lunedì 25 aprile 2022

NAZARIO PARDINI DA "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE"

 

IL FALCIONE

 

Nel mezzo ai tanti attrezzi è lì un po’ triste

il falcione che più profuma d’erba;

ha perso la sua foga fra le miste

ferraglie di cantina; anche se acerba

 

la verzura del campo nelle mani

callose di mio padre si accendeva

dei riflessi del sole, ed i suoi suoni

sembravano dei canti a primavera.

 

Ora è lì, senza voce: una bestia ferita,

accanto ad una cesta e ad un barile.

Nemmeno ti risponde se lo chiami.

 

La lama arrugginita pare cinta

da un’aria d’abbandono. Nel cortile

l’ho portato, all’aperto, fra i richiami

 

di paperi e galline. Riluceva;

mi sembrava felice; era una spera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NATURALE È LA VALLE

 

Naturale è la valle e la scogliera

in questo luogo sperso tra i roveti:

segreti riaffiorano dall’anima,

sana è la vista e tanto largo il mare.

Non appare che l’onda e l’orizzonte

da questo monte sopra la città;

la verità è al di là di quei confini,

oltre il getto del faro,

il caro faro che tanto ci dice

dell’umile portata degli umani.

Vani gli azzardi per capirne il senso

condannati alla terra e ai suoi miraggi;

che i raggi siano giusti a completare

la voglia degli spazi oltre quel mare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA PIENA DEL SERCHIO

 

Piove a dirotto stamani, ed il Serchio

gonfia il suo letto; è già nelle golene,

tra gli alberi che invocano l’aiuto

frusciando melanconici richiami

col loro ciuffo sopra la corrente;

niente risparmia l’acqua inferocita,

tutto porta con sé, alla deriva.

Qui dall’argine l’occhio si spaventa

a mirare la potenza che sprigiona:

le barche sradicate dai pontili

corrono in grembo al grosso defluire,

e ciottoli, tronchi, tavole, e ferraglie

si rincorrono in gara verso il mare.

Mi sposto, e vado svelto a miscelarmi

alla furia spaventosa della foce.

Tira Tramontana, se Dio vuole,

fosse Libeccio chissà che inondazione.

Qui le melme del fiume si accavallano

con l’onde spaventate

che sembrano opporsi a tanta furia.

Odori di salmastro e d’acqua smossa,

di erbe trascinate contro voglia,

mi invadono narici. E mi confondo

con tutto quel fracasso naturale:

divento un ramoscello in mezzo al mare.

 

 

 

 

LA SOLITUDINE DEL MARE

 

Sono solo e l’inverno mi percuote

coi suoi venti freddi e burrascosi.

Innalzo le onde fino al sommo cielo

e le porto alla strada per sbirciare

gli addobbi di Natale. Ogni tanto

mi vengono a trovare dei ragazzi

innamorati: seduti sul pattìno,

allungano lo sguardo, incatenati,

tra un bacio e l’altro, fino all’orizzonte.

Mi fanno compagnia. La solitudine

mi fa pensare al mondo, al mio vagare,

mi fa pensare ai giorni dell’estate,

ai tanti corpi immersi dentro me,

alle grazie di giovani fanciulle

che mi lisciavano il corpo. Ora ricordo;

vivo nel rievocare quei momenti,

mi sento triste se mi torna in mente

il pianto di una madre e il suo inveire

contro la risacca, e la corrente,

che portarono via un figlio in fiore,

sperso nei miei fondali. Ma a pensarci   

sono tanti i mortali sprofondati

nelle mie cavità. Ora son solo;

alzo le braccia al cielo e mi imburrasco

per la forza di un vento che d’inverno

mi assale con frustate. Se m’incontri

di questi tempi ombrosi e nuvolosi,

quando il respiro mio si fa più denso,

mi vedi in piena angoscia. Tiro fuori

tronchi, detriti, ciocchi e tavoloni,

spurgo ogni cosa che mi porta il fiume

e riempio la spiaggia di vestigia;

si fanno le mie acque intorbidite;

trovo la pace solo se la luna

frantuma le sue chiome in tante scaglie.

Allora mi riposo. Puoi vedermi

quando arancio le guance e tingo il cielo

degli amplessi fecondi che dal dentro

fuoriescono per visualizzare

l’inquieto stare chiuso dagli scogli

senza poter sfuggire oltre le sponde.

Senza poter capire, e mi tormento,

quello che fuori esiste; e che mi è ignoto.

 

 

 

1 commento:

  1. Vate mio, hai colto quattro perle dalla Silloge "I Dintorni della solitudine" e hai creato una collana di versi così belli che fanno tremare l'anima. "il falcione che più profuma d’erba;", ha assorbito la vita e la fatica di tuo padre, si è umanizzato e riposa abbandonato tra gli utensili da lavoro. Il mare, specchio della tua anima, condannato a vedere "la verità è al di là di quei confini", forse libero di non scorgerla, amico mio, di esistere nell'ebbrezza della libertà assoluta.. La piena del fiume a te caro, " Qui dall’argine l’occhio si spaventa / a mirare la potenza che sprigiona:/ le barche sradicate dai pontili", la forza del suo esondare, della Natura che si ribella e chiede al Serchio di 'bruciare'. E ancora e sempre il nostro mare, nel freddo dell'inverno, vastità azzurra che lascia vibrare l'ulissismo che è in te, pescatore di storie, di viaggi virtuali e reali, di dubbi: "Innalzo le onde fino al sommo cielo /e le porto alla strada per sbirciare /gli addobbi di Natale. Ogni tanto / mi vengono a trovare dei ragazzi /innamorati: seduti sul pattìno,/allungano lo sguardo, incatenati,/tra un bacio e l’altro, fino all’orizzonte." Immagini straordinarie, Nazario mio, echi di Prevért , dei "ragazzi che si baciano in piedi ... / Ed è la loro ombra soltanto che trema nella notte". Hai creato una Raccolta breve e in essa hai racchiuso la poesia del quotidiano, la capacità di superare ogni 'siepe' per inoltrarti nei meandri dell'infinito. Per dare anima agli oggetti, agli elementi del creato, ai gesti d'amore, che sanno nascere tra le bufere per rincuorare, per ricordare che i fanciulli inseguono le visioni con un terzo occhio che non ci è dato comprendere. Il tuo cuore palpita con ritmo di bimbo e conosce antidoti e risposte. Dopo questi versi potrei morire felice... e non ho nessun desiderio di morire. Sei Lirismo e Luce. Grazie di esistere. Ti tengo nel cuore!

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