martedì 14 dicembre 2021

FRANCESCO DE CARIA LEGGE: "SUSSURRO ESTIVO" DI LINO D'AMICO

 

Francesco De Caria legge

“Sussurro estivo” di Lino D’Amico

 

Sussurro estivo

 

Nel primo raggio di luce mattutina,

variopinti fiori di campo

sbocciano, profumano,

poi, scolorano, al vespero

nel declino di un tempo sospeso

che svanisce nel fruscio di un soffio,

inebriato nel fiatare di un sogno.

Nulla resta a recitare giorni scossi,

ostaggi d’attese e di silenzi,

sapori di fantasie ad occhi chiusi,

apparenze, parole mute

per distillare l’attimo nell’attimo,

suggere il sogno dei colori

di quel primo sussurro estivo .

 

“Sussurro...soffio … silenzi … parole mute // … petali … quei fiori ….”: ci paiono queste le parole chiave del componimento, dal momento che, come è noto, in un brano di poesia non conta tanto la concatenazione logica  dei concetti, come invece in un discorso, come in un brano di prosa.  La poesia ha propri codici espressivi, come la pittura, come la musica: sono alcune “pennellate”, è il ripetersi di un breve motivo, che possono essere anche tre , quattro note, a dare il senso di un quadro o di un brano musicale. Il resto è “cornice”, è “impalcatura”. Ebbene in questo ultimo testo di D’Amico ci è sembrato di individuare proprio nei vocaboli indicati in apertura il “tono”, la consistenza  che gli sono propri.  Intanto il silenzio, che ricrea un’atmosfera assorta, di attesa; un silenzio proprio, silenzi, sussurro, soffio, oppure fatto di parole mute, di cui non si distingue il suono, come in certi sogni in cui  un personaggio dice parole che non udiamo o che non comprendiamo; un silenzio percorso di sussurri e colpi di vento. E proprio in quei sussurri, in quei mormorii c’è la chiave di comprensione profonda della realtà,  al di là dello schermo e del rumorio delle cose quotidiane. In quel mettere a tacere in noi stessi la realtà attuale coi suoi fragori e i suoi frastuoni che ci  distraggono da noi stessi, compaiono agli occhi dell’anima luci  dai colori tenui, trasparenti, come d’acquerello, immagini dalla consistenza diafana e fragile di petali che stanno per appassire (variopinti fiori … scolorano),  di un fiatar, del sogno.   Il passato si accampa dinnanzi alla memoria così, come un film in cui le immagini, fatte di luce, sono intenzionalmente composte di realtà analogica e di sensazioni che essa evoca, per richiami, per rimandi nella mente dello spettatore, una realtà fatta di riflessi che i fatti concreti hanno sull’animo dell’ individuo (ognuno è solo in questi attimi, nei quali ripercorre la propria esistenza come a fotogrammi staccati, non in sequenza): attese, silenzi, fantasie, apparenze che compongono una realtà nuova, che della realtà vissuta non ha più la consistenza e ha anzi la stessa impalpabilità di una luce, di un colore, di un petalo. Così si è decantata, nella senecana senectus la realtà fatta di “carne e sangue”  che ognuno vive nell’età in cui la forza della mente e il vigore fisico consentono di immergersi nel meccanismo complesso, da macchina di orologio da rote, dell’esistenza – esistere è essere qui ed ora, cioè nella concretezza del presente -  di lottare nell’agone che gli è dato affrontare.

Francesco De Caria                        

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