Roberto Mestrone collaboratore di Lèucade |
Arte, Sviluppo e Progresso
Ho sempre tenuto in serbo, tra le carte delle mie letture
giovanili, una illuminata intuizione di P.P.Pasolini tratta da uno dei suoi
“Scritti corsari”: Sviluppo
e Progresso.
E mi trovo d'accordo con il grande scrittore dal cuore
friulano
nell'assegnare al Progresso
il merito di contribuire, in maniera
determinante, al riscatto sociale del Proletariato, mentre riconosco nello Sviluppo l'arma vincente del Capitalismo: fin dalla nascita di quest'ultimo lo strumento di produzione ha consegnato le leve del comando nelle
mani del Padrone, di cui lo Sviluppo ha rafforzato il
potere.
Negare queste affermazioni, soprattutto al giorno d'oggi,
sarebbe ingenua ipocrisia: la Borsa
regola il Mercato e le economie delle
Nazioni sono in balia dei colossi industriali
multinazionali.
Questi, a loro piacimento, governano il destino di milioni di famiglie:
partoriscono quotidianamente prodotti innovativi, ma versano lacrime di
coccodrillo quando gli abbagli dell'isterica tecno-avanzata producono aborti; e
sul baratro dei dissesti economici è del proletariato l'autentico, amaro
pianto.
Non speculo più oltre nel pensiero politico – che forse
neppure condivido appieno – che animava Pasolini all'epoca delle sue idee
feconde. Erano tempi, quelli, che vedevano contrapporsi alle compagini annodate
al capitalismo altri schieramenti che del capitalismo contestavano gli effetti
perversi.
Dobbiamo comunque riconoscere che dalle elitarie aspirazioni
del libero mercato il proletario, oltre il legittimo sostentamento, trae – come
consumatore – anche illusori elementi di mobilità
sociale (acquisizione dello status
symbol), mentre i benefici
meno tangibili sono rappresentati da temporanei barlumi di “benessere” il
quale, per non essere confuso con l'appariscente sinonimo “prosperità”, nel
nostro Paese viene camuffato col termine d'oltralpe “welfare”. Qui mi limiterò
a constatare la fondatezza del “caso di coscienza” sollevato dalla perdita di
valori che percepisco percorrendo a ritroso le tappe dell'umano cammino ed
associando al dualismo Sviluppo e Progresso un'altra componente
socioindividuale:
l'Arte,
in tutte le sue forme ed espressioni.
In altri termini, vorrei riuscire a dimostrare come i vistosi passi in avanti
dello Sviluppo possano far deviare, verso la china del nichilismo
intellettuale, la strada maestra della Società. Nella sfera delle discipline
artistiche, infatti, la logica dell'interesse
privato e del lucrare – perseguita dagli idolatri del danaro
– si limita ad umiliare le fulgide Bellezze
dell'intelletto,
eccezion fatta per le nobili iniziative dei ricchi Mecenati del Rinascimento e
di alcuni benefattori e filantropi contemporanei,
tese ad incentivare e salvaguardare i capolavori che oggi possiamo ammirare nei
musei di tutto il mondo.
Ai primordi, quando lo ius omnium in omnia scatenava la lotta per la
sopravvivenza ed ogni tribù soggiaceva alla legge dell'homo homini
lupus, l'Arte era negletta e relegata nelle
grotte di artisti improvvisati che nei momenti di pace e tranquillità
incidevano sulla pietra la traccia del loro ingegno. Questo “buio” della creatività era legittimo: l'insidia del nemico, le battaglie per la difesa del
proprio territorio e la Natura implacabile
non fecondarono né fecero germogliare semi di genialità.
Durante le dominazioni dei grandi imperi dell'antichità
le popolazioni
erano rappresentate da enormi masse di schiavi e plebei;
l'eco della
Musica, i passi della Danza e i versi della Poesia – segregati nelle
magioni di poche menti nobili e patrizie – sono giunti fino
a noi tramandati nei secoli dalla memoria che non si cancella: la Storia.
Ma l'Arte appartiene all'intero popolo in seno al quale essa
nasce e si espande, fermenta e traccia solchi dai quali TUTTI possono
raccogliere – per diritto acquisito fin dalla nascita – le messi del Sapere!
Alla fine del Medioevo, trascorsi secoli di bellum perpetuo che mise a dura prova le libertà
individuali, di pensiero e dell'estro creativo, gli albori dell'Età Moderna videro sbocciare in Europa i solerti maestri dell'Umanesimo e del Rinascimento,
favoriti nel loro operare dalla stabilità dei regni e delle città in cui
trovavano ospitalità le loro botteghe.
Questo “fermento delle menti” si è protratto fino alla fine
del secolo XIX ed è curioso rilevare come, fino ad
allora, il progresso dell'Arte
umanistica, figurativa e di ogni altra espressione estetica dell'interiorità
umana abbia avuto – in
Europa – un orientamento
in crescita, mentre
lo sviluppo delle Scienze applicate si sia mosso lento pede.
Un esempio illuminante ci perviene dai Trasporti; di merci, persone, cose.
Dalle origini dell'umanità fino alla prima metà del XIX
secolo ci si
spostava, via
terra,
su carri e carrozze condotti da
cavalli, muli, bovini ed altri animali da tiro. Occorrevano intere giornate –
talvolta anche mesi – per arrivare ad una meta che oggigiorno si raggiunge in
un paio d'ore.
Pensate: per
migliaia di anni l'uomo ha percorso strade su “veicoli” trainati da animali!
Nel 1825, in Inghilterra, la prima locomotiva a vapore diede
notevole impulso alla costruzione della strade
ferrate, chiamate solo
successivamente linee
ferroviarie,
che rivoluzionarono – accrescendolo
notevolmente – il sistema di trasporto terrestre.
Nel solcare i mari, le navi non
hanno rivali che ne sostituiscano lo scafo
per fendere le onde, pur se negli
ultimi due secoli i loro dispositivi di locomozione – soppiantando le
attrezzature veliche – hanno subito straordinarie trasformazioni.
Gli abissi
salati rimarranno incontaminati fin dopo la
prima metà dell'Ottocento, quando le profondità degli oceani saranno violate
per la prima volta da rudimentali sottomarini
e sommergibili, mentre
le sfere celesti avvisteranno le armature rigide dei dirigibili e le ali metalliche degli aeroplani solo agli inizi del '900.
Poco più di centodieci anni fa! Un
tratto di storia brevissimo.
Oggi attraversiamo gli spazi celesti e terracquei rendendo minimi i tempi di percorrenza
anche su distanze ciclopiche: il giro del mondo viene attuato in tempi rapidi
praticando l'hobby di salire e scendere scale negli aeroporti.
Ma il viaggio, inteso come atto itinerante, ha
perduto il proprio fascino.
E che dire dei prodotti informatici, dei mezzi di
comunicazione audiovisiva via etere o dei minuscoli marchingegni che non hanno
bisogno di tabelline per fornirci il risultato di un'operazione matematica?
Tutto è stato progettato e prodotto per sollevare l'estro
della nostra mente dalla fatica del “cercare e capire”, dello “sperimentare e
discernere”.
Naturalmente ai nostri nipoti non sarà più necessario, nel
risolvere una moltiplicazione, ricorrere al ragionamento o all'ausilio di carta
e penna: la calcolatrice elettronica è certamente più precisa, veloce ed
estremamente maneggevole. Oppure non si dovrà più rovistare tra gli scaffali di
una biblioteca per riuscire a svolgere con minuzia un compito scolastico: il
cervello del computer
è stato progettato per fagocitare tutto
lo scibile umano e presentarcelo su uno schermo dopo un semplice “clic”.
Tesi di laurea, dispense didattiche, libri fai da te,
lettere d'amore, citazioni a giudizio... Stop alla macchina da scrivere coi martelletti, sostituita (quasi trent'anni fa) dai
performanti strumenti dell'Office
Automation!
Adagiato sulla scrivania, il pc ci attende giorno e notte difeso da
sistemi antivirali di prim'ordine, vezzeggiato e conteso in casa come un
indumento intimo insostituibile e non cedibile, cassaforte della nostra e_mail protetta da password indecifrabili.
Coadiuvato dall'amica tastiera di ultima generazione,
compagna dei giorni feriali e del dì festivo, il cervello informatico è in attesa delle nostre dita voraci
per stendere lenzuola di lettere e numeri su una lavagna a cristalli liquidi.
A chi sta bisbigliando malignamente alle mie spalle preciso
subito: non sono un retrogrado!
Anch'io mi intrattengo spesso a colloquio col mio portatile,
e non solo: pur godendo di lunghi periodi di meritato riposo (ho raggiunto
ormai la soglia dei settant'anni) svolgo tutt'ora alcune attività di consulenza
con l'aiuto di innovative creature “hardware” e taciturne anime “software” che
lavorano al mio fianco con fedeltà e diligenza encomiabili.
Sono consapevole che senza questi bijou tecnologici il mondo
girerebbe al contrario. E non saremmo riusciti a progettare, costruire, catalogare
e distribuire le MIRIADI DI BENI che le prodigiose invenzioni dei nostri tempi
– l'era della Produzione
di Varietà e del Just in time – ci permettono di utilizzare o
consumare.
Ma lo Sviluppo deve coniugarsi armonicamente con
il Progresso
affinché sia consentita la
conservazione delle nostre Personalità, dei nostri Costumi, delle Tradizioni che caratterizzano l'Identità di un Popolo.
La lotta per la sopravvivenza del cavernicolo è una ferita
rimarginata dopo millenarie stagioni di pace e compromessi tra le Genti, ma
l'uomo del nostro tempo – prodigo di idee rivoluzionarie e scoperte
sorprendenti – non è ancora riuscito “brevettare” i due toccasana più
congeniali al buon “funzionamento” della Società: la Concordia tra i Popoli e il giusto equilibrio tra il
Superfluo e il Necessario.
Ed è L'ARTE
– nelle sue vivaci espressioni – uno
dei beni indispensabili all'Umanità: allevia e nobilita le fatiche dell'Essere pensante, rinsalda e custodisce le virtù che gli antenati ci hanno trasmesso.
Oggi i limpidi torrenti della Cultura si disperdono in mille
rigagnoli
confluendo poi nell'oceano del consumismo forsennato. E il
timone dello Sviluppo non consente al battello dei Pensieri di approdare sulla
sponda dei Sentimenti.
Assistiamo quotidianamente a fenomeni socio-culturali
perversi che
dividono vastissime frange del ceto medio in due opposte
categorie: l'una che dribbla il desiderio di Sapere e
l'entusiasmo di Trasmettere
agli altri le
proprie emozioni rinchiudendosi nella gabbia dell'egoismo; è la folta schiera
di coloro che non
si nutrono mai di Arte ma
pensano solo al proprio tornaconto.
L'altra è rappresentata dai Fruitori d'Arte mossi da buoni propositi ma stritolati
dagli ingranaggi degli speculatori senza scrupoli. Esempi rivelatori li si
individua nel comparto dell'Editoria libraria, in cui militano spregiudicati
imprenditori della carta
stampata che fanno indossare
al libro dai panni miseri gli abiti della mannequin spocchiosa.
L'opera d'arte non è una veste da sfoggiare né tanto meno
una
protagonista dell'Alta
Moda. Non dobbiamo
sopravvalutarla... ma neppure sottoporla a contraffazione. È un vulcano che
esplode dentro di noi con le fiamme dell'ingegno! E attorno a questa montagna
in eruzione si raccolgono le Muse, pronte ad alimentare il fuoco.
Ma le Muse rifuggono i pendii contaminati dal consumismo
dilagante e pernicioso poiché il loro spettro d'azione non contempla l'artefazione né il mercimonio.
L'Italia come è inserita, nel contesto mondiale, tra le
maglie di questo “impoverimento culturale”?
Rocco Molteni, un arguto giornalista de La Stampa, alcuni mesi fa
pubblicava sul suo quotidiano, col titolo “Italia Cenerentola dell'Arte”:
«Come ricordava un po’ di anni fa
Salvatore Settis (archeologo e storico dell'Arte, n.d.r.), quando si tratta del
patrimonio culturale i nostri politici, di destra o di sinistra che siano,
amano sparare cifre a casaccio. Un capo del governo (Berlusconi nel 2008)
arrivò a dire che l’Italia ha il 50 per cento dei beni culturali del mondo, un
assessore toscano che in Toscana c’è il 50 per cento dei beni culturali
italiani e un vicesindaco di Roma che nella capitale si trova il 30-40 per
cento dei beni mondiali.
In questi giorni, almeno per
quanto riguarda l’arte contemporanea, la classifica annuale della rivista
inglese Art Review, pubblicata da
Artribune, ci riporta coi piedi
per terra: tra
le 100 persone più influenti del mondo in questo settore solo 4 sono italiane, pari al 4 per cento. E questo
misero 4 per cento, nella classifica guidata dalla sorella dell’emiro del Qatar
(direttrice della Qatar Museum Authority), non se la passa neppure tanto bene.
Tolto Massimiliano Gioni,
curatore della Biennale di Venezia 2013, che è al decimo posto, per trovare un
italiano dobbiamo scendere al 77°, dove c’è il gallerista Massimo de Carlo. (
…...... )
(…....) Insomma il declino
dell’Italia passa anche attraverso l’arte
contemporanea dove solo i
privati (leggi galleristi) garantiscono ancora un’eccellenza. D’altronde cosa ci si può aspettare da
un Paese dove i politici straparlano di arte come nostro giacimento petrolifero
e poi lasciano morire a poco a poco, per l’incapacità di prendere decisioni, musei
come il Castello di Rivoli o il Macro di Roma?
Ps. Ce la caviamo meglio
nell’arte culinaria: fra i primi 50 chef del
mondo, secondo la classifica
inglese di Restaurant ce ne sono 4 italiani, di cui uno, Bottura, è al terzo
posto.»
Un'altra illuminata mente nostrana, il saggista Nuccio Ordine – dell'Università della Calabria – sul
suo ultimo libro “L'utilità
dell'inutile”
difende a spada tratta la tesi secondo la quale «non è vero – neanche in
tempo di crisi – che è utile solo ciò che produce profitto.
Esistono, nelle democrazie
mercantili, saperi ritenuti “inutili” che invece si rivelano di una
straordinaria utilità.
L’ossessione del possesso e
il culto dell’utilità finiscono per inaridire lo spirito, mettendo in pericolo non
solo le scuole e le università, l’arte e la creatività, ma anche alcuni valori
fondamentali come la dignitas hominis, l’amore e la verità».
Alla domanda su come sia nata
l’idea del suo libro, il prof. Ordine ha così risposto: «In una società in cui
l’utile (ciò che produce profitto) sembra dettare legge in ogni ambito della
nostra vita, mi è sembrato opportuno ricordare che l’inutile (quei saperi che
non producono guadagno) è molto più utile dei soldi. L’unica occasione che
abbiamo, come esseri umani, di diventare migliori ce la forniscono l’istruzione,
la ricerca scientifica, i classici, i musei, le biblioteche, gli archivi, gli
scavi archeologici:
e non è un caso che la scure dei governi e della crisi si abbatta purtroppo
proprio su quelle cose ritenute inutili. Attraverso la parola dei classici,
dall’antichità ai nostri giorni - spiega Ordine – ho voluto mostrare l’utilità
dell’inutile e l’inutilità dell’utile (quante cose “inutili” ci vengono imposte
come “utili”?). La
logica commerciale del profitto non solo sta progressivamente distruggendo l’istruzione
(trasformando le scuole e le
università in aziende e gli studenti in clienti), ma ha talmente inaridito lo
spirito a tal punto da rendere disumana l’umanità».
Ed io aggiungo: finché la forbice della Ragion di Stato si ostinerà a
recidere fronde rigogliose e boccioli sani nel giardino
della Cultura, la Società priva dei frutti della mente languirà in un deserto
di irragionevole rassegnazione.
Francisco Goya, a fine '700, scriveva: «El sueño de la razón produce monstruos.
- Il sonno
della Ragione genera mostri. -», e il suo talento, marchiato di fervente
Illuminismo creativo, dava forma ad autentiche emozioni
praticando la ricerca della Verità
(patrimonio della ragione) e della Bellezza (parto della fantasia): «La fantasía abandonada de la
razón produce monstruos imposibles: unida con ella es madre de las artes y origen
de las maravillas. - La
fantasia priva della ragione produce impossibili mostri: unita alla ragione è
madre delle arti e origine di meraviglie. -»
Il mondo d'oggi non è certamente indolenzito dal sonno della ragione, ma senza alcun dubbio si lascia
stritolare dagli ingranaggi di una ragione
ossessiva e mercantile,
lasciando languire le candide ali di
una cultura ormai asfittica.
Che fare per evitare lo sfacelo?
È Heidegger
che ce lo insegna. L’opera mantiene aperta
l’apertura del Mondo {Sentieri
interrotti (Holzwege - 1950)} .
E Gianni
Vattimo di rincalzo: «È l'opera d'arte [...] che nel
pensiero
maturo di Heidegger apre e fonda
i mondi storici, i quali esistono in
definitiva proprio come sforzo
di viverla, interpretarla, imitarla. Si pensi per questo al significato epocale
di certe grandi opere d'arte di cui si è nutrita la tradizione dell'Occidente
[...] Permanere nel mondo fondato dall'opera significa per così dire, vivere
nella sua luce. La storia di un'epoca non è altro, in fondo, che esegesi di una
o più opere d'arte in cui una certa "epoca" dell'essere si è
istituita e aperta». Da ciò il rifiuto heideggeriano del modello storicistico.
L'arte non esprime o rispecchia un'epoca, ma la plasma. Pertanto, non è
attraverso una determinata epoca che si può comprendere il senso di un'opera,
ma, all'opposto, è attraverso un'opera — e la costellazione di valori di cui
essa è portatrice — che si può comprendere il senso di una determinata epoca».
Ancora Heidegger
ad esaltazione della Poesia: … la poesia è «il fondamento che regge la storia » e
«il linguaggio originario di un Popolo» {Hölderlin e l'essenza della poesia
(Hölderlin und das Wesen der Dichtung – 1937 )} .
E a noi, gnomi intelligenti asserviti ai cinici segnali di transistor o microchip,
non resta altro che salire sulle spalle dei giganti del Sapere per meglio
scorgere il cammino
di luce dell'Arte; gli
imperituri valori che essa rappresenta, da quando l'intelletto umano ha calcato
l'orma dell'ingegno divino, sono i giusti strumenti per infrangere gli
specchietti per le allodole dello Sviluppo ingannevole.
Roberto
Mestrone
Leggo il magnifico saggio di Roberto Mestrone e rifletto su come il maggior pericolo dei tempi che viviamo sia la stanchezza. Combattiamo contro questo pericolo estremo, in quanto consapevoli dei limiti della tenologia, in quanto buoni europei... Ma la nostra disposizione d'animo deve concretizzarsi in un atteggiamento vigoroso, che non teme una lotta destinata a durare e a rendersi sempre più difficile.
RispondiEliminaHo la sensazione che solo una disperata fiducia nei mezzi creativi può portarci lontano dall'incendio distruttore dello sviluppo senza freni, dal fuoco soffocato della disperazione per la missione dell'Occidente... forse del mondo intero... , dalla cenere della grande stanchezza. Non è mai troppo tardi per consentire la rinascita della Fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità. Come asserisce Mestrone, soltanto lo spirito è immortale. Coltiviamo i valori che danno senso ai nostri giorni, che ci rendono uomini liberi! Maria Rizzi
Interessante e corposo questo saggio di Roberto Mestrone, che parte da una riflessione di P.P.Pasolini e, dopo un lungo scorrere nella storia dell'economia e della politica -motori ineluttabili dello sviluppo- su cui si innesta il destino altalenante dell'Arte, si conclude con il pensiero di Heidegger che esalta e consacra il valore della poesia "come fondamento che regge la storia" e "il linguaggio originario di un popolo". Non entro nel merito del complesso pensiero di Pasolini, il quale con le sue capriole ideologiche non ci offre ancora oggi un suo dato stabile del pensiero politico definitivo (per cui penso che andrebbe riletto criticamente). La complessità del saggio di Mestrone consiste nell'excursus storico dello Sviluppo del potere capitalistico, che ha, nel tempo, ottenebrato la validità e la verità dell'Arte in genere, e della poesia in particolare. Un destino ineluttabile che ha accompagnato il declino dell'arte nei periodi di predominio del potere della concentrazione capitalistica, o nell'esercizio del potere in modo assoluto nei momenti più bui della democrazia reale e della libertà. La maggiore responsabilità tocca alla storia dell'Occidente, non solo nelle sue ultime fasi del colonialismo (di cui stiamo tuttora pagando le conseguenze) e delle brutture della nostra età. Si pensi al delirio di cui erano folle preda i Flavi, quando bruciavano in piazza i libri contenenti la grande cultura di un intero secolo che li aveva preceduti e che deviarono l'Arte e la cultura classica. Per la poesia era il dileggio più ingiurioso. E così via, anche se appartiene a quel periodo la convinzione che carmina non dant panem. Ma era -ed è- proprio questa la forza esponenziale della poesia. Perché l'Arte -e la poesia- non solo allora -ma in tutti i tempi in cui è prevalso il senso della misura e della libertà - sono state sempre il fulcro del pensiero e la forza di cambiare e di determinare gli eventi, come giustamente Mestrone afferma riportando il pensiero di Heidegger:" L'Arte non esprime o rispecchia un'epoca, ma la plasma". Come vera è anche la conclusione del Saggio:" A noi, gnomi intelligenti asserviti ai cinici segnali di transistor o microchip, non resta altro che salire sulle spalle dei giganti del Sapere per meglio scorgere il cammino di luce dell'Arte". Giusto. Difendiamo i valori che hanno sempre fatto grande l'Arte e la Poesia e non una fragile società legata alla labilità del tecnicismo e dell'alienazione.
RispondiEliminaUmberto Cerio
Ringrazio Roberto Mestrone per l'opportunità che mi offre, come la offre a tutti i lettori di questo insostituibile Blog, di riflettere su argomenti di così ampia portata. Egli parte dalla stimolante distinzione pasoliniana fra Progresso e Sviluppo, che in realtà sarebbe più facilmente comprensibile includendo nell'idea di Progresso quella di Umanesimo e di Spiritualità. Al di fuori di ciò, il Progresso resterebbe infatti nell'orbita di quel materialismo cui lo stesso Pasolini in fondo si oppose, denunciando l'omologazione del proletariato con la borghesia industriale e con i modelli del consumismo. Condivido pertanto l'idea centrale di questo denso e stimolante trattato, che mi sembra essere quella di una strenua difesa dei valori spirituali contro il materialismo imperante nella nostra civiltà. Mi permetto soltanto di osservare, pur nella condivisione dell'assunto: 1) che i valori dello spirito affiorano, per contrasto, proprio nei periodi di maggiore negazione della spiritualità. Possiamo forse misconoscere che gli illuminati Medici dell'Umanesimo furono per altri versi dei politici sanguinari dediti ai più loschi affari? Non quando si separano, ma quando si uniscono, il Bene ed il Male fanno germogliare i frutti di favolose civiltà. 2) Anche nei tempi attuali questo è possibile, nonostante il trionfo apparente dell'aridità tecnologica e della brutalità. Riscoprire i valori del profondo non deve significare opporsi alla superficialità, ma arricchirla di ciò che le manca: l'interiorità (e questo è un lavoro da affidare ai singoli, molto più che alle comunità). 3) Non si deve confondere il patrimonio culturale con la spiritualità. Se consideriamo l'opera d'arte un prodotto, in cosa si distingue dagli altri prodotti commerciali? Diventando prodotto, l'arte si inserisce inevitabilmente nella categoria dell'"utilità". La sua "inutilità" sta nel percorso creativo che l'ha generata (e che può generare anche nel suo fruitore), percorso che prescinde totalmente dalle leggi di mercato. Va da sé che stiamo parlando di "spirito", di quella facoltà dell'uomo che è realmente "inutile", ma da cui dipende l'intero dominio della storia, della cultura, dell'economia e dell'"utilità". Per questo ha ragione Vattimo, commentando Heidegger, laddove dice che "l'arte non esprime o rispecchia un'epoca, ma la plasma".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Condivido in gran parte la visuale del saggio di Mestrone, che ringrazio vivamente per l'intenzione nel tentare la riscoperta di certi valori quasi oscurati e obsoleti. Il progresso dovrebbe andare di pari passo con lo "sviluppo" intellettuale, soprattutto morale ed etico delle genti. Purtroppo in questo momento storico è latitante e confonde con l'utile ogni forma di vita, anzi se la contende per averla tutta dalla sua parte, cioé, corrotta e ignorante...Lo spirito però risorge e rinasce dalle ceneri, perché sarebbe impensabile un'umanità senza spiritualità. Confidiamo pertanto nella rinsavita di certi principi della ragion pura kantiana e nella facoltà discernitive dell'uomo di salvarsi quando tutto appare perduto...la bellezza potrà salvare l'umanità? lo auspichiamo. Grazie Dr. Mestrone di aver aperto questo dibattito col suo ottimo saggio.
EliminaNinnj Di Stefano Busà
Un excursus oscillante tra cronaca e storia, tra filosofia e letteratura, con precisazioni puntuali e intuizioni degne di attenzione. Qui Mestrone sottolinea con saggezza il ruolo insostituibile dell'Arte, "bene indispensabile all'Umanità", ed afferma, giustamente e con opulenza di dati e di citazioni a supporto, che sviluppo e progresso (materiale) -da soli- innescano un processo di disumanizzazione forse addirittura irreversibile.
RispondiEliminaMa l'Arte -o, meglio, l'istinto creativo- è nella natura dell'uomo come parte integrante. E mai ne potrà essere interamente espulsa, ma sempre risorgerà, anche dalle sue ceneri. E durerà quanto durerà il genere umano.
Complimenti a Mestrone per la ricchezza del saggio.
Pasquale Balestriere
Sono felice di una riflessione che apre il coperchio chiuso da tempo della relazione tra arte, potere (anzi per dirla con Pasolini ‘Potere’ con la P maiuscola) e società. A mio avviso stiamo rischiando la fine della centralità del pensiero europeo il quale soffre terribilmente per la perdita delle sue identità particolari, si pensi a quanta arte e cultura in Italia è nata dalla provincia - Pasolini stesso - . Questo Potere così difficile da individuare, ha creato un pensiero a cui tutti noi siamo conformi e non lascia spazio alle peculiarità. La distinzione tra ‘sviluppo’ e ‘progresso’ in Pasolini è sui consumi, non solo per motivi ecologici, che a quei tempi erano agli albori, ma per il consumo come fonte di omologazione che rende gli individui facili da gestire. E poi il ‘passato’ è per l’autore friulano forza del cambiamento. Vorrei citare una lirica, recitata da Orson Wells ne “La Ricotta”, per tranquillizzare Roberto Mestrone ( se ne avesse bisogno) sull’essere retrogrado, il brano è tratto da “Poesia in forma di Rosa” di P. P. Pasolini:
RispondiElimina“Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.”
Luca Giordano - Roma
Lo spazio che mi concede un commento non è certo sufficiente per approfondire le tematiche sollevate da Roberto Mestrone con il suo interessantissimo saggio. Voglio, tuttavia, cercare di riassumere il mio modesto pensiero al riguardo. Roberto titola il suo scritto "Arte, Sviluppo e Progresso" e, dall'analisi che ne segue, risulta evidente che si tratta - se correttamente interpretate - di tre prerogative umane intimamente correlate. Voglio dire (e Mestrone ne dà riprova attraverso un excursus storico circostanziato) che non possono esserci reali sviluppo e progresso se gli stessi non vengono supportati dall'Arte, che rappresenta l'essenza della natura umana. Bene: io credo che lo squilibrio nasca dal momento in cui non si è più capaci di ricondurre ad unità i tre aspetti del nostro esistere. E' vero - come sostiene Roberto -: "le Muse rifuggono i pendii contaminati dal consumismo dilagante e pernicioso poiché il loro spettro d'azione non contempla l'artefazione né il mercimonio." ma spetta a noi non render loro le chine troppo ripide e pericolose. Come? Un valido esempio ce lo fornisce proprio il saggista cui fa riferimento Mestrone, Nuccio Ordine, il cui passo, tratto dal suo ultimo libro "L'utilità dell'inutile", invito caldamente a rileggere. E, ancora, per quanto concerne in particolare la poesia, il pensiero di Heidegger: "… la poesia è «il fondamento che regge la storia » e «il linguaggio originario di un Popolo» (Hölderlin e l'essenza della poesia - Hölderlin und das Wesen der Dichtung – 1937 ).
RispondiEliminaCi sono stati periodi in cui il genere umano si è molto avvicinato a questo equilibrio ed altri nei quali se ne è completamente distaccato: è la nostra storia ma ciò che sempre ci salverà sarà l'arte che è alla base di tutte le arti: la poesia.
Sandro Angelucci