venerdì 1 luglio 2016

M. GRAZIA FERRARIS SU "QUELLA POESIA DEI CIPRESSETTI" DI M. SOLDINI



Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade



Maurizio Soldini collaboratore di Lèucade


“- o cipressetti cipressetti miei -
che vanno da Bolgheri a San Guido
in duplice filar…
lettera viva /quella poesia/ così antica - ma pur sempre attuale”…

Questo è il nucleo poetico, ricordo melanconico e nostalgico da cui si dipana, seguendo il filo della memoria come di un racconto lontano, il poemetto poetico di Maurizio Soldini.
Una arcinota poesia, studiata obbligatoriamente a scuola, con un po’ di noia ed enfasi sentimentale per i giovani studenti dagli entusiasmi adolescenziali, che ha accompagnato la nostra adolescenza “italiana”, ritorna alla mente, nei momenti più impensati, come dal fondo di un dismesso canterale, sgomitando tra i ricordi, gravida di assopiti, frenati sentimenti.
Ed allora non è più la carducciana voce, ma il passato, l’adolescenza, gli affetti, la vita che riemerge come la favolosa madeleine di proustiana memoria, la ricerca del tempo perduto, di un “cielo senza tempo”.
  È il viaggio unico ed  indimenticabile attraverso l’adolescenza.
I particolari diventano tutti metaforici: il percorso sotto il solleone- una scottatura che duole ancora, il vaporare dell’asfalto -fata morgana- che pesano sul cuore,…e  il mare, il bel casale toscano, lo scoglio, immagini di novità e felicità tutta da vivere, conquistare. Tuffi di immersione nella vita.
Il poemetto è infatti dominato dalla forma verbale dell’imperfetto: il viaggio si snodava, la fine non aveva nomeera il passaggio della macchina sull’asfalto, era da dietro…, era una zia, era un bel mare…
Il tempo del ricordare, il tempo della gioventù sbadata, della felicità ora sbiadita…( come quell’s -suffisso privativo-sibilante rende bene l’effetto del tempo che tutto allontana!). Sapienza poetica calcolata, quella di Soldini, sincerità senza censura, rinnovato inganno ottico, sentimento effusivo, malinconia di età che non è più.


 Maria Grazia Ferraris



Il viaggio attraverso l’adolescenza
si snodava lungo la dorsale tirrenica
e ogni tanto la macchia mediterranea
si rifletteva dal mare. Erano tuffi di vita
nel tempo che misurava
un cielo senza tempo.

La fine non aveva nome e tutto stava fermo
nella durata anche se il transito doleva
come una scottatura sotto il solleone.

Era il passaggio della macchina sull’asfalto
dell’Aurelia a giacere quasi immobile
nell’abbraccio della fata morgana
che alludeva alla trasfigurazione
di un inganno ottico misurato sul petto.

Era da dietro che la voce sorvolava
le chiome al vento coi finestrini aperti
e un padre e una madre erano erano lì

forse vessati ogni qual volta
in quel passaggio
che si traslittera dal paesaggio

come da un libro
aperto incontro a quei cipressi
- o cipressetti cipressetti miei -
che vanno da Bolgheri a San Guido
in duplice filar.
Oh, voce intenta al canto.

Era una zia ad attendere più oltre
era un bel mare che aspettava
un’isola di novità
un bel casale nella macchia
o una casetta sugli scogli
che ricordava la casetta in Canada.

Adesso a ripensarci più non torna in mente
la gioventù sbadata
che si allietava per un tornaconto
di felicità che ora sta sbiadita
- in parte - nella città dei morti.

Ma tuttavia rimane ancora lettera viva
quella poesia
così antica - ma pur sempre attuale –
che sgomita per ritornare
anche se non può più
e in fondo a un canterale
dismesso e rabberciato
nasconde – libro vivo - 
quel che ora non è più.

Maurizio Soldini

Roma, 23 giugno 2016




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