martedì 27 novembre 2012

Inedito di Giovanni Dino


TI VEDO CON L’ANIMA

 

Riempivamo di significato
i giorni che ci venivano a trovare


Un orto di giugno era la nostra vita
 

Alla prova del pane
al giogo dei giorni
ridonavamo fiducia 
fiumi ci attraversavano l’anima


Maturavamo al fuoco dei sentimenti
ai colori del  cielo
un tetto ai nostri cuori abbiamo costruito
fin le sabbiose prove da adolescenti
                            - giaciglio sicuro per i nostri figli-

 
Stavamo invecchiando  agli occhi di Dio

 
Sereni incontravamo le stagioni
mentre gli anni dei figli travasandosi in noi
ci incanutivano dignitosamente ….
 

D’improvviso una montagna è cresciuta nei tuoi polmoni:                                                                                                                                                                                                                                 black out                                                 
Ora non so dove posi il capo
 chi accoglie i tuoi sogni
 ascolta le tue parole
se pettini ancora al sole con le dita
i riccioli bagnati dal mare
mentre altre stelle ti penetrano il cuore


 Un  muro è fra noi
 e  non è di mattoni e nemmeno d’aria
ma di tormentosa nostalgia
 che urla la mia pena
e nessun santo saggio o poeta
riesce a soccorrermi
mentre un misterioso silenzio
come alba senza cinguettii
 alimenta i miei perché


Le nostre distanze ora
non sono più temporali  di luglio
     - malumori d’umane divergenze- 
che nel nido sotto la tegola lesti ricucivano equilibri
ma di rocciose assenze che turbano l’anima
 di desertiche privazioni a cui mai ci si abitua
 

Eppure ti sento ( inspiegabilmente ) a me vicina 
quando apro gli occhi al mattino
sto alla guida della tua auto
 annaffio le piante sul balcone
o quando mi ritiro nell’orto dei miei Samadhi
fra assolati monosillabi di grilli
e lucertole che a me si approssimano
 

Lì m’accorgo
che vele dalle colonne d’Ercole
vengono ad agitarmi l’anima: 
         non sono io
                              che a te penso
ma tu che bussi nei miei pensieri
                              e a te li chiami
 

E credo di impazzire visionare delirare presagire intuire
Ma sono fantasmi psicotici 
esalazioni di dolore
 parvenze d’ombre
o errabondi ricordi  al torchio di paradisi impossibili


Spesso mi spuntano i tuoi occhi dalle stanze
che mi portano per i luoghi che ci videro sereni
E  ti vedo con l’anima
e nei modi di giovane donna di Laura
nei gusti a tavola di Luca
nei vezzi di tua madre
negli occhi di tuo padre
E ti incontro come un monaco incontra Dio
fra meditazioni e preghiere 
o nelle parole dei nostri amici
 nelle cose che hai toccato voluto originato
nel vuoto  che di te ancora fiata
 

 M’abiti ancora corpo e mente col fuoco di tutti i vulcani
dal primo ciao all’ultimo ballo
dal  primo bacio all’ultimo sguardo mentre evaporavi dalle mie braccia 
 

Mi duole non vederti più
                        baloccare con Luca
conversare con Laura
non saperti più qui
nel contraddittorio calendario
che ci fece innamorare
e ancora di più mi duole saperti irraggiungibile
 

La promessa soffiata all’orecchio nell’ultimo saluto
l’ho legata col sangue al mio nome
ed è ancora stella polare al mio veliero
 

La tua  assenza
la custodisco nel vuoto che mi hai lasciato
santuario nobile dei miei deserti     
miracolo agli occhi che di te si ripete
assieme alle due anime del tuo grembo
ai quali abbiamo dato i nomi della tua solarità
 

Il dopobarba che mi hai donato non mi è più servito


Ti conservo nel vuoto dei miei giorni
che coltivo fra rocce e caverne della mia solitudine
 che rivelano tutto di te
 come Dio nelle Chiese silenziose
 

Ora che il sole ha un’altra luce
e la notte le stelle della mia pena
dimmi almeno come stai
cosa c’è dove ti trovi
e perché dalle palafitte alla luna
nessuno ha raccontato ciò che ha visto
 

Eppure chi ha l’unghie ficcate ai fianchi
della morte annusa l’amaro strisciare
prima che lo risucchi nel budello ancestrale
noi nulla scorgiamo
 dei suoi infamanti  passaggi
 restando con gli occhi gonfi di ricordi
le ossa scavate dal dolore
il cuscino che bestemmia la notte
e i tanti tanti tanti 
come e perché
che nessuna acqua sa dissetare
ma solo sconforto delusione
 che riponiamo deboli o impazientiti nelle mani di Dio


                    Giovanni Dino

 

 

 

 

1 commento:

  1. Questo testo di Giovanni Dino ( valido poeta che, fino a questo momento, mi era ignoto) è un vero e proprio canto, in forma di poemetto, dell'amore coniugale e del dolore per uno strappo, per un'assenza non però totale né definitiva, perché chi vive veramente non muore, e chi sopravvive e ama veramente non dimentica. Una poesia, questa di Dino, che coinvolge e avvince il lettore, trasportandolo nel cuore delle cose, degli affetti, degli oggetti e dei momenti di una quotidianità animata dall'afflato del poeta che in essa si oggettiva. La sua sofferenza diviene la nostra anche, e soprattutto, per la qualità e la novità del dettato poetico.
    Pasquale Balestriere

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