giovedì 28 aprile 2022

MARCELLA MELLEA LEGGE: "ANDAR VIA" DI PASQUALE CIBODDO

 

Pasquale Ciboddo

ANDAR VIA

Recensione di Marcella Mellea

 









Pasquale Ciboddo

 

ANDAR VIA

 

Recensione di Marcella Mellea

 

 

Andar via, l’ultima raccolta poetica di Pasquale Ciboddo, è poesia lirica meditativa sui grandi temi della vita. Il poeta si abbandona all’evocazione nostalgica di un tempo felice, pieno di lavoro e fatica, ma ricco di valori e buoni sentimenti. Con un linguaggio lineare ed essenziale, a tratti particolarmente asciutto, ma sempre musicale e fluido, il poeta descrive l’aspro e meraviglioso paesaggio sardo, evoca la bellezza dei luoghi, i colori, le condizioni climatiche, la fauna, la vegetazione, gli uomini, i loro umori, gli antichi mestieri e – con decise ed evocative pennellate impressionistiche – dipinge scene di lavoro nei campi. Ciboddo, attraverso i suoi occhi e il suo sentire, dà voce alla sua magnifica terra, ne coglie le bellezze, i moti dell’animo, i modi di vivere, le tradizioni, i ricordi e li restituisce al lettore con autorevolezza espressiva, suggestione e magica evocazione di atmosfere e sentimenti. Andar via è tutto questo, ma non solo questo.

La raccolta inizia con un ricordo di guerra, evocato dalla maestra Tonina. “La guerra / non prometteva nulla / solo pene e miseria” (In memoria, 1942 - ‘43) – scrive il poeta –, essa trascina le persone nella vergogna per la fame e l’inedia. Il tema della guerra, con la sua violenza, – e la sua condanna – è presente in maniera decisa in diverse liriche della silloge. Altra tematica ricorrente è quella del tempo, che avanza inesorabilmente; infatti, dell’umano passaggio senza ritorno, solo l’immutabile sole è il grande testimone, sotto la sua luce e le sue ombre, la vita dell’intera umanità scorre giungendo alla morte, “meandro d’impatto / che non si può scansare” (È meandro d’impatto). L’idea del tempo che passa è una spina nel fianco, molto pungente. Il poeta si pone domande molto pesanti, che rimangono senza risposte: “Che c’è di concreto/ in questo arrabattarsi/ (in)vano per vivere/ se anche manne di befane/ dal cielo sono sempre/ più rare?” (Che c’è di concreto). L’immensità, l’infinito, il mistero dell’universo, la bellezza del tramonto frastornano il poeta: “Ne ho assorbito/ l’essenza/ anche se l’incedere/ di tempo inesorabile/ è assenza” (L’essenza). Il poeta crea qui grandi e pregevoli effetti musicali. Tutto ritorna a Dio, siamo gocce di un mare infinito, la colpa è uno dei mali della vita che costringe a vivere una quotidianità pervasa dall’inedia; la dea parca è sempre pronta a tagliare con indifferenza i fili della vita. La società contadina del passato, con le sue consuetudini, le sue tradizioni e la sua saggezza, è fortemente idealizzata dal poeta; la sua semplicità e la sua genuinità dovrebbero divenire modello d’ispirazione per le generazioni future.

Il poeta è consapevole delle sue radici; egli ha percorso molta strada, ha studiato, gode di una buona posizione, ma non rinnega le sue origini, anzi ne è orgoglioso. I suoi valori sono legati a quella società di mandriani e pecorai, là risiedono le sue radici: “Ma io ho scritto/ la storia di radici/ d’una civiltà agreste,/ antica come il tempo,/ ricca di uomini saggi,/ madre di ogni sapere./ Utile e giusta/ per un vivere sano/ sereno e ordinato” (...ma io ho scritto). L’eremita che muore solo in una conca diventa l’emblema dell’umana solitudine: Ognuno muore / come può / senza diletto / in strane circostanze / d’umana esistenza” (Ognuno muore). Il progresso ha portato con se l’inquinamento, distruggendo l’ecosistema, “l’uomo saggio / osserva impotente / la distruzione totale / di sano alimento vitale. / E muore sconsolato/ di vera inedia” (E muore sconsolato).

Chi potrà negare è il canto della solitudine dell’uomo: egli è solo sulla faccia della terra; il poeta sente tutta l’amarezza della solitudine che in qualche modo è costretto ad accettare per continuare a vivere. Anche E cantare è l’elogio alla solitudine, poiché solo attraverso la solitudine si può ascoltare il silenzio dell’anima “…Solo chi si isola / e si ascolta dentro / può recepire i segreti / del cuore e dell’anima / e cantare / virtù e pregi / in libri da sfogliare / nella poesia del silenzio”; il poeta mantiene vivo nel cuore il ricordo degli attrezzi contadini “…ancora intatti / nel museo del cuore / e la mente” (Come dimenticare). Il passato è ricco di rumori, colori e amori – spesso non corrisposti –, che danno pena e voglia di morire a volte, ma l’amore è una forza dirompente “L’amore / è il motore / che fa muovere il mondo. / Se dovesse mancare / morirebbe in breve / l’umana stirpe” (Se dovesse mancare). Nei ricordi del poeta tutto assume una dimensione vivida e reale; gli stazzi – spesso evocati e citati in diverse liriche – rappresentano un luogo dell’anima, simbolo di vita vera, di amore per la natura, di libertà. La natura della Gallura, con i suoi colori cangianti, la sua bellezza, le sue alture, i torrenti, i sassi, i profumi, gli animali, con la musica dei loro suoni, sono protagonisti parlanti di tutta la silloge. Di grande bellezza evocativa, musicalità e impatto emotivo è la poesia Nasce una dolcezza: “Ogni pianta di radura, / un prodigio / di natura. / Emana profumo / nello sbocciare / e attira l’ape / nel suo volare. / Da incontro di piacere / nasce una dolcezza / infinita / che sa di mistero”.

Il poeta, pur traendo ispirazione dall’atmosfera bucolica del paesaggio sardo, del quale descrive ogni dettaglio – anche il capraio, infatti, diventa una figura idealizzata paragonabile alla figura biblica di San Giovanni –, volge il suo sguardo empatico anche verso un’umanità sofferente e i tanti profughi di questo nostro tempo. Su questo versante, sono tanti e diversi i temi d’ispirazione dell’autore: la povertà, i migranti, i terremotati, la droga, l’inquinamento provocato dalle industrie e dal consumo smodato dell’uomo, le vittime dell’olocausto. Quella di Ciboddo diventa così poesia didattica, che offre pillole di saggezza e trasmette messaggi positivi; senza sapienza o libertà, la vita è difficile da vivere. L’ape, insetto laborioso fondamentale per la vita dell’umanità, è il simbolo per eccellenza di bellezza, di mistero, di prosecuzione della vita “…È il mistero della vita / che Dio non ha svelato. / L’ape impollina il fiore / che dà i frutti / necessari alla sopravvivenza / di ogni essere vivente.” (L’ape sul fiore a sottrarre il nettare). L’autore ha una venerazione per questa piccola creatura, in quanto l’ape è l’insetto più importante e più antico, la sua scomparsa rappresenterebbe la fine dell’umanità.

Tutte le poesie della silloge sono pervase da profonda fede: la vita è dura e difficile da vivere, il poeta ha molti dubbi e si interroga su tante cose a cui non sa dare risposte: forse sarebbe meglio, allora, non viverla proprio la vita, se non fosse per la fede e la speranza in Dio che, sole, ci possono salvare “Ma la fede nel Signore / ci salverà” (Si nasce e si vive).

Andar via si caratterizza indubbiamente per una struttura stilistica importante e di pregevole fattura. Il poetare di Ciboddo assume un ritmo – nei suoi versi delicati e profondi, ricchi di spiritualità ­– che scorre sull’orlo dell’esistenzialismo ­– vestito a tratti di malinconica nostalgia – e scandaglia diverse tematiche umane, ponendo in rilievo l’incapacità della società attuale di congiungersi con l’esistenza stessa: “è un vivere primitivo / che offusca la mente / ti nega la cultura, / e la poesia della vita” (La poesia della vita).

Andar via è una silloge che tocca punte di alto lirismo, politematica e polisemantica: essa, infatti, è articolata su più temi, intrecciata di più motivi. La sua ricchezza si esplica in una vasta gamma di sfumature, di temi e significati, che attraversano le corde dell’anima dell’autore e che vanno dalla sensibilità verso la Natura – la quale trasfigura l’essere in creatura – all’inquietudine interiore, alle domande esistenziali (e senza risposta), dalla tensione civile alla dimensione etica e spirituale.

La libertà metrica, con cui vengono espressi i versi delle liriche che compongono la silloge, crea una struttura continua che riproduce il fluire ininterrotto dell’immaginazione dell’autore e si configura come un procedimento attraverso cui il poeta suscita in chi legge la sensazione dell’infinito e, a volte, dell’imponderabile. In questo poetare emerge la personalità spiccatamente poetica dell’autore, specie nel modo in cui esplora e compenetra il mondo – e le vicende del mondo –, nel lirismo dell’immaginazione che diviene possibilità contro gli ostacoli della vita, un valicare il tempo, un viaggiare oltre il tempo, che ha ali per volare, che è forza e sogno, emozione espressa con immediatezza e spontaneità creativa e suggestiva. Andar via diviene così elegia di un sentimento a ritroso, dove la nostalgia si disvela come sentimento etico, in cui il trascorso non muore, ma rivive portando con sé un insegnamento etico e civile. Il silenzio del poeta è lo struggimento dei pensieri, che sopravvivono al tempo, ma è anche lo strumento, l’atteggiamento, per restare umani di fronte ai tanti rumori del mondo, “e cantare / virtù e pregi / in libri da sfogliare / nella poesia del silenzio”.

Marcella Mellea

 

 

Pasquale Ciboddo, Andar via, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 136, isbn 978-88-31497-75-6, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 


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