lunedì 4 luglio 2016

CLAUDIO FIORENTINI SU: "POESIE" DI SALVATORE DOMENICO FURIATI


Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade

Racconti, immagini, sensazioni che sfiorano pose plastiche, queste sono le prime impressioni di lettura di queste poesie. Sembra che l’autore voglia disporre le carte sul tavolo da gioco, aperte e ben visibili, per dare al lettore la possibilità di ambientarsi. È un giocatore leale, non c’è ombra di bluff, le carte sono aperte e di nascosto non rimane che il gioco dell’altro, cioè del lettore che, spiazzato da tanta trasparenza, deve fare i conti con se stesso per vedere se lui è capace della stessa lucida onestà. Però, leggendo queste immagini scolpite in versi liberi e semplici, privi di arrotondamenti roboanti e di metri contabili, la poesia si dispiega come un tappeto di parole quotidiane che, pur nella loro domestica onestà, sono pronte a sorprendere con un guizzo o con un imprevedibile onda d’urto, generati dallo stesso moto ondoso dei versi che, se letti in sequenza, si rivelano un crescendo impetuoso più simile a un rito iniziatico che a una selezione di poesie. Non so se vi sia calcolo nella selezione di queste poesie, impressionante è il risultato.  
E quindi iniziamo al mare quando, immersi nella baraonda della spiaggia in piena estate, i “figli loquaci” diventano il centro della nostra attenzione fino al momento in cui un terzo occhio rivela altre verità, e allora “il tepore si incanala nelle falde più arcane. / Il sole brucia la terra, / la notte schiaccia la città”. I figli continuano a giocare con le loro immaginazioni ma “il vostro eco / arriverà all’udito dei fenomeni naturali” e, tramutati in pianta e albero madre e padre, immobili, mentre loro dicono “correte a casaccio / affrontate minacce e paure, / il vostro unico conflitto / è stato di aver chiesto troppo dal tramonto”. E allora, solo allora, la futilità del tempo perso li denuda e ci denuda dicendo “esaurite il vostro oblio”.
Il secondo livello “L’iride”: lontano dal caos estivo, ci ricorda che le lacrime sono acqua e si mescolano con la pioggia per nascondere una verità che resta sempre la più intima di tutte, e è di quell’intimità che parla il poeta, pur senza nominarla, pur senza mai descriverla, fino a quando, accettato e implorato il faticoso cammino del sole, “terra fertile e madida / acclama calore” per aggiungere che “un canto non udito / solo dopo la morte sarà considerato”.
Terzo livello, Urto frontale, ha un titolo già violento, così i primi versi che sconvolgono i sensi. Questo sconvolgimento è, però, prezioso se porta a valutare il mondo e la vita in modo diverso, con altri parametri, per cui ci si chiede “la felicità è un angelo serioso?”. Il poeta sa bene che a tutti viene voglia di rispondere a questa domanda, di interrompere la lettura e ribellarsi, urlare “NO, NO”, perché nessuno vuole angeli seriosi come quelli che ci hanno imposto negli anni, angeli portatori di catastrofi, di annunci indesiderati, angeli piantagrane… tornassero nei cieli o negli inferi, chi se ne frega… ma poi si torna a leggere “urlo prolungato / tepore proveniente dall’ignoto”, quanto basta per tornare nel dramma dell’inevitabile per il quale neanche gli angeli servono a molto. E allora si chiede “La disperazione è un angelo istrione?” Ora si che ci capiamo. L’angelo adesso acquista un senso, quando la felicità scompare nell’immagine seria che l’ha accompagnata, ipocrita traccia di un’educazione benpensante. E l’angelo burlone e cinico che gode quando ha il coltello dalla parte del manico e quando lascia ben poco spazio alla speranza disegnando disperazione nella nostra “mente balzana” che scopre l'inevitabile quando è tardi.
Ed eccoci al quarto livello, L’uomo dietro la porta, dove “L’idea della rinascita ancora viva / occhi puntati sulla nudità del mare” apre il sipario su immagini meno chiare, come se ci si affacciasse sullo spirito dopo un rito culminato nell’urlo frontale e, dopo il risveglio, si ha diritto solo a capire che “una leggenda dice che dall’altra parte / sia dispotico l’estremo”. Per questo ora il cammino si sviluppa in “sentieri aspri / baratri celesti” e nonostante tutto “seguo imperterrito / un malinconico tramonto”. Già, perché anche tra baratri e orridi il sole tramonta lo stesso, ed è bellissimo, da togliere il fiato. Quindi “apro / immobile fermo / non oso oltrepassare, / non voglio guardare oltre / mi soffermo / dietro la porta”.
E poi?

Claudio Fiorentini



Figli loquaci

L’odore dell’aurora ancora alto,
primizie di stagione. 
Sotto al promontorio la vegetazione. 
Vedo mare, gente, caos e frenesia. 
Dermatite costante.
La madre guarda il suo bambino,
gli chiede cos’ha sulla guancia... 
una pustola. 
La guancia si ingrossa 
si screpola e schiude.
Dalla cicatrice si intravede 
un terzo occhio...
laido. 
Inghiottiti da una tempesta.
I corpi oscillano
indirizzati verso sud, 
dove il tepore si incanala nelle falde più arcane.
Il sole brucia la terra,
la notte schiaccia la città. 
Oh oh  figli loquaci 
continuate a giocare
con le vostre immaginazioni. 
Il vostro eco 
arriverà all’udito dei fenomeni naturali. 
Tramutate in pianta vostra madre,
in albero vostro padre. 
Annaffiate le loro radici ad ogni crepuscolo, 
correte a casaccio 
affrontate minacce e paure,
il vostro unico conflitto
è stato  di aver chiesto troppo dal tramonto.
Il sole illumina per istanti 
le vostre schiene curve. 
Esaurite il vostro oblio.


L’iride

Quante lacrime versate, 
mescolate con la pioggia 
per nascondermi,
non volevo che mi vedessero. 
Falde acquifere sgorganti,
liquido salato. 
Le lacrime hanno accarezzato mari, fiumi e laghi
fino all’accampamento 
la desolazione.
Vestito nei panni delle labbra del maragià, 
bagnate da un sorso di vino 
dopo aver attraversato il deserto. 
Pozzanghere prosciugate 
dai raggi del sole, 
come lame di pugnale luccicanti. 
Faticoso il cammino del Sole 
per compiere la sua missione, 
terra fertile e madida 
acclama calore. 
Un canto non udito, 
solo dopo la morte sarà considerato. 
A caduta libera 
prendetemi vivo, 
affogo per alitare. 
Finitimo a me 
visibile nel cielo, 
una visione 
di archi colorati.


Urto frontale

Urto frontale, 
convoglio in corsa 
penetra 
nella mente sgombra, 
sconvolgimento dei sensi.
La felicità è un angelo serioso? 
Urlo prolungato, 
tepore proveniente dall’ignoto. 
Privo di conoscenza, 
arti mutilati 
occhi spiritati, 
spavento intramontabile.
La disperazione è un angelo istrione? 
Mistero guazzabuglio. 
Un esercito 
serrato nei ranghi, 
eremo 
di armi per combattere. 
Questa, 
la mia mente balzana.


L’uomo dietro la porta

L’idea della rinascita ancora viva, 
occhi puntati sulla nudità del mare. 
Onde eremi di vascelli. 
Egloghe indossano sontuose vesti, 
tacchi riposti 
danzano sullo specchio del mare. 
Alla soglia della fusione porta chiusa, 
cielo e mare 
color smeraldo. 
Una leggenda dice che dall’altra parte 
sia dispotico l’estremo. 
Il cuore in petto 
come un fiore di cemento piantato. 
Privo di odore e colore, 
reso curvo 
dalla troppa rivendicazione 
per le mie esili spalle. 
Sono il guardiano 
posseggo le chiavi, 
accompagnato da una segreta paura. 
Finitimo alla porta, 
luci e ombre 
nuvole si ammassano 
a ridosso del mare. 
Sentieri aspri 
baratri celesti, 
seguo imperterrito 
un malinconico tramonto. 
Pozzi di fuoco 
attorniati da iene schiumanti,
ahimè
l’angoscia del cuore 
ha stremato le restanti forze del mio spirito. 
Apro 
immobile fermo 
non oso oltrepassare, 
non voglio guardare oltre 
mi soffermo, 
dietro la porta.





1 commento:

  1. Bello , essenziale non orpelloso....Non mi aspettavo nulla di meno Cantore degli umani Travagli!!!

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