domenica 31 agosto 2014

FRANCO CAMPEGIANI SU "LA POETICA DEL LEOPARDI"





Franco Campegiani collaboratore di Lèucade
Fuori discussione è la maestà dell'ingegno leopardiano. E personalmente apprezzo moltissimo la riflessione sull'infelicità degli esseri viventi con cui quell'ingegno disintegra la facile retorica di chi spara sentenze aprioristiche sulle valenze positive della vita. Tuttavia bisogna usare molte cautele, perché l'illusione può annidarsi dovunque, nell'ottimismo come nel pessimismo, mentre un realismo autentico si trova sempre in equilibrio tra i due. Felicità ed infelicità si alimentano l'una dell'altra. Non c'è l'una senza l'altra e non si può parlare dell'una se non si ha nell'intelletto la nozione dell'altra. Il che la dice lunga sul reciproco giovarsi della gioia e del dolore. Leopardi visse in tempi in cui occorreva spazzar via la spocchia ottimista e benpensante di uno spiritualismo di comodo e a buon mercato, ma da allora molta acqua è passata sotto i ponti e oggi occorre fare attenzione ai pericoli di un'opposta deriva: quella degli eccessi di un nichilismo non meno spicciolo, illusorio e a buon mercato. La negatività assoluta, non meno della positività assoluta, è il segno di uno squilibrio che fa torto al senso della misura e al relativismo nel quale viviamo.

Franco Campegiani

3 commenti:

  1. Caro Franco, credo che il tuo intervento sia quanto mai veritiero e illuminante. D'altronde la stessa storia di vita del Leopardi dimostra che egli non aveva attitudine a sprofondare nel cosiddetto 'pessimismo cosmico'. Più d'ogni altra cosa lo dimostra il concetto dell'utopia solidaristica.Già nel 1829 Leopardi scriveva:- La mia filosofia non solo non conduce alla misantropia, ma esclude la misantropia, e tende a spegnere quell'odio che tanti uomini portano ai loro simili, sia abitualmente, sia in occasioni particolari, a causa del male che essi ricevono dagli altri uomini. La mia filosofia fa rea di ogni cosa la natura, e discolpando gli uomini totalmente, rivolge l'odio all'origine vera dei viventi-. Ne La ginestra o fiore del deserto (composta nel 1836), Leopardi giunge a formulare un progetto (o utopia) solidaristica: solo solidarizzando fra loro e confederandosi contro il comune nemico (la natura), e d’altra parte solo mettendo al bando le "superbe fole" e fondandosi su una veritiera analisi delle proprie condizioni e dell’esistenza universale, gli uomini potranno fondare una convivenza civile più umana, salda e duratura. La comprensione per la sofferenza dell’uomo, la fraternità del dolore, il mutuo riconoscimento nell’angoscia della sorte mortale, sono il presupposto per cercare una nuova via per fondare una migliore convivenza sociale, per cercare nei limiti del possibile di arginare le forze negative che dominano la realtà. Io non condivido il concetto di natura - matrigna, ma alla luce dei numerosi scritti dell'artista di Recanati, credo che il suo fosse solo il tentativo di trovare un capro espiatorio... La natura, e la Ginestra lo dimostra, subisce gli eventi quanto gli uomini e reagisce risorgendo... proprio come abbiamo sempre fatto e faremo noi! Maria Rizzi

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  2. Mi chiedo: come possiamo pensare di essere fratelli se non siamo disposti a riconoscere e ad amare la madre da cui siamo generati? La solidarietà dovrebbe oggi essere incentrata sul "mea culpa" degli uomini nei confronti del creato, ma sono certissimo che il Recanatese non intendesse prendersela contro la madre comune - verso cui nella sua opera esiste un'infinità di spunti di autentica venerazione - bensì contro quell'illusoria filosofia degli uomini che le attribuiscono scioccamente solo svenevoli benevolenze, mentre il bene ed il male si amalgamano e si bilanciano sempre nella sua legge di equilibrio universale. Io amo profondamente la poesia e la filosofia leopardiane perché vedo pulsare in esse il sangue dell'armonia dei contrari. Al di fuori di questo sano antagonismo, il pessimismo perde le sue autentiche valenze energetiche e diviene bolso e melenso, come di sicuro non era nelle corde dello spirito leopardiano.
    Franco Campegiani

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  3. In effetti, mio caro Franco, nel corso della sua poetica Leopardi assume un duplice atteggiamento nei confronti della natura: ne sente allo stesso tempo il fascino e la repulsione, in una specie di "odi et amo" catulliano. L'ama per i suoi spettacoli di bellezza, di potenza e di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non più la madre benigna e pia (del primo pessimismo), ma una matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini, una forza oscura e misteriosa, governata da leggi meccaniche ed inesorabili (vedi "Dialogo della Natura e di un Islandese").
    E' questo il terzo aspetto del pessimismo leopardiano che investe tutte le creature (sia gli uomini che gli animali).
    Ma in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima considerata causa di infelicità. Essa gli appare colpevole di aver distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche l'unico bene rimasto agli uomini, i quali, forti della loro ragione, possono non solo porsi eroicamente di fronte al vero, ma anche conservare nelle sventure la propria dignità, anzi, unendosi tra loro con fraterna solidarietà, come egli dice nella "Ginestra". Sono d'accordo con te... non si può concepire fratellanza senza amare la madre che ci ha generati... Maria Rizzi

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