LA NON POESIA
Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
E'
scritto nel blog di Linguaglossa: "Così, scopriamo che la poesia ha a che
fare con l’illusione e l’abbaglio, piuttosto che con la certezza e la verità,
categorie che... (pongono) in dubbio ciò su cui si edifica il mondo
dell’edificabile... L’illusione è lo specchio della verità: anzi, è la verità
che si guarda allo specchio. L’abbaglio, l’illusione, l’illusorietà delle
illusioni, lo specchio, il riflesso dello specchio, il vuoto che si nasconde
dentro lo specchio, il vuoto che sta fuori dello specchio, che è in noi e in
tutte le cose, che è al di là delle cose, che è in se stesso e oltre se stesso...
La petizione panlinguistica propria delle poetiche del Novecento scivola invariabilmente nell’ombelico autoreferenziale. Il linguaggio poetico è diventato un linguaggio che si ciba di linguaggio, una dimensione auto-fagocitatoria. Che lo si voglia o no, la poesia del Novecento e del Post-Novecento è stata colpita a morte dal virus del panlogismo". Ed è ciò, secondo la profezia di Foucault, che provocherà nel linguaggio stesso, ossia nella civiltà, un corto circuito, un black out, un'autodistruzione. In pratica, una nuova Torre di Babele. Sono amico di Linguaglossa e sono più volte intervenuto ne "L'ombra delle parole" sostenendo tesi favorevoli alla NOE per motivi diametralmente opposti a quelli ufficiali. Non sono un nichilista, ma del nichilismo apprezzo l'istanza annullatrice e distruttiva senza la quale non c'è, né può esserci, rinnovamento di valori. Volendo, la mia visione del mondo può essere avvicinata a quella apocalittica e palingenetica, millenarista, di un profeta biblico. La cultura del Nulla conduce inevitabilmente nel baratro, ma cos'altro è il baratro se non il nascondiglio dell'Essere da cui parte e riparte sempre l'avventura della vita? Cos'altro è il Nulla se non un Tutto rovesciato? e cos'è il Tutto se non un Nulla capovolto? Il Vuoto ed il Pieno stanno l'uno nell'altro e sarebbe davvero ora di smetterla di pensare in maniera ingenua ed unidimensionale. L'alba conduce sempre al tramonto e l'inverno alla primavera. Il capovolgimento è la regola universale. Mentre le culture arcaiche erano dominate dall'idea dell'Armonia dei contrari, il razionalismo (metafisico o nichilistico non fa differenza alcuna) ha iniziato a viaggiare a senso unico nella direzione univoca del dubbio o della fede, della certezza o dell'incertezza, della verità o dell'illusione, senza pensare che l'una occorre all'altra in una sana visione della vita. Credere nella natura, com'è nella weltanschauung di Nazario Pardini, non significa altro che credere in questa relazione, in questa armonia fondata sulla disarmonia, in quest'abbraccio della morte con la vita che non ha alcunché di idealistico, o di romantico, di bucolico o di arcadico, di sentimentale, ma molto invece di misterico e abissale, se vogliamo di pagano. Quando un poeta (se vero poeta) evoca un mondo (qualunque mondo: quello tecnologico come quello contadino), lo fa da mitopoieta e non da mitologo. Non è uno storico, né un cronista. Non è un sociologo e neppure un antiquario. Egli è un creativo, necessariamente immerso nei processi creativi del creato fondati sulla Relazione. Egli parla di archetipi, di figure simboliche, parla ossia di RELAZIONI. L'"illo tempore" del mito non è un tempo storico (passato, futuro o attuale), ma è il tempo della REALTA' che pone in RELAZIONE "ciò che scorre" con "ciò che è", ciò che muta con ciò che resta immutato nella mutazione. Il mito (che è l'unica realtà possibile) sta in questo mistero dicotomico, in questa capacità relazionale, appunto, in questa simbologia ("symbolon" = "relazione"). Quando un poeta come Pardini evoca il mondo contadino, non è al passato che pensa, ma all'uomo di sempre, che può anche essere l'odierno uomo tecnologico, laddove, lavorando tenacemente su se stesso, riesca a non smarrire la capacità di stabilire relazioni autentiche, come sta purtroppo e invece accadendo a dispetto delle comunicazioni senz'anima cui ci stiamo abituando, lasciando che l'equilibrio esca di scena. Di buon senso e di realismo, al contrario, è stata dispensatrice la cultura contadina, maestra nello stabilire relazioni d'anima tra uomini e tra uomo e natura. Non era un mondo ingenuo ed incantato, quello contadino, come spesso usa dire chi vive imbambolato e imbalsamato nei paradisi artificiali e virtuali della tecnologia. Bisogna liberarci da questa cultura del miraggio, riportando il progresso tecnologico entro i giusti binari delle strategie ampiamente note e praticate in natura. In discussione, ovviamente, non è il progresso scientifico e tecnologico, la cui utilità non è certo ignorata dalla cultura contadina, bensì lo squilibrio tecnologico, differenza su cui non credo sia necessario insistere in questa sede. E allora ben venga il messaggio stralunato e dirompente, tutt'altro che ingenuo, di un poeta come Pardini. Messaggio liberatorio che tra l'altro proviene da un uomo totalmente immerso nel mondo della tecnica, animatore di uno dei blog letterari tra i più seguiti su scala nazionale. Certamente il suo linguaggio non può essere quello di un poeta ventenne che viva oggi in una grande metropoli, lui che è anziano e che vive in una graziosa, vivace ed ancora umanissima realtà della provincia toscana. Tuttavia non ho dubbi: se quel ventenne di oggi sente il desiderio di essere autenticamente umano, non può che sentirsi fraternamente coinvolto nella semplicità e nella grandezza della poesia pardiniana. E non è certo all'Io intimistico e razionalistico, comunque autoreferenziale che intendo riferirmi, ritenendolo il maggiore responsabile dell'inautentico e del disumano.
La petizione panlinguistica propria delle poetiche del Novecento scivola invariabilmente nell’ombelico autoreferenziale. Il linguaggio poetico è diventato un linguaggio che si ciba di linguaggio, una dimensione auto-fagocitatoria. Che lo si voglia o no, la poesia del Novecento e del Post-Novecento è stata colpita a morte dal virus del panlogismo". Ed è ciò, secondo la profezia di Foucault, che provocherà nel linguaggio stesso, ossia nella civiltà, un corto circuito, un black out, un'autodistruzione. In pratica, una nuova Torre di Babele. Sono amico di Linguaglossa e sono più volte intervenuto ne "L'ombra delle parole" sostenendo tesi favorevoli alla NOE per motivi diametralmente opposti a quelli ufficiali. Non sono un nichilista, ma del nichilismo apprezzo l'istanza annullatrice e distruttiva senza la quale non c'è, né può esserci, rinnovamento di valori. Volendo, la mia visione del mondo può essere avvicinata a quella apocalittica e palingenetica, millenarista, di un profeta biblico. La cultura del Nulla conduce inevitabilmente nel baratro, ma cos'altro è il baratro se non il nascondiglio dell'Essere da cui parte e riparte sempre l'avventura della vita? Cos'altro è il Nulla se non un Tutto rovesciato? e cos'è il Tutto se non un Nulla capovolto? Il Vuoto ed il Pieno stanno l'uno nell'altro e sarebbe davvero ora di smetterla di pensare in maniera ingenua ed unidimensionale. L'alba conduce sempre al tramonto e l'inverno alla primavera. Il capovolgimento è la regola universale. Mentre le culture arcaiche erano dominate dall'idea dell'Armonia dei contrari, il razionalismo (metafisico o nichilistico non fa differenza alcuna) ha iniziato a viaggiare a senso unico nella direzione univoca del dubbio o della fede, della certezza o dell'incertezza, della verità o dell'illusione, senza pensare che l'una occorre all'altra in una sana visione della vita. Credere nella natura, com'è nella weltanschauung di Nazario Pardini, non significa altro che credere in questa relazione, in questa armonia fondata sulla disarmonia, in quest'abbraccio della morte con la vita che non ha alcunché di idealistico, o di romantico, di bucolico o di arcadico, di sentimentale, ma molto invece di misterico e abissale, se vogliamo di pagano. Quando un poeta (se vero poeta) evoca un mondo (qualunque mondo: quello tecnologico come quello contadino), lo fa da mitopoieta e non da mitologo. Non è uno storico, né un cronista. Non è un sociologo e neppure un antiquario. Egli è un creativo, necessariamente immerso nei processi creativi del creato fondati sulla Relazione. Egli parla di archetipi, di figure simboliche, parla ossia di RELAZIONI. L'"illo tempore" del mito non è un tempo storico (passato, futuro o attuale), ma è il tempo della REALTA' che pone in RELAZIONE "ciò che scorre" con "ciò che è", ciò che muta con ciò che resta immutato nella mutazione. Il mito (che è l'unica realtà possibile) sta in questo mistero dicotomico, in questa capacità relazionale, appunto, in questa simbologia ("symbolon" = "relazione"). Quando un poeta come Pardini evoca il mondo contadino, non è al passato che pensa, ma all'uomo di sempre, che può anche essere l'odierno uomo tecnologico, laddove, lavorando tenacemente su se stesso, riesca a non smarrire la capacità di stabilire relazioni autentiche, come sta purtroppo e invece accadendo a dispetto delle comunicazioni senz'anima cui ci stiamo abituando, lasciando che l'equilibrio esca di scena. Di buon senso e di realismo, al contrario, è stata dispensatrice la cultura contadina, maestra nello stabilire relazioni d'anima tra uomini e tra uomo e natura. Non era un mondo ingenuo ed incantato, quello contadino, come spesso usa dire chi vive imbambolato e imbalsamato nei paradisi artificiali e virtuali della tecnologia. Bisogna liberarci da questa cultura del miraggio, riportando il progresso tecnologico entro i giusti binari delle strategie ampiamente note e praticate in natura. In discussione, ovviamente, non è il progresso scientifico e tecnologico, la cui utilità non è certo ignorata dalla cultura contadina, bensì lo squilibrio tecnologico, differenza su cui non credo sia necessario insistere in questa sede. E allora ben venga il messaggio stralunato e dirompente, tutt'altro che ingenuo, di un poeta come Pardini. Messaggio liberatorio che tra l'altro proviene da un uomo totalmente immerso nel mondo della tecnica, animatore di uno dei blog letterari tra i più seguiti su scala nazionale. Certamente il suo linguaggio non può essere quello di un poeta ventenne che viva oggi in una grande metropoli, lui che è anziano e che vive in una graziosa, vivace ed ancora umanissima realtà della provincia toscana. Tuttavia non ho dubbi: se quel ventenne di oggi sente il desiderio di essere autenticamente umano, non può che sentirsi fraternamente coinvolto nella semplicità e nella grandezza della poesia pardiniana. E non è certo all'Io intimistico e razionalistico, comunque autoreferenziale che intendo riferirmi, ritenendolo il maggiore responsabile dell'inautentico e del disumano.
Franco Campegiani
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