giovedì 21 gennaio 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "BAMBINI" DI ANNA VINCITORIO





Anna Vincitorio: Bambini. Il Croco – Pomezia-Notizie. 2016



Una plaquette intensa, emotivamente umana, umanamente disumana, che, con versi brevi, secchi, apodittici, e di urgente concretizzazione ontologica, cerca di agguantare tutto il disagio di una scrittrice sensibile e inquieta davanti a: “Piccole schiere/ presto ombre di fanciulli alteri/ nudi d’inerme giovinezza”. Sì, sono proprio i bambini che attraggono lo sguardo sconcertato e  addolorato della Vincitorio. Ma non quelli che giocano allegri e spensierati su prati verdi, su spiagge profumate di salmastri,  al sole ridente sui loro capelli, o rassicurati dallo sguardo delle madri. No! Questi fanciulli giocano alla guerra; la giovinezza è stata loro strappata; rubata senza pietà alle loro braccia, gambe, mani, ai loro cuori; le loro altalene o le loro fionde sono state sostituite da fucili di morte e di sangue. Magari storditi da droghe vanno spavaldi in prima linea incoscienti e ignari di quello che sono e non sono: “Ignare le rane/ sopra ninfee giganti/ ti osservano: soldato/ non ancora soldato/ ma con negli occhi/ viva fame di guerra,/ forse anche di gloria…” (ibidem). I versi vanno svelti; devono correre per star dietro a sentimenti che fluttuano a cascata; persino la punteggiatura non rispetta la canonica grammatica; è d’intralcio per un cuore che palpita, che scalpita; per un cuore tutto vòlto a gridare al mondo nefandezze esiziali; per confessare agli uomini tutto il suo rammarico. Si tratta di bambini, spighe di grano non ancora imbiondate dei refoli degli anni; su costoro il tema si fa contagiante, straziante. Non si può scherzare su tanta indifferenza, su tanta disumanità. Ed è così che la poetessa ricorre a stratagemmi di alta valenza figurata; di palpabile significanza cromatica; di forte impatto significante ed epigrammatico: panici ausili,  folgorazioni,  potente creatività per rendere le scene più visive e scottanti: “Betulle dalle foglie ovate,/ lisce, verde traslucido/ nella campagna coltivata a grano/ Ancora  non maturo il tempo/ per la sua chioma d’oro/…/ Nelle tue mani/ la mortale stretta/del kalashnikov/ Dove la tua innocenza…” (Bambino in guerra). Un tessuto narrativo che sgorga fluente e sonoro da un animo, addolorato e pietoso, verso primavere senza speranza: “Tu, primavera/ non porti con te/ la speranza/ Quello che resta/ è luccicore d’armi…” (ibidem). Un poetare dove una sola parola, scelta con acume e “onestà” sabiana, è sufficiente a se stessa per un verso; dove la penna va da sola verso Bambini invisibili, sofferenti Afriche, carestie di Niger, Mali, Mauritania; e dove interrogativi inquietanti ci lasciano di stucco: “quando, gli aiuti umanitari/ raggiungeranno le sofferte grida?” (Bambini invisibili). Ma l’indifferenza copre spesso immagini che farebbero tremare il mondo. Sì, è sufficiente un telecomando: si cambia canale, o si spegne il video, e il gioco è fatto! Si torna ai nostri solipsismi, ai nostri ego infradiciati dalla vita moderna fatta di consumo e occhi spenti: “Siamo sordi alle immagini/ non emettono suoni e/ invocazioni d’aiuto/ Basta interrompere il video/  e spegnere la luce/ Tutto torna eguale” ( ibidem). E sono proprio quegli interrogativi iterati che colpiscono, come frecce appuntite, tutti noi umani disposti ad essere bravi a chiacchiere, a spavalderie, ma distanti quando l’umanità ci chiede di  esserci: “Cosa porti negli occhi, bambino?/ Cosa porti sul cuore?/…/ Ci sarà un domani,/ un ritorno?” (Bambini  abbandonati). Immagini di calda stagionatura:  fresche azzurrità; quiete silente; frinire di cicale; stoppie e giochi di luce; sì, tutto un ben d’Iddio che dovrebbe fare da contorno a grida e guizzi gioiosi di bambini innocenti; ma qui si tratta di un ossimorico gioco piuttosto triste e desolante: “Per queste ali d’angelo recise/ non basterebbe il mare/ Solo pietà rimane/ alle sue sponde” (Cronaca); un deprimente gioco che chiama tutti noi mortali a una prece; a una meditazione; a un impegno attivo, costruttivo; un parenetico invito alto e sublime a ché l’uomo torni alla terra, ai suoi drammi, dopo le sue tante avventure spaziali: “E’ inutile per l’uomo conquistare la luna, se poi finisce per perdere la terra”. (FranÇois Mauriac)
                  
Nazario Pardini




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