venerdì 2 novembre 2012

P. Balestriere: Dall'Odissea alle "Parracine". Ricerca storico-filologica


NELL’ODISSEA DI OMERO 
LA PIU’ ANTICA TESTIMONIANZA 
DEI MURI A SECCO O “PARRACINE”


di Pasquale Balestriere


 Mi sono imbattuto, leggendo il ventiquattresimo libro dell’Odissea, nei versi in cui si dice che  nella casa di campagna di Laerte e nell’orto circostante Ulisse , ivi recatosi per riabbracciare, dopo tanti anni e tante imprese, il vecchio padre, non incontrò alcun servo, perché -come apprendiamo-  tutti erano andati a raccogliere pietre per costruire un muro alla vigna (all’àra tòi ghe / haimasiàs lèxontes alōềs èmmenai hèrkos / òichont’ ..., Od. XXIV, 223-25) e il vecchio padrone li aveva addottrinati sulla via da seguire per trovare  il posto giusto.  Nel podere  Ulisse vede finalmente il padre che, solo e malvestito, zappa il terreno intorno ad un albero. 
Sono, questi, versi importanti perché in essi  è ravvisabile con discreta limpidezza, come tenterò di  dimostrare,  la prima testimonianza per quanto mi risulta, almeno sotto il profilo letterario, dei muri a secco o “parracine” (come si dicono a Ischia, giacché il termine non esiste nel dialetto napoletano),  di cui, nonostante il cemento trionfante, è ancora  disseminata la nostra isola ( e chissà quanti altri posti d’Italia e del mondo ). 
Preliminarmente va notato: 1)  che la casa di campagna del re Laerte, con il terreno circostante coltivato a vigneto e frutteto, si trova lontano dalla città (nòsphi pòleos, Od. XXIV, 212), e quindi dalla reggia, e su un luogo collinoso o, quanto meno, su un’altura, per la quale il vecchio arranca faticosamente (herpỳzont’anà gunòn  alōềs oinopèdoio...,  Od. I, 193  -trascinandosi sull’altura di terra spianata coltivata a viti);   2) che tale altura è sostanzialmente piana, o magari disposta ad ampi terrazzi, visto che alōề   significa innanzitutto aia, terra spianata; 3)  che il podere di Laerte, proprio per essere posizionato su un rilievo, è esposto ai venti e alle intemperie.
Ma andiamo con ordine. 
Per capire bene il passo che ci interessa,  occorre individuare e circoscrivere il significato di alcuni termini: haimasiàs, da haimasià,  che significa siepe di spini, recinto, materiale per recinto, maceria, riparo, argine, muro di pietra, sassi per cinta ( l’espressione  haimasiàs lèghein   viene normalmente tradotta con raccogliere sassi per innalzare un muro di cinta); alōềs, da alōề, aia, terra spianata,  campo, vigna, orto, giardino, frutteto, fondo; e infine hèrkos, che ha il valore di recinto, chiusura, sbarramento, vallo, riparo, difesa, cinta, steccato, muro, siepe.
Rileggendo il passo, selezionando e combinando accuratamente i significati, emerge  in modo lampante il suo vero senso:  Laerte aveva intenzione di recintare il suo campo più che di contenerlo, o, più verosimilmente, di completarne la recinzione o ripararne qualche tratto franato; che il recinto non era certo costituito da una siepe di spini o  da uno steccato, visto che i servi erano stati mandati a cercar sassi, ma da un muro di pietre.
Né poteva essere diversamente nella “petrosa Itaca” di foscoliana memoria. Innanzitutto perché è nella mentalità del contadino ( e Laerte era un re- agricoltore) che ogni opera sia il più possibile durevole e ciò, nel caso di cui si tratta, non poteva avvenire con steccati di materiale facilmente deperibile; poi perché costruire un muro di pietre a Itaca  era la cosa più normale, vista la natura del territorio.  E infatti Omero definisce Itaca kranaề ( dura, petrosa, rocciosa, aspra, Il. III,201; Od. I. 247; XV, 510; XVI, 124; XXI,346); trēchèia   (aspra, petrosa, sassosa, selvaggia, Od. X, 417 e 463); paipalòessa (dirupata, alpestre, rocciosa, Od. XI,480); ma anche  amphìalos  ( cinta dal mare, Od. I,386, 395; II, 293; XXI, 252); eudèielos (ben visibile, chiara distinta,esposta al sole, aprica, Od. II,167; IX, 21; XIII, 325; XIV, 344; XIX,132). Predomina, dunque, l’idea di un’isola rocciosa, cosparsa di pietre e sassi, aspra, scomoda, scoscesa, con vie strette e del tutto  inadatta, per esempio,  al cocchio e ai cavalli che  Menelao (IV,590 sgg.) voleva donare a Telemaco e che il giovane, proprio per la natura della sua isola, era stato costretto a rifiutare, sia pure con molta cortesia.
Ma torniamo al muro di recinzione che Laerte intendeva far costruire e che, oltre a delimitare la proprietà, doveva avere  una duplice funzione protettiva:  riparare il campo dai rigori invernali e dalle tempeste di vario genere (soprattutto di vento) e difenderlo  dai ladri e dagli animali, specie se questi ultimi erano riuniti in greggi, mandrie o branchi.  E che si trattasse di un muro a secco  già lo lascia supporre il fatto che nell’architettura micenea ( e miceneo o acheo è, come tutti sanno, il mondo descritto da Omero) erano quasi del tutto assenti i materiali coesivi e,  se proprio si voleva usare un collante (però molto approssimativo), si ricorreva a impasti di una sorta di calce con sabbia e ciottolini, se non, semplicemente, a qualche tipo di argilla o di fango più o meno tenace. È, infatti, del V sec. a.C. l’invenzione della  malta da presa, un impasto di calce e harena, pur se la calce, come risulta da ritrovamenti archeologici, era conosciuta ed usata, non si sa quanto propriamente, già dal 7000 a.C. 
Quanto al muro della vigna di Laerte, è altamente improbabile che fosse sarcito con malta, sia perché si trattava di un semplice muro di campagna, e quindi di elementare struttura,  sia perché si tendeva a costruire utilizzando materiali locali per ovvie ragioni, sia perché l’Itaca omerica è isola piuttosto povera o, se si vuole, molto meno ricca di città come Micene, Pilo, Sparta, Atene, Tirinto.  Quest’ultimo dato è testimoniato dal fatto che a Troia Ulisse, pur capitanando i guerrieri di Samo, Zacinto, Itaca e altre isolette, conduce solo 12 navi, una vera miseria rispetto alle 100 di Agamennone (Micene, Corinto,ecc), alle 90 di Nestore (Pilo, Arene,ecc), alle 80 di Idomeneo e Merione (Creta), alle 60 di Menelao (Sparta, ecc.) e di Agapenore (Arcadia), alle 50 di Menestèo (Atene), di Achille (Ftia, Alo, Ellade ecc.)  e così via. Basta dire che solo quattro (su quarantaquattro) condottieri avevano guidato a Troia meno navi di Ulisse. E, per l’Omero dell’Iliade, Itaca, oltre che kranaề, al massimo è selvosa per il Nèrito che agita le fronde (Nềriton einosìphyllon, Il. II, 632; ma anche in Od.  IX, 22), mai ricca. Ciò del resto è implicitamente testimoniato dal grande stupore di Telemaco di fronte all’estrema ricchezza di bronzi, oro, elettro, argento, avorio da cui era abbellita la sala del palazzo di Menelao  nella quale si tiene un banchetto; al punto che il giovane itacese si chiede se non sia simile alla corte di Zeus (Od. IV, 71 sgg.). Tuttavia, nell’Odissea s’incontra  l’espressione  dềmos pìōn
 ( regione feconda o popolo ricco,  XIX, 399) riferita a Itaca o agli itacesi: ma si tratta di occorrenza rarissima e,  per di più,  di una di quelle “dizioni formulari”,  come le chiama Carlo Del Grande,  che nulla aggiungono a quanto già si sa e che appaiono, talvolta,  come autentiche enfatizzazioni, per cui perfino il porcaio  Eumeo diventa “divino” e “glorioso”: dî’Èumaie (XVI, 462; XVII, 508; XXI, 234; XXII, 157) e dîon yphorbòn (glorioso porcaio, XXI, 80).
Per tutti questi motivi, il muro che doveva essere costruito nel podere di Laerte  non poteva essere che a secco. E dunque una “parracina”.  Se ne incontrano  tante sull’isola d’Ischia, soprattutto nelle zone interne, anche a ridosso della strada statale; molte sono di contenimento, alcune di recinzione e di protezione. Di quest’ultimo tipo vi sono esempi significativi nel territorio del Comune di  Barano, in particolare sulla dorsale della costa Sparaìna, un luogo davvero esposto a tutti i venti, eccetto -in parte- quelli provenienti da nord,  e nella zona di Forìo.
Del resto l’etimologia della parola reca in sé l’idea del riparo, della difesa, della protezione, sia che si faccia derivare il termine da paràkeimai, giaccio accanto o lungo o di costa, sia da perìkeimai, giaccio intorno, sia da parà (con idea di opposizione) e chèima, -atos , contro la tempesta, il tempo invernale.
La parracina, antica anche nel nome.

Buonopane, 15/26  settembre 2012                                                   
Pasquale Balestriere



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