giovedì 1 luglio 2021

GIAN PIERO STEFANONI: "NIVOLE DA PRIM" DI REMIGIO BERTOLINO

Gian Piero Stefanoni,
collaboratore di Lèucade


Remigio Bertolino, Nìvole da prim/Nuvole di primavera.

Interlinea Edizioni, Novara 2019.


Una poesia tutta incarnata e trasfigurata nella solitudine delle sue montagne, dei suoi silenzi, l'uomo elemento di una parola che mentre lo racconta insieme lo incalza,  accoglie e mette in dubbio nella prova di una natura ora respingente ora inclusiva, questa di Remigio Bertolino. Autore di lunga data, anche in prosa, in un passaggio dall'italiano all'arcaico dialetto piemontese delle colline intorno a Mondovì, al limitare tra Piemonte e Occitania, ci consegna nella scrittura trasfigurata dei suoi miti, delle sue figure umili spesso nella fatica di una memoria che spesso non ritorna la suggestione di una controstoria, o per certi versi di una storia vinta, viva solo nell'evocazione delle sue perdite e dei suoi dolori cui solo la natura allora in reciproca evocativa appartenenza può nella risonanza del riconoscimento comunque accompagnare e far sua forse nella direzione di una consegnata speranza. Così in quest'ultimo lavoro è possibile ritrovare tutta la malia e l'incantamento di un dettato vivo laddove per l'uomo come detto è solitudine, separazione, dubbio soprattutto nel paradigma di un'esistenza certo povera, difficile nel sistema di una civiltà progressivamente al margine nell'opera di separazione e cancellazione nei microcosmi del moderno. Eppure proprio nella cancellazione, proprio nella separazione di uomini, tra loro e gli elementi, tra loro e se stessi più forte risale, ricordando ad ognuno la medesima appartenenza, il senso di una terra saldamente incarnata in tutta la sua creaturalità d'origine, più forte il dialogo allora in un dirci in lei, ogni uomo, ogni cosa nella tensione di una nascita e di una espansione continua a fronte delle realtà dominanti. L'arma, avvertita in tutta la fragilità della sua urgenza, è nel restare vivi in questo dialogo nell'umiltà di una consegna e di condizione di limite (per questo appunto allora esemplare) negli strumenti all'uomo dati, nella fatica della presenza certo ma di una lingua, anche, accesa nei suoi spiriti, nelle recriminazioni e nelle passioni delle sue figure, dei suoi uomini e delle sue donne di ritorno nel subbuglio reclamante dei mondi. La quinta nell' umana stagione di resistenza, nell'inverno che va a dominare le pagine, è quella di un paesaggio che tra luci e ombre delle sue trasformazioni ha nelle nuvole il gregge di attraversamento, addensamento e rivelazione degli spazi, metafore con noi così  di un rabbuiato, determinato, acceso passaggio all'interno di un cielo e di una terra nella sacrale necessità di un mistero più grande. Ecco allora sotto questo cielo spesso in un'abbassarsi cenere delle nubi a coprire sole e speranza, sotto una luna evocata in una infanzia perenne di sogni, il dire di uomini e terra per frammenti, di padri e figli fra lutti e perdite, fra contrasti e aspirazioni, in quelle intimità che soprattutto, forse, possono anche dirci, e dire, restando di amori e contrasti tutta la fuggevole presenza. L'apprendimento della terra, nel risvolto doloroso e acceso delle sue rivelazioni, ha allora nella figura del pastore la sua presenza principe, qui magistralmente delegata all'esperienza vicino alla mistica "del pastorello a contatto con i silenzi e la bellezza sublime della montagna" come da Bertolino ricordato nelle note. L'infanzia così è anche quella dell'uomo, non nell'idillio sia chiaro, ma in una conoscenza data per spinta, per custodia nell'ascolto di una bellezza e di una parola data in ognuno in tutto ciò che rivelandolo assume in lui la partecipata confidenza di una creaturalità cui è chiamato, rimesso tra incisioni di carne e di pietra, nell'ascolto nell'anima dei cerchi dal silenzio, dal bisbigliare di segreti dalle ombre, dei passi nella domanda di un orizzonte, di quale orizzonte è dato aldilà dei confini. Un orizzonte che i versi come in ogni vera, autentica poesia, in realtà evocano soltanto restando piuttosto concretamente appesa nel corpo di relazioni e dinamiche non concluse e che mai lo saranno nell'intreccio umano delle storie che una natura tutta negli elementi del suo ghiacciare e del suo fiorire sa comprendere, specchiare e trasfigurare dalla sua carne . Storie di padri e figli, di lontane e nelle ferite ancora presenti guerre, di mitologie e di cantari (Bertran de Born su tutti) nell'incalzare di un pensiero sì riflesso ma che va perdendo i suoi modelli. Tutto allora nell'interrogazione pare fermo a una "miseria antica" (per dirla con Giovanni Tesio), "cristallizzato in una sorta di contemplazione affettiva",  in una inscioglibile destino segnato "da rigide leggi ancestrali" (Ombretta Ciurnelli) nel tempo fermo di una brina del cuore e dell'anima che quegli stessi paesaggi, quelle stesse nuvole non possono nella loro parola che confermare. La forza di questa poesia, nel segno, o per meglio dire nella fede in una lingua aperta perché viva alla trasparenza di una scrittura che viene come dall'acqua delle montagne, dei sentieri, dei dirupi che questi paesaggi attraversa nella rima scoperta di una sorgente che sa specchiare in sé rivoli e spine, aridità e cadenzare di piante ed uomini, viene a ricordarci allora del patire, e del restare anche dell'uomo stesso quella confidente storia che proprio nello smarrimento e nella mortalità detta il suo assenso entro quella terra che lo pronuncia lo prova e lo nutre. In questi tempi di lingue e di mondi nella sclerosi di un ascolto che non ha riferimenti, in una parola che ha smarrito se stessa smarrendo la centralità della terra non è poco, anzi è tutto confermando dal margine (se poi di margine è giusto parlare) il cerchio irradiante della sua genesi, del suo divenire nel contrappunto di una natura che tutto lega richiamando a sé spiriti e tempi, catene d'elementi e uomini ad allungarsi da misteriose lontananze, "da pozzi che sprofondano/ chissà dove"("da poss ch'i calo/chissà landa"), da sciami di misteriosi segreti. Così se l'andare è come di inverno un andare tra mondi di ombre nel bozzolo di letti freddi, rosari a vegliare sui sogni, l'alba pur nel gelo sarà sempre nel rovescio di rivoli di luce, da cui è possibile leggere, dal basso, del cielo il suo vangelo di pace ("vangel ëd pass"). Per questo in conclusione il canto di Bertolino nell'intensità lirica delle incarnazioni,  nel fremito raccolto delle sue ingiunzioni, degli uomini piegati resta un canto d'amore.

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