dei canoni da seguire ed ognuno si abbandona alla sua potenza verbale e alla sua creatività. Trattandosi qui di Ugo Piscopo, studioso della parola e delle sue combinazioni, della novità formale, degli intrecci di stilemi a cui affidare tutto il proprio pathos; trattandosi di chi gioca tutte le sue carte nel tentativo di raggiungere forme che vadano oltre il senso normale del termine,  il discorso si fa più complesso. Non si tratta di certo di epigonismo o d’improvvisazione, di uno studio fine a se stesso per Piscopo,  lui, ricercatore del termine, della complicanza dei nessi, della struttura architettonica del poema. Il suo è un piano filologico di sonorità, maturato e affinatosi nel tempo.
L’uomo è nato per scoprire e la ricerca è la barca su cui navigherà verso l’approdo di un’isola che forse non c’è. Navigare, navigare, attraverso scogli e trabucchi, tempeste e bonacce, cieli oscuri e luminosi; quel che conta è andare, non importa se in possesso di bussola o strumenti; lasciare il porto e ambire all’attracco di mondi lontani. Il fatto che tali mondi esistano o non  esistano non conta; anzi tanto meglio se solo nei nostri pensieri: una volta raggiungessimo una meta sarebbe la fine. Verrebbe a mancare lo stimolo che ci fa umani: esseri inquieti in cerca di noi stessi, di un appagamento impossibile. È questo stimolo che alimenta la navigazione, che ci dà forza e input. Questo fa Piscopo, essere che si sperde in un mare senza confini; sì, c’è un faro, è lì nel porto che noi sogniamo e immaginiamo, ma un fascio di luce che illumina solo e soltanto una minima parte dell’orizzonte marino. Il resto è buio, ombra, notte, mistero. E il Poeta è sempre in cerca di barche più resistenti, più idonee a tanta  navigazione. Potrà trovare anche scogli ispidi e taglienti contro cui imbattersi. Ma ricupererà sempre un asse scampato su cui aggrapparsi da vero nostoi per continuare ad allungare la vista verso orizzonti nuovi  che sono stampati nel credo di un nocchiero. La barca non è altro che la forma, uno stilema che deve contenere tanta energia. E tale sentire ha bisogno di ampliare il tiro, di allungare le iuncturae, di estenderle oltre la sintassi canonica, dacché lo chiede lo spirito, l’azzardo all’espansione. Il verbo si fa allusivo, di pluralità ricognitiva, di plurale iperbolicità in questo andare quasi narrativo; la parole è lì dove deve essere, toglierne una significherebbe la caduta dell’intera costruzione. Ma non confondiamo il percorso del Nostro cogli sperimentalismi prosastici tanto in voga e in netta contrapposizione con la tradizione di endecasillabe sinestesie. No!  Qui tutto è nuovo, diverso, frutto di una storia guadagnata sul campo. La storia di una  vita alla ricerca di un contenitore topico capace di tanta vis creativa, tanta estensione umana, tanta verve  comunicativa verso giuste equivalenze morfosintattiche; architetture metriche ampie e articolate. Questo è solamente un discorso umano, come fortemente umana  è la  condizione sperimentale di Piscopo. Leggo in qua e in là scritti introduttivi forbiti di storia e di cultura estraniante. Datemi retta: Piscopo ha bisogno di sperimentare, di oltrepassare il limen delle colonne, la siepe che ci esclude; lui vuol vedere oltre, oltre il senso dei limiti umani, perché è proprio il più umano dei terreni. Forse Piscopo troverà nella parola i gradini giusti per salire all’eccelso, lui che meglio ci rappresenta con la sua complessità esistenziale  e formale; con la sua filosofia della forma.

Da: Lettera a un lupo

Caro lupo,
ricordi il nostro paese, Serra, i dirupi, il torrentaccio,
gli ipogei senza fondo delle dure invernate dai denti aguzzi,
tutto quel mondo interamente suo, inchiodato su lastre dei primordi?
Era il tuo regno, confinante a rischio col cancello dell’orto
vigilato da mio nonno dal suo bunker con fucile a doppia canna.
(...)



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