lunedì 5 luglio 2021

"IL CASO" RACCONTO A QUATTRO MANI, DI LILLA' E MARGHERITA

 Il caso

 

 Sì, un caso difficile, ma per noi molto stimolante.

Tutto il nostro lavoro è stimolante, ci piace, lo riteniamo utile, e ha in sé una peculiarità che lo rende del tutto diverso da ogni tipo di routine lavorativa.

Il caso in questione ha messo in subbuglio  le nostre cellule cerebrali, ma nonostante l'intenso lavorio, la personale bravura e il sapere dei trattati, non riusciamo  a levarci le gambe.

Il nostro è uno studio molto ben accreditato, siamo un tandem che va forte: due studiose con diverso temperamento, sempre  attente a scambiarci i casi che di volta in volta  riteniamo più adatti  all'una o all'altra. Abbiamo un nostro segreto, ed è quello il punto di forza del successo di psicoterapeute. Ovviamente resta un segreto, anche qui, per ora.

Il caso ha nome Fausto, persona non comune, a partire proprio dal nome. Gli antichi Romani  dicevano "nomen omen", ma il Nostro smentisce in toto questo detto. L'uomo non è ancora vecchio, è in buona salute, ma a detta dei Dottori ha una malattia che non è malattia e pertanto non si può curare. Depressione? No.

Precoce demenza senile? No. Qualsiasi tipo di analisi o esame clinico ha messo in evidenza corpo e mente sani. Eppure Fausto ha un comportamento innaturale, che nessuno sa capire da dove abbia origine.

Ogni mattina, dopo una silenziosa colazione, l’uomo prende un libro a caso dagli scaffali, e va a sedersi in luogo appartato. Lì si ferma fino all'ora di pranzo.

Ha il mento sul petto, gli occhi semichiusi sul nulla; su quel nulla che solo lui sa o vede.

In quel nulla non è facile entrare, e sicuramente  sta proprio lì il ‘baco’ della malattia, dico io alla mia collega.

-Dobbiamo arrenderci? -,  ribatte lei con aria di sfida.

- No, certo!

Come ogni sera ci riuniamo  per il nostro consulto con gli "aiuti" scelti per l'occasione. Ciascuno ha una risposta, ciascuno una domanda o una riflessione e tutte le nostre sinapsi  lavorano, fanno un mixage che elaboriamo singolarmente  il giorno dopo.

Il Cliente (il paziente?) ovviamente non è in presenza, ma i nostri sistemi tendono a raggiungerlo ugualmente nel suo mondo.  Abbiamo dei complici, questo è l'ultimo ritrovato, che ha già  dato qualche successo.

Abbiamo appurato che Fausto non ha amici, ma ne ha avuti molti, in passato. Oggi rifiuta gli incontri e raramente apre bocca per conversare.

 Tutto lascia a  indovinare una situazione di rifiuto, ma è persona  tranquilla e nessuno ci fa caso.

- E' un asociale! -  , è stata la conclusione unanime del consiglio serale.

A noi due ora spetta il prossimo passo: convincere  Fausto ad un incontro con noi. Ovviamente fuori dagli schemi convenzionali. Domani ci prova la collega.

L'ultima chance sarà cercare di conoscere i contenuti del suo cellulare, anche quelli del passato.

* * *

Il ‘caso’ è passato a me. Sono in molti a contestare il mio approccio terapeutico, perché rompo gli schemi ed evito di adeguarmi alle situazioni convenzionali.  La collega ne è consapevole ed è contenta di avermi come compagna di viaggio, in quanto fondamentalmente nutre verso la nostra professione gli stessi dubbi che paleso io. Siamo entrambe volte verso una psicologia umanistica, e rifiutiamo il termine paziente il quanto lo consideriamo viziato dal concetto di malattia. Il termine ‘caso’ o cliente ci consente di comprendere empaticamente come l’altro costruisce il proprio rapporto con se stesso, gli altri, il mondo. L’attuale comportamento di  Fausto, per esempio,  potrebbe essere solo la conseguenza di un determinato fluire di stadi, e non è detto che la sua libertà vada ostacolata. Gli ‘aiuti’ nicchieranno prendendo atto che anche in questa circostanza tendo a evitare ogni pregiudizio sul cliente e a optare per una relazione paritetica per incitarlo a utilizzare le sue risorse personali… sono convinti che ne sia privo, ma io voglio vestire i suoi panni e provare a vedere il mondo con i suoi occhi.  Ritengo opportuno incontrarlo al di fuori delle situazioni convenzionali, ma escludo di poter passare al setaccio la sua intimità. E sono certa che la collega approverà le mie idee. 

Ieri ho chiesto a Fausto se gradiva fare colazione con me e lui con riluttanza e con la sinteticità che lo caratterizza, mi ha risposto che, se proprio dovevamo, preferiva che avvenisse a casa sua.  Non chiedevo di meglio. Condividere il suo ambiente, le sue abitudini, la sua realtà.

La casa dell’uomo - voglio evitare di definirlo caso o cliente -, è piccola, ordinata, molto pulita. L’arredamento è minimalista, ma non si scorgono forme di ossessione. Se proprio dovessi trovarne una sarebbero i libri e mi sentirei folle a definirli  una forma di patologia. Fausto è circondato da testi di ogni genere: negli scaffali delle due librerie, sulla scrivania,  sul tavolo di cucina, sui comodini. Libri di narrativa, di filosofia, saggi storici, sillogi di poesie, antologie di grandi della Letteratura.

Mentre scorro i titoli avverto il suo sguardo preoccupato che mi osserva e gli sorrido. 

- Gran bella collezione -, esordisco rassicurante, mentre mi siedo al tavolo per condividere la colazione.

Fausto ha un senso dell’ospitalità che va al di là delle parole. Ha apparecchiato con cura e mi sta servendo il cappuccino in tazze di Limoges. Sulla tovaglietta di lino ha predisposto un vassoio di croissant e di dolcetti e due brocche con succhi di frutta.  Non è un asociale. Sa stare con gli altri e se ha scelto la solitudine avrà avuto i suoi buoni motivi. Non capisco perché dovremmo analizzarlo. Vive solo e non conosco il motivo per cui il medico curante si sia  preso la briga di segnalarlo. Di solito sono i familiari a preoccuparsi per il comportamento di un parente o, in casi diversi da questo, la persona stessa, a scegliere di rivolgersi a noi per un aiuto. I Dottori da cui è stato mandato, lo definiscono sano, ma da un lungo periodo noi ci arrovelliamo dietro un individuo pacifico, che ha cambiato stile di vita.  Io sono sempre più ferma nel credere che ognuno debba auto realizzarsi come preferisce e che nel corso dell’esistenza possano mutare le modalità di comportamento.

Se Fausto preferisce la solitudine e la lettura avrà i suoi motivi.

Dov’è il ‘baco’? Mentre me lo chiedo, mi guarda con i suoi bellissimi occhi screziati di pagliuzze d’oro e dice:

- Mi spiega da cosa devo guarire? -

La domanda secca, senza venature d’ironia, mi provoca uno stato di malessere. Sento il disagio di essere lì, di doverlo osservare come una cavia da laboratorio. Vorrei sapere che sto gustando la colazione e parlando un po’ con lui, se ne ha voglia. E di colpo decido di essere solo me stessa. Invitata da un amico,  non da un cliente.  Mi presento per nome, gli rispondo con sincerità:

- Lei non è malato. Ha cambiato stile di vita. Dal mio punto di vista può succedere. -

Noto che il viso di Fausto si distende. Le rughe d’espressione scompaiono, accenna un sorriso e sussurra:

- Ho scelto i libri perché non tradiscono, perché sono aria fresca, inalata per continuare a far battere il cuore, a far immaginare il cervello, a tenere vivi i ricordi e i sogni.

Non lo dica a nessuno… -

Lillà e Margherita

 

    

 

 



4 commenti:

  1. Care Lillà e Margherita, mi piacerebbe che mi svelaste il segreto che vi porta a scrivere un racconto così coeso, senza sbavature lavorando in due. I testi a quattro mani non sono una novità: un esempio quelli della Delly pseudonimo che celava due fratelli- uomo e donna - che scrivevano insieme. Però erano romanzi - quei romanzi rosa che hanno allietato la giovinezza delle nostre madri - e presumevo che ciascuno scrivesse la parte inerente il proprio sesso. Infatti si trattava quasi sempre di due giovani che si odiavano ferocemente ma poi tramutavano l'ostilità l'uno per l'altra in un folle amore.
    Beh, dico la verità, vi scopiazzerei volentieri se trovassi un partner all'altezza. Intanto complimenti!

    Carla Baroni

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    1. Carla mia, sto portando avanti quest'esperienza dall'inizio della pandemia, l'ho sempre considerata un'esperienza arricchente (tant'è che ho concepito a quattro mani con un amico di Teramo un testo sulle donne storiche), ma in quest'anno e quattro mesi è stato una sorta di cordone ombelicale per tenermi stretta agli amici. Con Edda siamo arrivate a undici e a entrambe sembra incredibile. L'idea di usare gli pseudonimi floreali l'ha avuta la mia splendida compagna di viaggio e trovo sia un espediente che permette anche a coloro che ci conoscono bene di non distinguerci. Ti ringrazio tantissimo per questo commento e per l'affetto e l'ammirazione che dimostri. Ti garantisco che sono ricambiati. E ti abbraccio forte forte unendo nella stretta la mia 'socia' e il Nume Tutelare.

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  2. Ringrazio infinitamente Nazario per aver ospitato subito anche l'undicesimo racconto a due cuori, concepito con la
    carissima Edda! Li abbraccio entrambi con tutto il mio affetto.

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  3. Il "duo" perfetto, congiunto nello spirito di una fattiva collaborazione , ringrazia l'amato Capitano di Leucade e i lettori dei" Racconti a quattro mani" augurando agli amici tutti Buone Vacanze.

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