giovedì 7 agosto 2014

GIOVANNI CASO: "INEDITI"

POLVERE E LUCE


Potessi avere un soffio di quel tempo,
non so se esiste un modo per trovarlo,
la nostra stirpe ha avuto terre e rovi
e il grido dell’inverno e delle ortiche.
Quanto dolore agli equinozi antichi.
Altre lune ci attendono, altri esili.
Anche i tralci conservano memoria
dei nostri viaggi. Ed ogni viaggio è sempre
meraviglia di luoghi e amaro calice
d’insonni solitudini.

                    A noi tocca
il bianco dipanarsi dei tramonti,
non conosciamo il grillo delle stoppie
né il vento dei papaveri sul grano.
Polvere e luce siamo. Il tempo è breve
per ritrovare un po’ di quelle corse,
le voci delle case a cui affidammo
fionde di legno e trottole scheggiate.
Come uccelli sospinti dalle brezze
varcammo cieli.

             Oggi si piega il corpo
come un fuscello al grido della terra.
E ci troviamo a vivere i solstizi
dietro i vetri ragnati dal silenzio.
Sia ancora lungo il filo da filare.
L’inverno ci accompagna verso il sole
per quanto tempo ancora non sappiamo.
E ci somiglia l’acqua della pioggia
che gioca sulle foglie già arrossate
e ricade dolcissima sul viso.




CAMMINEREMO INSIEME


È venuto a colmare la mia stanza
un profumo selvaggio di lavanda
nel prodigio d’un tempo ormai passato.
Quell’odore di mosto, quel bisbiglio
di voci, quel respiro degli aranci
sono i dettagli che non ho scordato.
Pallidi segni della fanciullezza,
la metrica dei giorni in pentagrammi
di solchi germoglianti a primavera
per la spiga di giugno.

             Poi al crepuscolo
un velo coprirà tutte le cose,
anche il silenzio forse griderà
dalla conchiglia fossile del cuore.
Nel ciclo inarrestabile dei giorni
tutto declina e tutto si rinnova,
fiume inesausto al ramo della foce.
Forse la morte è solo un’illusione
e cerca anch’essa vita, nel tepore
d’un vento estivo.

            
Il tempo ha il suo splendore
nella grazia più dolce del tramonto.
Ti ringrazio se ancora mi accompagni,
parola che mi sfiori e cerchi il foglio,
non so di quanta libertà ha goduto
l’anima mia, ancora non comprendo
come saremo e quanta vita avremo
da riportare a Dio. In nuova luce
cammineremo insieme e il corpo avrà,
dopo l’inverno, il sole dei redenti.




IL VENTO D’UN SORRISO


Ha ancora luce da portarci il giorno,
gioca sulla scacchiera del tramonto
i suoi istanti al salto del cavallo.
La vita ha voglia d’altri incantamenti,
dà quanto può, riceve anch’essa un tanto
misurato in crepuscoli ed aurore.
E ci troviamo a accumulare cose
mai volute o cercate, quasi fossero
pietre di luna o code d’aquiloni
perdute in cielo.

             Siamo tutti nati
con le stelle sospese all’orizzonte,
quelle che brilleranno al nostro addio.
Solo la giovinezza ci ha portato
il sole delle spighe. Oggi ci sembra
diverso da quell’altro dei vent’anni
il mondo, in tanti inganni e sconnessure.
L’età non ha altalene da cullare,
tra marosi schiumanti si dibatte,
viene attratta dal fondo.

                          E se pensiamo
di aver compiuto quanto a noi richiesto
vagando per le strade della terra,
di certo ci sbagliamo. Insonnie e pene
e crepuscoli ed ansie abbiamo scritto
col passo degli erranti. Alta e silente
la saggezza è rimasta appesa al ramo
mai afferrato. Eppure il tempo ha avuto
rugiada da donarci e qualche volta,
per consolarci, il vento d’un sorriso.











4 commenti:

  1. La prima sensazione che ho avuto, dopo la lettura di queste tre poesie, è stata di trovarmi sospesa in uno spazio libero, come se il ritmo lessicale e le vibrazioni emotive mi stessero trasportando verso un'altra dimensione di vita.
    Il poeta GIOVANNI CASO rappresenta una elle voci più significative della poesia contemporanea, un classico nella modernità che, con mirabile eleganza, raccoglie la nostra "Polvere di luce" e ne cosparge sentieri di bellezza e nostalgia che fermano il cuore. "Poi al crepuscolo un velo coprirà tutte le cose," perché "La vita ha voglia d'altri incantamenti".
    Grazie, Giovanni. E grazie anche al nostro amico Nazario Pardini.

    Maria Ebe Argenti

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  2. E' vera poesia quando i versi riescono a tradurre in dolci suoni l'urlo della tempesta e "nella grazia più dolce del tramonto" il grigiore dell'inverno.
    Il vero Poeta percorre il sentiero della vita accostandosi, ad ogni passo, agli infiniti palpiti della Natura.
    Grazie Giovanni!

    Roberto Mestrone

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  3. È canto la poesia di Giovanni Caso: continuo, affascinante, pervasivo. L’avventura della vita si snoda in un racconto vibrante, commosso, carezzevole, di inaudita dolcezza, dove l’endecasillabo si fa splendida ( e forse necessaria) misura di una realtà poetica urgente e irrefrenabile. Così, per fare un esempio, l’emistichio “Polvere e luce siamo” suggella in potente sintesi una condizione, quella umana, “impastata” -come, mi pare, diceva Oreste Del Buono- “ di fango e di luce”; e richiama l’oraziano, e più pessimistico, “Pulvis et umbra sumus” (Carm. IV, 7, 16). La precarietà della condizione umana, che trova larga eco nei versi di Giovanni, reclama comunque una forma di riscatto, una redenzione, uno spiraglio di salvezza: che il nostro Poeta ci offre con cuore solidale, soffondendo i suoi versi di speranza o, quanto meno, di serena accettazione.
    Del resto Giovanni Caso è poeta di grande valore. E sa parlare al cuore del lettore.
    Pasquale Balestriere

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  4. Si potrebbe configurare il reato di sequestro di persona nei confronti di Giovanni Caso, stante il totale coinvolgimento emotivo e sentimentale di fronte a questi versi. Come le acque del fiume scorrono verso il mare, a un tempo fine del viaggio e ciclica, perenne ricongiunzione degli elementi naturali, così le visionarie parole di Giovanni Caso ci conducono verso una meta che è, insieme, paura dell’ignoto e desiderio di assoluto. Ma anche qui assistiamo alla ricomposizione degli elementi naturali (“Polvere e luce siamo”) e alla ricorrente riscoperta delle umane fragilità, però sostenute dalla fede (speranza?) in una sempiterna rinascenza fisica e spirituale, una sorta di salvifica ‘renovatio humanitatis’: “Nel ciclo inarrestabile dei giorni / tutto declina e tutto si rinnova, / fiume inesausto al ramo della foce ./ Forse la morte è solo un’illusione / e cerca anch’essa vita, nel tepore / d’un vento estivo”. Oltre che quella di tanti grandi della letteratura, si avverte, nei versi di Giovanni Caso, l’eco felice del panteismo spinoziano: la fede nella inesausta vitalità degli elementi naturali, però illuminata e nobilitata dalla forza rigeneratrice e prodigiosa della poesia e della parola, qui sommessamente e quasi religiosamente evocata: “ Ti ringrazio se ancora mi accompagni, / parola che mi sfiori e cerchi il foglio”.

    Umberto Vicaretti

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