venerdì 1 agosto 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "LA TEMPESTA DELL'AMORE", DI M. VITTURI


Michela Vitturi: La tempesta dell'amore
Biblioteca del Leone. Castelfranco Veneto. 2014
Prefazione di Sandra Evangelisti

Come acutamente rileva nella sua autoptica prefazione Sandra Evangelisti (La poetessa riesce a percepire e a tradurre in versi quel quid che appartiene alla realtà quotidiana e visibile, ma che solo chi è dotato di una particolare sensibilità e di un talento autentico e naturale per la scrittura, può tradurre in versi come quelli che compongono questa nuova raccolta…), Michela Vitturi parte dalla quotidianità, dalle realtà ridotta ai minimi termini, per traslarla in ambiti di plurale spiritualità. Sì, da una realtà di polisemica significanza, in tutto il suo dispiegarsi per le nostre facoltà sensoriali ed emotive; da un susseguirsi di fatti che, con turbamento, si donino all’anima a che li tramuti in immagini di effettiva e visiva potenza creativa.  Parlerei proprio di un realismo lirico, lo stesso che aveva  contaminato tutta la metà dell’altro secolo soprattutto con Aldo Capasso. Quel realismo che si fa, qui, motivo ispiratore focale, materia portante degli abbrivi che si declinano in sostanza fonica e cromatica. La tempesta dell’amore: questo il titolo. Ed è proprio l’amore a  fare da primo attore nella vicenda spirituale della Nostra. Un amore di perspicua sapidità disvelatrice, un amore di una plurivocità tale da coinvolgere la totalità dei gradi di espansione di tale sentimento:
amore erotico, amore panico, amore familiare, amore per il tutto, insomma. E si sa che l’amore è frutto di un percorso doloroso da conquistare spesso con tappe da via crucis:

… In questa tempesta d’amore
guardo ora
 le luci saettanti
di un cielo scuro
come la  notte.
Com’è possibile
che rispunti il
sole? (Tempesta d’amore).

Un percorso che in questa lirica eponima rivela tutta la complessità di proteiforme valenza: notte e luce, Eros e Thanastos, gioia e dolore. Quegli elementi di diacronica contrapposizione che sanno tanto di esistenza,  di vicenda irrequieta e tormentata. Ed è dalla simbiotica fusione delle contrarietà, dal mélange del polemos degli opposti che si snocciola la varietà tanto umana di queste pièces.  D’altronde lo stesso Vinicius De Morales, amico di Ungaretti, affermava che la  vita è l’arte dell’incontro e che vita e poesia sono la stessa cosa. E qui c’è la vita, il suo perpetrarsi, che si protende da bonacce di venti e di mari a tempeste furiose d’amore. Una vita plurale, di prodromico conturbamento esistenziale, che sa, però, anche, approdare a giacigli di piume soffici e caldi di serena intensità erotica:

La mia anima
riposa tranquilla
sul giaciglio di piume
soffice e caldo
che tu
hai scavato
nella roccia per me… (Quiete),   

con la coscienza della precarietà del nostro esserc/ci, della fugacità del tempo, della fragilità della vicenda umana e dell’inganno delle sue promesse:

Impazienti e nervosi
sfidano tempeste,
geli, lavori e mali
come se la Vita
fosse un’eterna Estate
con divertimentificio,
fatta di oggetti inutili (Sera d’Autunno).

Il tutto in un linguismo di una metaforicità fonosimbolica di arrivante forza comunicativa, dove la sera, le stelle, le piante, gli animali, la luce… non sono semplici connotazioni naturistiche ma tanti segmenti di un’anima volta a concretizzare il suo pathos in corpi visivi, e di generosa naturalezza. Ed è sempre la luce a vincere in questa silloge. Quella luce verso la quale è direzionato il sentire di una poetessa che ama la sua non sempre facile storia, e che sa evidenziare, con una profonda diagnosi introspettiva, e con accostamenti disvelanti luci ed ombre, psicologie tese ora ad una pace di un benedetto silenzio:

La montagna
è calma e silenziosa.
M’infonde pace.
Distesa sul letto  
 ascolto
questo benedetto silenzio… (La montagna),

ora ad un tunnel  cupo e silenzioso:

Come una mosca cieca
di luce impazzita
sbatto
contro il vetro
ma non trovo
la via d’uscita.
Sono entrata
in un tunnel cupo e silenzioso;… (Mosca);

ora ad un deserto pietrificato:

Esausta.
Il vento dell’Amore
ha soffiato
asciugando ogni lacrima,
lasciandomi sola
in un deserto pietrificato… (Deserto),

ora ad  una mestizia che pervade e che rende cupi come lupi:

Il cupore
ha il sopravvento
sul cuore;
ci rende cupi,
cupi come lupi (Mestizia),

ma che sa anche inventarsi gondole con remi possenti rigeneratori, dai paradisiaci poteri:

… Dondoliamo
e remiamo
insieme ora
verso il paradiso (Gondola).

Un susseguirsi di pesi e contrappesi, che garantiscono l’equilibrio della verticalità della composizione. Ed è la memoria, il ritorno ad antiche primavere, a giorni splendenti di luce e di orizzonti illimitati a cospirare a che la liricità si intensifichi di vis creativa, e che  il verbo si faccia ricerca per bilanciare l’esplosione dei ritorni:

… Oceano di tranquillità
risplende
la luce del sol leone.
E’ dolce
come in una remota notte
di luna di miele.
Celebrava le mie nozze
cariche
di notti d’amore… (Plenilunio).

E anche se la morte cova negli occhi di Michela Vitturi, e anche se:

Dentro di me
trovo croci e sepolcri

e

posso vedere chiaramente
quella bambina trascinata
dal mare
lontano,
per sempre (Morte),

nella fragilità di cristallo del suo cuore c’è pur sempre il sacro amore per la vita: una fragilità che riflette raggi di luce:

 … Casomai, sono un vaso
di puro cristallo,
atto ad accogliere
e rifrangere
la luce

e i suoi mille e mille colori (Pozzo).

                                            Nazario Pardini
30/07/2014

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