venerdì 1 marzo 2019

M. GRAZIA FERRARIS COMMENTA: "VERSO LA LUCE" DI NAZARIO P.


Commento a  Verso la luce, di N. Pardini.



Nazario Pardini. I dintorni della solitudine.
Guido Miano Editore. 2019

   
Camminavo,/e camminavo sempre, e camminavo…”: l’anafora ci introduce nell’itinerario progettuale di una vita di grande impegno poetico ed umano: “cercavo la luce”. Ben impegnativo essere un viandante, su un cammino che si sta dipanando mentre lo percorri, inesistente prima del cammino stesso.
La lirica ci propone una biografia tutta interiore, una lunga strada percorsa con fatica con la tentazione nostalgica di girarsi indietro, nondimeno percorsa con consapevolezza seguendo tutto il sentiero delineato dalla vita. È un itinerario, mentale e psicologico, una storia coinvolgente e piena di sospensioni  visive e suspense emotive, raccontata con un ritmo a tratti drammatico, con pregnanti antitesi, in un climax di crescente coinvolgimento doloroso e poetico, come quella di un autentico viandante pellegrino che cammina e cammina e cammina.. per valli e monti, campagne e fiumi, con fatica, con timore e tremore, sperduto tra rovi e sterpaglie…, simile al vecchierel di petrarchesca ascendenza, in assoluta solitudine, lungo un muro scuro, tenebroso, che lascia nondimeno intravedere un filo forse illusorio di chiarore. Una luce nondimeno.
È un invito all’umiltà, alla prostrazione nella richiesta di aiuto. E l’aiuto non può venire che dalle presenze amorose che hanno caratterizzato la vita del nostro Viandante: il fratello, il padre, che lo invitano al recupero della memoria, delle antiche speranze…: meta? Salvezza? Punto fermo ineludibile? Riprende il viaggio, sicuro e reale, senza i dubbi e le incertezze delle astrazioni filosofiche giovanili di ricerca, questa volta verso una meta precisa- il focolare della strada stretta di campagna- dove l’attende la madre e il compagno amico di tempi lontani- col quale ritornerà al vecchio fiume che li vide pieni di illusioni, sereni, giovani e giocosi.
È pur  consapevole che anche questa è una meta provvisoria, illusoria, il nostro Viandante: non si vive di soli ricordi; da sé dovrà trovare il modo di vincere il muro d’ombra che gli impedisce il possesso di sé e del suo equilibrio, della luce, della meta agognata.
E riprende l’infinito viaggio…tra boschi intricati e selvaggi che annunciano forse l’eden vicino…quello dell’eterna immortale poesia. Il paesaggio è luminoso, si ode lo scroscio di acque, le piante sono verdi e vitali, gli  uccelli colorati, il cielo azzurro, i  fiori multicolori , profumi di una natura incontaminata nella quale smarrirsi. Il mondo perfetto della divinità, della poesia, forse, la meta.
 Sogno o realtà? (“Ma ero vivo,/o dentro me costruivo una coscienza/che non aveva a che fare col reale?”) : una domanda inquietante e decisiva. La divina Natura manifestatasi come dea, Silva, la dea della purezza, gli impone di riprendere il cammino: quello che vede è fumo, illusione.
Inutili le proteste del nostro stanco viaggiatore, che non vorrebbe muoversi  da quella agognata realtà, la dea scompare lasciandolo solo e vuoto.
Ed è di nuovo necessariamente in viaggio, forse l’ultimo viaggio che lo aspetta, consapevole che è il reale non immaginario che lo attende, ancora gravido di bellezze non astratte, quelle invano inseguite, ma di realtà minime, quotidiane, decantate dalle ambizioni giovanili. Solo in questo sforzo finale potrà ritrovare il senso autentico della sua ricerca di una vita, il senso del suo cammino.
Ed eccolo il ritorno coraggioso e consapevole: di sera, al tramonto, con luci stanche, smorzate in cui riconosce il paesaggio consueto. Ed è pure paesaggio di  luce, chiara, consolante. È così facile dire che non era quello che cercava?La domanda finale implicita ci apre a una saggezza antica, a un amore autentico mai rinnegato che ha segnato tutto il percorso di vita, quello della luce della poesia, come dimostra la sapiente costruzione della lirica, in cui gli strumenti espressivi sono diventati tutt’uno con il faticoso andare, quelli della riflessione e del pensiero dialogante.

M. Grazia Ferraris



DAL TESTO


Vero la luce


Cercavo la luce. Camminavo,
e camminavo sempre, e camminavo,
per monti valli e fiumi. Per campagne,
per boschi. Mi infilavo tra i rovi e
le  sterpaglie: il mio corpo sanguinava:
ogni parte: le mani, le ginocchia,
il viso, e le speranze. Quando fuori
da tanta solitudine, mi apparve
un filo di chiarore per condurmi
al flebile messaggio: “Eccomi giunto,
sono oramai vicino”.
Ma un muro della tenebra più nera
affiancò il mio impavido viaggio.
Aprii un grande squarcio
tra il folto divorare di ogni tratto.
È lì che mi prostrai dinanzi al cielo,
che chiesi a quelle nubi di svanire
e indicarmi la strada della luce.
Apparve mio fratello poi mio padre,
l’uno col volto carico di gioia,
l’altro col volto sorridente e pio.
In coro di sussurri mi si volsero
ricordandomi percorsi ormai smarriti
nel tempo divorati dalle brume:
“Devi ricostruire la tua vita,
devi portare a galla le  memorie
di quando assieme stemmo sulla terra
ad imbastire giochi di speranza,
a ribellarci a squallide presenze
uniti nel vessillo dell’amore.
Continua il tuo cammino rafforzando
con i ricordi il resto della vita.”.
C’era dinanzi a me uno stradone,
che mi portava dritto a un  focolare
di una casa stretta di campagna
che conteneva tutte le mie cure.
La presi svelto con un nuovo ardore.
A metà via vidi che mia madre
mi attendeva come ai tempi andati
con in mano le vesti fresche e nuove
da porgermi al ritorno dalla scuola.
Poi incontrai un amico un po’ velato
che mi portò sul fiume ove fissammo
un patto d’amicizia: “Caro amico,
dammi una mano a ritrovare ancóra
le parole che usammo in quella sponda.”.
“Io posso solamente ritornare,
-questo mi è dato- sulla riva del fiume,
per squarciare la tenebra invernale
e riportarti un’ora a primavera.
Devi trovare poi con le tue forze
il modo di vincere quel muro
che ti impedisce di vedere chiaro.
Ricordati di me, dell’amicizia,
ricordati del volto di tuo padre,
della grandezza umana del fratello,
della bontà decisa di tua madre.
Ricordati di un giorno della vita,
di quello che ritieni il più importante.
Fanne tesoro! Da lì potrai partire
per i giardini in fiore del prosieguo,
luogo dove risplende un gran lucore
e dove non c’è posto per la  notte.”.

Mi lasciarono solo quelle immagini,
e da solo dovetti ripartire
di nuovo sperduto nei meandri
di una selva intrecciata di legami
alborei, di liane tanto spesse
da affogare ogni altra inflorescenza.
Mi apparve poi un varco in mezzo ai rami,
ed ascoltai un fragore di cascata:
là corsi a perdi fiato; uno scrosciare
mi si aprì di sorgente fragoroso
in mezzo a piante vigorose e verdi
che tenevano in seno  uccelli a branchi
dai piumaggi più vari. Un’aria fresca
di piccole molecole cosparsa
mi ripuliva il volto dalle scorie
che avevo accumulate nel tragitto.
Che bella vista! Che gioia ritrovare
una natura schietta, all’apparenza
simile a quella che tanti anni prima
avevo amata come mia sorella.
Corsi di getto sotto quell’azzurro
che confondeva il cielo. Mi saziai,
ne bevvi a dismisura, mi  bagnai
anima e corpo in quella  fioritura
di bellezze supreme. In mezzo alle acque
c’erano fiori gialli, bianchi, verdi,
di ogni levatura a profumare
l’innocenza primordiale di quel luogo.
Ritornò il sole, l’aria si fece larga,
gli uccelli fendevano il sereno,
i profumi inebrianti mi portavano
a rivivere sogni mai sognati,
a rivivere ancora. Ma ero vivo,
o dentro me costruivo una coscienza
che non aveva a che f are col reale?
Fu là che dal bel mezzo della selva
uscì una fanciulla nuda e bella,
dai riccioli cadenti giù sul dosso;
mi si posò dinanzi e sorridente
parlò come una ninfa che si leva
dal mare di Zacinto per contorno
alla cipride dea: “Tu non puoi,
umano fra gli umani, stare qui
a gioire delle bellezze eterne
che Natura dispensa a larghe mani.
Continua il tuo cammino, altra selva
ti aspetta ed altre notti da cornice
alle tue brame. Quello che vedi è fumo,
è solamente parte di un tuo sogno
che speri realizzarsi. Io sono Silva  
la dea della purezza, la dea eterna
che vive in mezzo ai boschi ormai lontana
dalle vicende tue. Sono protetta 
da fiumi e getti d’acqua che gli umani
mai potranno più vivere. È strano
che tu ti sia imbattuto in questo luogo
lontano dalle grinfie dei terrestri.
“Ma io ho già solcato boschi e selve,
ricuperato ho già le mie memorie,
ho di nuovo incontrato padre e madre,
le amicizie; e son loro che mi dissero
di percorrere la  via dell’amore,
quella dell’amicizia, quella dei
tempi sacri, in cui era ambizione
vivere con te e con te morire.”.
D’un tratto Silva si dissolse in aria,
sparirono i bei frutti all’orizzonte,
come i getti sparirono nell’ombra,
come i fiori cessarono il profumo
che attorno lievitava. Restai vano;
senza ancoraggio, senza alcun principio.
Udii solo una voce: “Torna a noi,
non puoi godere di una luce astratta            
che non fa parte del tuo credo antico.
Torna ai tuoi passi. Prendi quella via
che ti riporta in seno al tuo reale,
intero, con le tue memorie, e i canti
che più volte hai scritti con i crucci
che sono di un mortale. Porta il peso
di un uomo che ha tradito, che ha vissuto
il male del presente. Ripartendo da lì,           
dalla vita concreta, dai dolori del mondo,
potrai incontrare Silva, la bellezza,
potrai aspirare al tutto; all’innocenza;
per ora godi il tempo di un traguardo
che ti rivede a casa, a casa tua,
con la tua vita e tutte le radici
di quelli che ti dettero una storia.
Ma lotta, continua e ricercare
quella luce che offende l’ignoranza
e dà la gioia a quelli che l’ambiscono.”.

Eccolo il mio ritorno. Fu di sera,
quando il sole pungeva l’orizzonte,
quando il mare fremeva di bonaccia,
quando l’aria si volgeva al tardi;
non era quella la luce che cercavo.  
Ma quando scorsi i tratti  del mio fiume,
la casa stretta delle mie memorie,
e i prati sanguinosi della sera,
forse non era luce,
forse non era
quella che io bramavo,
ma pur sempre la luce, quella chiara,
quella di casa mia. 
Chi dice che non fosse
quella che io cercavo.

24/09/2018
  
 (...)

3 commenti:

  1. "Sogno o realtà?", si chiede la Ferraris, commentando da par suo questo stupendo canto pardiniano: "Ma ero vivo, / o dentro me costruivo una coscienza / che non aveva a che fare col reale?". Domanda decisiva, dice la Ferraris, concludendo, sulla scorta del poeta, che l'unica realtà possibile è il viaggio, il cammino, dove la realtà non può fare a meno del sogno, e viceversa, in quella dualità altalenante in cui consiste l'equilibrio dinamico della vita. Non c'è vita senza sogno e non c'è sogno senza vita. Al di fuori del viaggio, pertanto, non c'è che illusione. E' questo il profumo e sta qui la saggezza del canto pardiniano.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
  2. Il bel commento di M. Rosaria Ferraris alla lirica di Nazario Pardini mette in evidenza il tema del viaggio: è la ricerca della “luce” il punto nodale di questa lirica. Come il filosofo, il naufrago o il profeta visionario, il poeta coglie disperatamente i barlumi verso cui volgere i passi, lacerato dalla solitudine, ferito dai rovi, privo di un porto sicuro. La luce è allora quella forza vitale che origina dalla memoria e che aiuta a ricostruire la persona, il sé disorientato dai tanti sentieri percorsi, dai tanti confini superati in un azzardo di poesia e di amore. Terre, fiumi, laghi, mari e boschi incantati, non sono solo tappe del viaggio; sogni forse, realtà perdute ma non dimenticate. Adesso è il momento del ritorno: si va a casa all’ombra di profumi e parole. Si va, co qualche incertezza, dove tutto ha avuto inizio e da dove tutto proseguirà per strutturarsi ancora in quelle facoltà umane e poetiche care alla visione del Pardini.
    Marisa Cossu

    RispondiElimina
  3. Con la consueta sensibilità Maria Grazia Ferraris ci accompagna nella profondità del viaggio poetico di Nazario Pardini, mostrandoci "la bellezza" che contiene la parola alta della poesia, a cui il poeta ci ha abituato. Mi commuove il pensiero, a cui sono particolarmente affezionata, del senso della vita, del senso dato alla vita anche con la quiete del ritorno, un ritorno alla luce. Quella luce che si accende, nel mutare delle cose, ci ricorda il sentiero che si ha davanti e che promette di essere il ritorno nel luogo dove tutto è cominciato, anche con l'eco magico del canto "Torna a noi, non puoi godere di una luce astratta che non fa parte del tuo credo antico. Torna ai tuoi passi.Prendi quella via che ti riporta in seno al tuo reale, intero, con le tue memorie, e i cantiche più volte hai scritti con i crucci che sono di un mortale"
    Sonia Giovannetti

    RispondiElimina