lunedì 19 novembre 2012

N. Pardini su "La visione assorta" di S. Venuti


Silvia Venuti. LA VISIONE ASSORTA. 
Interlinea Edizioni. Novara. 2012. Pp. 128. 14,00

La nobiltà della vita
in
Silvia Venuti

Mi dà pace
questa sensazione
di conosciuto
che sta sospesa
tra sentire, ricordo,
luce, aria e suono.

La prima cosa che ci colpisce del testo di Silvia Venuti  è la capacità di saper racchiudere in un lampo verbale la possibile immensa impossibilità che un’anima, inquieta e inquietante, ci comunica in un’avventura zeppa di quotidianità. E il tutto si snocciola su un piano metaforico unisono e compatto, delicato e morbido,  disposto ad aiutare e a invigorire il significato del poiein con un significante tecnico-figurato di spessore. E d’altronde se la Nostra riesce ad avere nel cuore una  mimosa piena di vento, o se riesce a pensare a un vento alto nei rami a portare in alto pensieri e sentimenti, o se riesce a vedere montagne che si vestono d’alba, o tristezze  mute che si appoggiano sui colori e al suolo, è segno evidente che sa fare della parola un congegno talmente duttile, flessibile, ed anche ultra/sintattico, da raggiungere le vette brillanti verso cui si proietta il pensiero.  E non sempre, come sappiamo, la parola è sufficiente a rivestire gli intenti emozionali  che tendono a sradicarsi dalla caducità degli autunni.

Le definizioni dei nomi,
i significati ad essi rappresi,
stanno sopra la rupe del vero
a guardare l’abisso
del vuoto, del nulla. (Pp. 46).

E questo è l’uomo. E’ radicato a  terra, ma con lo spirito teso a svincolarsene per proiettarsi con slanci intellettivo-emotivi  verso il mistero. Quel mistero di cui la poesia si ciba. Ed è un raffronto impossibile quello fra la parola e lo spirito: parte di noi non commisurabile a parametri caduchi. E la parola è capace di contenere il tutto? la nostra pluralità? le nostre impennate verticali? E’ da là che deriva la nostra inquietudine di esseri umani, dal fatto che uno spazio autunnale, con tutto il suo sapore mortale, non contiene niente di primaverile, di verzicante augurio. Ed allora si indaga, si azzarda, si rovescia l’anima e il pensiero oltre la siepe, abbandonando i nostri piedi  alla morsa della terra. Ed è il vuoto che spesso ci accoglie senza garanzie, con il suo nulla e con il suo rumoreggiante silenzio. Forse è il rosa dell’alba, o il tenero sfumarsi della sera, o lo slargo dei cieli, o l’infinita profondità dei  mari ad aiutarci in questa avventura verso l’oltre che tanto sa di poesia. Ma è dalla vita, dai suoi rocamboleschi giochi, dalle sue maglie che dobbiamo partire. Una  volta zeppi dei suoi intrichi, una volta che abbiamo assaporato i suoi spazi e le sue sottrazioni, possiamo farne materia di sublimazione.

C’è un cielo di tenerezza
tra nuvole e mare
una linea infinita
dilata l’orizzonte
nell’ora quieta
come si amore fosse visione.
Pigra l’onda rallenta
e ai sensi è perfezione. (Pp. 29).

Questo doloroso
angolo di lago,
è quanto di spazio
è concesso
alla mia libertà.
Sono io a dire
<<Si quieti l’anima,
si ascoltino Dio e i morti>> (Pp. 17).
Il mare d’inverno
ha una sua strana integrità,
(…)
Eppure si offre alla contemplazione
con intensità senza uguali,
perché deserto e inaccessibile. (Pp. 110).

Mi domando come potrebbe fare poesia  la Nostra senza l’esistenza  di quei tratti naturistici che tanto rassomigliano alle pulsioni della vita. Senza il mare, la sera, l’alba, il vento o il tramonto. Ti avvolgono con tutta la loro simbologia, con tutta la loro forza evocativa, se la verità è vento fresco al viso o se un albero si espande / nella chioma e nelle radici/ e  le sue foglie bevono luce/ dalle sintonie spirituali. o se Nicchie d’ombra/ tremano sull’onda/quando è madreperla/ il mare  oppure, ancora, se una vera metamorfosi  antropo-panica evidenzia una grande intensa  fusione fra crescita e visione:

Si dibattono al vento,
nello specchio nitido
dell’acqua, le foglie.
Attendo e guardo
la  mia crescita
attraverso la visione. (Pp. 7).

Sì!, è proprio questo gioco a rendere corposo il verso della poetessa. Questo intarsio di foglie, radici, venti, luci, ombre, silenzi,  nebbie, cieli, a dare vita a frammenti d’anima che trovano una giusta corrispondenza ai  loro dubbi,  alle loro speranze,  e al loro credo. Sì!, perché, anche se una fragile percezione di caducità transita sinuosa e sottile fra l’intrecciarsi dei versi, rendendo umano e saporito, e a noi vicino il messaggio dell’autrice; e anche se la vita fugge e il presente non esiste; e anche se ci accorgiamo della nostra precarietà solamente guardando lo scorrere del tempo sul volto “dei giovani di allora”

Non è lo sguardo alla vecchiaia
Che  mi muove a lacerante compassione,
ma il cogliere nei giovani d’allora,
quell’ombra del tempo dilatarsi
come meschino, ingiusto tradimento. (117).

questo  canto è intriso di luce Universale, di mete ideali, di fede a cui affidare l’anima.

(…)
Tutto è lieve e si offre,
immagine di sé,
a raccogliere
il respiro dell’Universo. (Pp. 58).

Resiste nel cielo
un profilo illuminato
di nuvole,
una meta ideale,
una fede a cui credere. (Pp. 59).

E non nasconde LA VISIONE ASSORTA attaccamento e fiducia a questa nobile avventura che è la vita.

Un perpetuo equivoco tra noi e il mondo,
segnato da pene di generazioni.
Sospendere il dolore per amare,
con rettitudine di sguardo, la nobiltà della vita. (Pp. 95).

Sì!, amarla, amarla con tutti noi, con catartica funzione a riguardo degli errori della Storia, pensandola sacra:

La sacralità della vita
nelle rughe della mia mano.
E’ il dono del tempo
e poter pensare
questo pensiero
è ancora miracolo allo spirito. (88).

Nazario Pardini                     15/11/2012

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