Luciano Postogna
ULTIMI PENSIERI
Guido Miano Editore, 2020
Recensione di Maria Rizzi
“… sono lampi di vita senza data,
son brani di una vuota antologia,
angoli di strade senza lampioni,
boschi immensi di piante sconosciute,
confusi incubi delle notti insonni,
Nitide vedo invece le stelle
la mia malinconia, la mia ansietà,
la mia tristezza e tutte le mie paure.
Madido aspetto il sorgere del Sole…”
(da
“Vedo nelle stelle”)
Endecasillabi
perfetti per il senso di desolazione, di vuoto, di ansia, che nel marzo
“Sei nei colori allegra oh Primavera,
tiepidi
i tuoi aliti il contado avvolge,
gioisci
natura al rinnovato evento.
Le
piante spoglie di stagion brumale
or
vanitose s’ammantano sciolte.
Limpido
il ciel si riversa di luce
e
di garrir redivivi si colma…”
(da
“Ben tornata Primavera”)
Il
linguaggio è aulico, forbito, in linea con l’adozione della metrica e con la
tendenza leopardiana a usare un distinguo tra le parole e i termini che
‘presentano la nuda e circoscritta idea’. La parte della Silloge dedicata al
mese di marzo sembra fuori dal tempo, in realtà è calata nel tempo lirico, che
evoca i classici, che mette in luce le perle rare dell’italiano, cucite nel
tessuto della memoria artistica. La bellezza poetica, d’altronde, rappresenta
l’aspirazione a un’ideale di superiore armonia e Postogna non disattende la
fedeltà a tale produzione di bellezza: “…Ritornerà
in autunno la mia Musa / quando svelte ingialliscono le foglie / ed il clamor
della stagione calda / s’ammorza nel piovigginar silente…” (da “Sole rosso”).
La seconda parte del testo dedicata al mese di Aprile ci rivela un Poeta meno
legato al classicismo. Il salto emozionale che ne deriva è intenso. Si ha
l’impressione di trovarsi in una Silloge nuova, in realtà si scopre un Autore
libero come le stelle che deviano dall’orbita per solcare il firmamento. Nelle
liriche si nota l’abbandono del metro e la tendenza ad abolire, talvolta, gli
articoli, com’era solito fare Primo Levi, convinto che le parole incidessero
come coltelli, avessero il peso della coscienza:
“Deserto di cristallo:
adamantine luci che balenano
su orizzonti infiniti
che il sole inconsciamente crea…”.
(da
“Deserto”)
Proprio
pensando al torinese di origine ebraica che ha vissuto la più grande tragedia
umana del Novecento, ovvero il nazismo e il campo di concentramento, mi sono
calata nei versi che chiudono questa sezione dell’Opera:
“La mia anima è sul Carso
e
nei profondi abissi,
tra
le Pale e il Civetta,
Adamello
e Marmolada.
Dove
gli uomini si immergono,
esplorano,
scalano,
sciano.
Anch’io ero un uomo.
Ora m’inebrio di ricordi”
(da “Anch’io
ero un uomo”)
Il
distico finale e il titolo confermano la similitudine con Levi, autore dello
splendido diario di Aushwitz “Se questo è un uomo”. Il nostro Poeta dà alla
propria anima il volto del Carso, un altopiano storicamente importante per noi
italiani, ed elenca le cime delle Dolomiti e ‘gli abissi’, ossia le cavità a
pozzo conosciute dagli abitanti del Carso come ‘foibe’, le grotte passate alla
storia come sbrigative fosse comuni nel 1943, dopo il crollo del regime
fascista in un Olocausto molto meno conosciuto di quello dei sei milioni e
mezzo di ebrei. Un artista nato a Trieste è parte pulsante di questa storia, la
porta incisa sulla pelle e la attraversa con versi che sanno fermarsi sul
limitare del dire, ma consentono ai lettori di immaginare… Le poesie di Maggio
esordiscono con la levità del sonetto, composto nello stile forbito, ma
palesano la ricerca di nuove dimensioni espressive. Luciano Postogna si potrebbe
definire un equilibrista dei versi, in bilico tra il passato, il presente e il
futuro. Mi sono chiesta se il suo mutare come le nubi in primavera, fosse
dovuto alla ricerca di un’identità di Poeta, ma l’Autore mi ha risposto prima
che terminassi di esprimere il quesito.
“Giornata di pioggia,
nel quieto nido irrompi
del passero muto
sull’albero inerte.
Cimitero dismesso
su colline di pietra.
Il mio tempo è passato
e il cinguettio sordo
lo porta lassù all’infinito”
(da
“Pioggia”)
Commovente
il legame con le radici del nostro Poeta, celebra Trieste in molte liriche e
spesso le descrizioni naturali sono legate alle zone carsiche. Le liriche del
mese di Giugno lo testimoniano, con allusioni ai ‘boschi carsici’, al regno dei
‘calcari’, ‘alle lande desolate’… Mi ha trafitta un breve testo di questa
sezione, dove il Poeta procede per sottrazione aumentando, come spesso accade,
il pathos dei versi.
“Uomo!
Dacché ti fu data l’anima
La crudeltà s’effuse.
Tremò così la terra
ed iniziò il futuro”
(da
“Uomo”)
Con
questi versi intinti nel sangue il Nostro non fa che confermare che l’uomo
porta il triste vessillo della ferocia. Si rivela la creatura più pericolosa
per la sopravvivenza del pianeta, in quanto è l’unico animale dotato di parola
e raziocinio, ed è il solo ad avere nozione del bene e del male. Tutte le
storie dell’umanità, compresa l’attuale pandemia, insegnano che i mali della
terra sono frutto dei nostri errori. Alle liriche legate alla natura si
coniugano quelle di impegno civile, in parte lo è anche “Uomo”, ma lo sono in
modo più specifico “Penne Nere”, dedicata agli Alpini e “Dopo Guerra”,
apparenti quadri lirici affrescati di saudade, in realtà testimonianze di tempo
sofferto, trascorso “…tra nonni e parenti
pietosi / per trovar giacigli e riposi…”. L’impegno civile, d’altronde,
credo sia l’esigenza di dar voce alla coscienza di fronte a tutte le situazioni
di disagio sociale, di sofferenza, di divisione. La parte di Luglio è
esaltazione della natura in fiore e al tempo stesso, silenzioso, ennesimo atto
di dolore per i mali inferti ai miracoli del Creato tramite la lirica - fabula
“La morte di un pino”.
“Dinanzi a me quel pino,
sotto
il faro prominente,
ormai
morente,
dagli
afidi colpito,
giace
tra l’erba esalando
fiati
di resina intrisi.
Baciato dal vento
si
china sul mare
ma
l’olezzo non sente
e
con gli occhi annebbiati
a
malapena vede
il
suo ultimo tramonto”
Una Silloge quella di Luciano Postogna di musica che stordisce e verità che lasciano solchi nella mente e nel cuore. Le note consentono di danzare, ma il ritmo è interrotto dalle improvvise fitte di dolore. La verità può far male e può indurre a non sentirsi salvi né liberi. Io ho letto l’ultima poesia sentendomi simile a un afide e ho chiesto scusa al mio Dio.
Maria Rizzi
Luciano Postogna è nato nel 1942 a Trieste, dove a tutt’oggi risiede. I suoi primi versi risalgono alla fine degli anni ‘50 quando, ancora studente, componeva per i giornaletti studenteschi. Le prime raccolte di poesie sono datate anni ‘70 e rimaste nel cassetto per quasi trent’anni: alla stregua di un diario intimo che memorizza i sentimenti e i ricordi del poeta. Solo nel 2000, infatti, Postogna comincia a divulgare e pubblicare le sue poesie, sia giovanili sia quelle scritte fino ai giorni nostri. Nel 2000 esce la sua prima silloge, intitolata Pensieri nudi, seguita da Ali d’Arcangelo (2000), Raggi rossi al tramonto (2001), Anatomia del vento (2002), Oltre ogni orizzonte (2003), L’ombra dell’anima (2006), Antologia (2020), Ultimi pensieri (2020).
Luciano
Postogna, ULTIMI PENSIERI, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore,
Milano 2020, pp.88, isbn. 978-88-31497-37-4.
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