Silvia
Venuti. LA VISIONE ASSORTA.
Interlinea Edizioni. Novara. 2012. Pp. 128. € 14,00
La
nobiltà della vita
in
Silvia
Venuti
Mi dà pace
questa sensazione
di conosciuto
che sta sospesa
tra sentire, ricordo,
luce, aria e suono.
La
prima cosa che ci colpisce del testo di Silvia Venuti è la capacità di saper racchiudere in un
lampo verbale la possibile immensa impossibilità che un’anima, inquieta e
inquietante, ci comunica in un’avventura zeppa di quotidianità. E il tutto si
snocciola su un piano metaforico unisono e compatto, delicato e morbido, disposto ad aiutare e a invigorire il
significato del poiein con un significante tecnico-figurato di spessore. E
d’altronde se la Nostra riesce ad avere nel cuore una mimosa
piena di vento, o se riesce a pensare a un vento alto nei rami a portare in alto pensieri e sentimenti, o se
riesce a vedere montagne che si vestono
d’alba, o tristezze mute che si appoggiano sui colori e al suolo,
è segno evidente che sa fare della parola un congegno talmente duttile,
flessibile, ed anche ultra/sintattico, da raggiungere le vette brillanti verso
cui si proietta il pensiero. E non
sempre, come sappiamo, la parola è sufficiente a rivestire gli intenti
emozionali che tendono a sradicarsi
dalla caducità degli autunni.
Le definizioni dei nomi,
i significati ad essi rappresi,
stanno sopra la rupe del vero
a guardare l’abisso
del vuoto, del nulla. (Pp.
46).
E
questo è l’uomo. E’ radicato a terra, ma
con lo spirito teso a svincolarsene per proiettarsi con slanci intellettivo-emotivi verso il mistero. Quel mistero di cui la poesia
si ciba. Ed è un raffronto impossibile quello fra la parola e lo spirito: parte
di noi non commisurabile a parametri caduchi. E la parola è capace di contenere
il tutto? la nostra pluralità? le nostre impennate verticali? E’ da là che
deriva la nostra inquietudine di esseri umani, dal fatto che uno spazio
autunnale, con tutto il suo sapore mortale, non contiene niente di primaverile,
di verzicante augurio. Ed allora si indaga, si azzarda, si rovescia l’anima e
il pensiero oltre la siepe, abbandonando i nostri piedi alla morsa della terra. Ed è il vuoto che
spesso ci accoglie senza garanzie, con il suo nulla e con il suo rumoreggiante
silenzio. Forse è il rosa dell’alba, o il tenero sfumarsi della sera, o lo
slargo dei cieli, o l’infinita profondità dei
mari ad aiutarci in questa avventura verso l’oltre che tanto sa di
poesia. Ma è dalla vita, dai suoi rocamboleschi giochi, dalle sue maglie che
dobbiamo partire. Una volta zeppi dei
suoi intrichi, una volta che abbiamo assaporato i suoi spazi e le sue sottrazioni,
possiamo farne materia di sublimazione.
C’è un cielo di tenerezza
tra nuvole e mare
una linea infinita
dilata l’orizzonte
nell’ora quieta
come si amore fosse visione.
Pigra l’onda rallenta
e ai sensi è perfezione. (Pp.
29).
Questo doloroso
angolo di lago,
è quanto di spazio
è concesso
alla mia libertà.
Sono io a dire
<<Si quieti l’anima,
si ascoltino Dio e i
morti>> (Pp. 17).
Il mare d’inverno
ha una sua strana integrità,
(…)
Eppure si offre alla
contemplazione
con intensità senza uguali,
perché deserto e
inaccessibile. (Pp. 110).
Mi
domando come potrebbe fare poesia la
Nostra senza l’esistenza di quei tratti
naturistici che tanto rassomigliano alle pulsioni della vita. Senza il mare, la
sera, l’alba, il vento o il tramonto. Ti avvolgono con tutta la loro
simbologia, con tutta la loro forza evocativa, se la verità è vento fresco al viso o se un albero si espande / nella
chioma e nelle radici/ e le sue foglie
bevono luce/ dalle sintonie spirituali. o se Nicchie d’ombra/ tremano
sull’onda/quando è madreperla/ il mare oppure, ancora, se una vera metamorfosi antropo-panica evidenzia una grande intensa fusione fra crescita e visione:
Si dibattono al vento,
nello specchio nitido
dell’acqua, le foglie.
Attendo e guardo
la mia crescita
attraverso la visione. (Pp.
7).
Sì!,
è proprio questo gioco a rendere corposo il verso della poetessa. Questo
intarsio di foglie, radici, venti, luci, ombre, silenzi, nebbie, cieli, a dare vita a frammenti
d’anima che trovano una giusta corrispondenza ai loro dubbi, alle loro speranze, e al loro credo. Sì!, perché, anche se una
fragile percezione di caducità transita sinuosa e sottile fra l’intrecciarsi
dei versi, rendendo umano e saporito, e a noi vicino il messaggio dell’autrice;
e anche se la vita fugge e il presente non esiste; e anche se ci accorgiamo
della nostra precarietà solamente guardando lo scorrere del tempo sul volto
“dei giovani di allora”
Non è lo sguardo alla
vecchiaia
Che mi muove a lacerante compassione,
ma il cogliere nei giovani
d’allora,
quell’ombra del tempo
dilatarsi
come meschino, ingiusto
tradimento. (117).
questo
canto è intriso di luce Universale, di
mete ideali, di fede a cui affidare l’anima.
(…)
Tutto è lieve e si offre,
immagine di sé,
a raccogliere
il respiro dell’Universo. (Pp.
58).
Resiste nel cielo
un profilo illuminato
di nuvole,
una meta ideale,
una fede a cui credere. (Pp.
59).
E
non nasconde LA VISIONE ASSORTA
attaccamento e fiducia a questa nobile avventura che è la vita.
Un perpetuo equivoco tra noi e
il mondo,
segnato da pene di
generazioni.
Sospendere il dolore per
amare,
con rettitudine di sguardo, la
nobiltà della vita. (Pp. 95).
Sì!,
amarla, amarla con tutti noi, con catartica funzione a riguardo degli errori
della Storia, pensandola sacra:
La sacralità della vita
nelle rughe della mia mano.
E’ il dono del tempo
e poter pensare
questo pensiero
è ancora miracolo allo
spirito. (88).
Nazario
Pardini 15/11/2012
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