sabato 17 novembre 2012

N. Pardini su "I racconti dell'ombra" di A. Assini


Recensione

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Adriana Assini. I racconti dell’ombra.

Scrittura § Scritture. Napoli. 2012. Pp. 96. € 8,00

 

La poetica di Adriana Assini

In Adriana Assini la fantasia si ciba di Storia e cospira con la Natura per farsi vicenda umana

 

 

Questa nuova fatica di Adriana Assini mi stimola e mi avvince, anche perché, avendo seguito l’autrice nelle diverse fasi del suo percorso artistico, m’invoglia a soddisfare la curiosità di scoprire se c’è continuità, o discontinuità stilistica in queste pagine, se c’è novità nel copyright del suo marchio di fabbrica. E la continuità la trovo proprio in quegli accostamenti poetici che, come veri richiami operistici, mi attraggono ad una lettura estremamente soddisfacente. Ad una lettura che soddisfa, proprio, come un momento versificatorio nella sua più alta effusione lirica.  E in effetti - ed io sono nato e continuo ad essere un critico di testi di poesia più che di prosa – e in effetti mi sto misurando con una prosa che non di rado raggiunge momenti di vero lirismo, quando impennate di vertigini paniche, o scavi di vera analisi psicologica, si traducono in cifre di bellezza espressiva. Bellezza espressiva in cui l’anima trova posto e collocazione giusta per tutte le sue dimensioni. E d’altronde che cosa è la poesia se non che una storia, fatta di sogni, di realizzazioni, di propositi, di illusioni, delusioni, o inquietudini, invenzioni? che cosa se non che memoria  e forza evocativa  che, adattate alla nostra sete d’oltre, si rovesciano sul foglio in corpi ed immagini che l’avviluppano? Questo c’è e non di rado si trova in Adriana Assini  a costituire il nocciolo, il leit motiv del suo narrare: “Figlia della misteriosa Colchide, fiore selvatico dagli occhi più scuri dell’inverno, Medea viveva in un borgo sospeso tra terra e cielo, esposto a tutti i venti. Signora dell’indicibile, sovrana dei poteri occulti, di giorno scrutava le nuvole, col buio interrogava le stelle.” Immaginazione, slancio fantasioso, poesia. “ <<Nulla potrebbe il mio talento se volessi usarlo sulla mia persona>> confessò la strega cedendo a un inconfessabile timore.  A dispetto dei suoi straordinari poteri, era destinata a spegnersi come tutti i comuni mortali, anche se  le sue pozioni segrete riuscivano a dilatare le sue giornate, regalandole ancora molte albe prima dell’inevitabile tramonto.” “Sarò ancora bella, ma poi verrà il declino.”. Questa associazione spontanea di due settenari è un vero verso generoso di armonica significazione. Come non trovare in questi ritmi narrati quel senso eracliteo del vivere contro cui non vale alcun potere!   L’opera è organica e omogenea. Ogni parte, ogni racconto,  rivela l’autenticità della narratrice, il prolungamento delle sue invenzioni creative, il suo modo ed il suo timbro.  E il tutto è segnato da un filo conduttore che è il nerbo delle sue creature. Animo poetico e fantastico. E la fantasia fa parte della vita, ne è il fuoco alimentatore; crea quei milieux utili a che la vita stessa possa permettersi voli che compensino la  parte di noi troppo stretta, troppo legata al fatto di esistere. E’ nelle corde umane azzardare sguardi in fulgidi azzurri che sappiano di amore, di gioia, di oltre, di qualcosa, insomma,  a cui legarci, svincolandoci dalle ristrettezze del  reale.  E così anche il sogno è parte determinante della nostra vicenda; direbbe il poeta: ”Il sogno, la coscienza di esistere, e il repechge delle nostre memorie fanno dell’uomo un inquieto miracolo della natura”.  E l’Assini rispetta le sue regole, i suoi canoni, la sua natura poetico-creativa e fanta-storica: realtà e immaginazione.  Ed è proprio  da là che parte la Nostra. E’ da là che fa iniziare la sua avventura e che assimila tutta la vèrve necessaria per proseguire, analizzare, descrivere, intrecciare e concludere. Conclusioni che ci sorprendono e che saziano la nostra curiosità di sfogliare l’ultima pagina: “Berrand la sapeva troppo lunga…  Preferì invece che quei compari rimanessero ad arrovellarsi le cervella tra un boccale e un altro di birra, e prima che a qualcuno potesse tornare un filo di fiato, saltò i tavoli, imboccò la porta e sui fece vento sparendo tra le acque dei canali.” Quasi un arrivederci dell’autrice che vuole sparire a passi felpati per lasciarci attendere, meditando, il sapore delle sue nuove creazioni.  Ma non si ferma di certo a quei dati, ci troveremmo davanti a romanzi o racconti storici. I personaggi, gli ambienti, le trame di periodi ben precisi vengono dall’autrice assimilati, decantati, e verniciati di un sentire tutto suo, nuovo: novità nella omogeneità della sua arte. Inconfondibile. E la  natura stessa con la sua voce, coi suoi timbri, coi suoi venti, i suoi freddi, i suoi ambienti ora glaciali ora estivi, sembra prendere per mano la scrittrice e, disponibile, ancella virtuosa ed ossequiante, accompagnarla in questo gioco fantastico di vicende e slanci emotivi. Sì!, perché le corse vibranti di colline, o gli spazi salmastri educati all’infinito, o le piane sapide di verdeggianti silenzi, possono senz’altro dare la mano ad uno scrittore per permettergli di declinare in visioni palpabili un’anima tanto spaziosa da non trovare parole sufficienti a identificarsi. “All’indomani, era già giorno da un pezzo quando il maestro orologiaio si risvegliò dal torpore. Aveva sognato valli nebbiose e sentieri senza sbocchi” (Pp. 15); “Vissero insieme per mesi in quella dimora sospesa, a un passo dalle nuvole, lontani da tutto.” (Pp. 17); “Al suo risveglio (si parla di Medea) i corvi erano volati altrove e al loro posto c’era un’allodola” (Pp. 18); “L’orologiaio attraversò boschi e pianure, tra la neve e il gelo. Soltanto a notte alta, inseguito dai lampi…” (Pp. 53); “Nonostante le strade infangate e il vento gelido, percorse ugualmente molte miglia, ma all’ennesimo temporale decise di chiedere riparo al signore di un modesto maniero circondato da aceri vermigli, sui cui rami gracchiavano i corvi.” (Pp.71).    E la Assini sa approfittare di tutto questo e zuppando i suoi pennelli negli azzurri, negli ocra, nelle ombre,  nei sereni, nei canti e nei suoni degli uccelli, da maestra, riesce a concretizzare tutta se stessa non solo in verbi carichi di pathos, ma anche, ed è qui la vivacità del suo poiein, in tutti quegli accostamenti naturali di cui lei ha bisogno e di cui i suoi personaggi hanno bisogno per rilucere schietti e vigorosi.

E se poi  affondiamo la penna nel discorso linguistico, ancora più evidente appare la continuità stlistico-verbale della Nostra. Le sequenze narrative vengono affidate a  quelle dialogiche che con ritmo incalzante si susseguono ora misurate, ora eccitate, ora volitive, ora superbe a dare forza al significato-significante del racconto. E la parola si dilata, si abbrevia,  si prolunga, o si spezza per avvicinare con malizia e generosità l’animo del lettore,  e invogliarlo a scoprire i segreti del suo fantastico procedere. E’ tanto grande , è tanto profondo l’animo dell’autrice, è così supercarico di fatti ed ultra/fatti, che le parole escono come un fiume in piena, portandosi dietro anche ciottoli, e travi, ma, per ritrovarsi , poi, alfine, nello splendore e trasparenza di un’acqua che riflette raggi propensi a illuminare cieli-alcova di storicizzate fantasie. 

Ora a voi saper leggere. Perché “saper leggere” vale di più che “saper giudicare”.

 Nazario Pardini                                                                                           06/11/2012

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