Ninnj Di Stefano Busà collaboratrice di Lèucade |
A PROPOSITO DEL TEMPO!
di Ninnj Di Stefano Busà
Se
parliamo del “tempo” come opportunità dell’uomo di formulare la sua
provvisorietà e fugacità, bisogna tener conto che vi sono due tipologie di
tempo: quello virtuale e quello reale, al quale si potrebbe aggiungerne uno
particolarissimo che nessuno può sottrarci, un “tempo” meraviglioso, che torna a
vivere ogni volta che ne hai necessità, questo tempo ti dà una carezza
consolatoria, ti regala un sorriso meno greve di quello che la giornata
quotidiana ti riserva, carica di lutti, di privazioni, conflitti, rinunce,
veleni, sofferenze, assalti, delusioni: questo tempo si trova dentro ognuno di
noi e ci rappresenta quasi biologicamente, oserei dire che ce lo portiamo sin
dalla nascita, nel nostro DNA, nella matrice stessa del nostro “io” più
profondo, che corrisponde al settore emotivo e attitudinale del pensiero, il
quale in tal modo si fa terzo episodio del nostro tempo cronologico.
È
l’unica parte di spazio temporale che nessuno ci può sottrarre, il solo tempo
che differisce dagli altri, perché ci trasferisce in un oltre di noi che solo immaginiamo, e permane nella fantasia fabulosa,
affascinante e superiore del pensiero. Questo tempo ci sublima, ci compensa e ci conforta, talvolta ci assolve
e ci sorride, mai ci tradisce o c’inganna, perché è quello che giustifica e
lenisce, mai ci abbandona, mai infierisce, condanna...
Appartiene
alla coscienza. Psicologicamente ci rende adatti a inibire gli stati di
sofferenza, di disagio, di malattia, di paura, d’incertezza, di smarrimento.
Si
tratta del tempo simbiotico, cioé quello che vive dentro di noi
nell’immaginario, consentendoci una vita parallela, fatta di episodi che
esulano dalla sofferenza reale di ognuno e, perciò, quasi ai confini della
vita. Questo terzo elemento temporale che ci consente di neutralizzare la
sofferenza e di riequilibrare lo strazio che ci vive dentro lo chiameremo
–intervallo-
In
quel tempo imprecisabile, alieno, creato dalla volontà di sopravvivenza e dalla
forza d’animo che ciascuno (dico ciascuno) possiede, noi assumiamo una tempra
fortificata dalla tenacia responsabile che ci caratterizza e ci inibisce: lo
strazio, l’angoscia, le trafitture dell’essere.
Abita
la nostra psiche e ci permette d’incontrare un mondo meno abbietto, più
colorato, meno adulterato e soffocante. Solo quando ci troviamo dentro quel
tempo “cognitivo” in temporibus illis di oraziana memoria, possiamo cogliere i
sogni e abbandonare il <tempo> umiliante e adulcorato dagli affanni, ci
sentiamo vivi, veri.
È un
tempo dell’anima, un -non tempo- in cui riversiamo le nostre ansie, i desideri,
i sogni, le emozioni, in cui immaginiamo immergerci per togliere le briglie
alla tribolazione, dare libero sfogo al pensiero, alla creatività “altra”, catapultarlo
in territori idilliaci le risorse umane e le caratterizzazioni dell’essere.
Il
tempo reale scorre, malgrado noi, ci
trascina in un ritmo infernale, ci annienta, ci delude, c’inganna, ci dà
tristezza, smarrimento, disincanto, ci costruisce attorno una barriera di
dubbi, incertezze, rimpianti, ci troviamo smarriti dinanzi alla sua voracità,
instabilità, crudeltà. La sua folle corsa verso la fine di tutto ci disorienta
e ci opprime, ci preannuncia in ogni momento l’atto finale, la resa dei conti,
il trapasso...
Il
tempo “virtuale” invece è più
generoso, ci dilata le barriere del sogno, ci consente di eludere attraverso
chimere o desideri, taluni irrealizzabili traguardi, ci blandisce con le sue delizie
potenziali, ci fa sognare.
Mi
viene da pensare che i poeti vivano
in quel limbo solitario, abbiano spesso la facoltà di trascendere con la poesia
i “non luoghi”, quelli deputati al dolore, e trasferirsi, anche se per un tempo
limitatissimo, nella sfera dei virtuali abbracci dell’immaginazione, che si
concretizza in noi come una “finzione” che non mente, facendoci godere fino
all’ultima stilla l’invenzione fantastica di una vita <fuori di noi>, in
tempi parcellizzati che però ineriscono alla gioia dell’anima, indicandoci la
levità del cuore, estraneandola da quel concetto bruto di temporalità mortale
tanto temibile, perciò, si dice che un poeta vero è immortale...
NOTA AGGIUNTIVA DELL'AUTRICE
Chiarisco il concetto per il quale ho usato il termine
"virtuale".
Ho inteso quello prettamente adibito alla fantasia, alla
creatività, al benessere dell'anima e dell'intelletto, quello che sa nutrire i
nostri sogni, forse più asceticamente atto a fornirci risorse
"spirituali". Ho inteso quello che nettamente si disgiunge dal tempo
"reale", perché quasi lo disattiva, lo sospende, lo neutralizza.
Quello "reale" inerte e doloroso c'immette in un mondo di perverso
automatismo, di temporalità anagrafica che ci trasforma giorno per giorno
consegnandoci diversi al sonno eterno.
Quel "virtuale" da me adottato c'induce a comprendere
meglio lo spaziotemporale, regalandoci il tempus immateriale, l'unità ritmica
che commisura l'intervallo e la carezza consolatoria propria del - non- dover
esistere solo per soffrire, ma proiettandoci in un mondo meno materico ci
introduce in un'atmosfera ovattata, quasi perpetuità equivalente all'archetipo,
cioé al tempo infinito in cui la rapidità del vivere non è violentata dal
dolore, ma placida e serena trascorrenza senza più durata...
Per "virtuale", nell'uso corrente, s'intende la simulazione tecnologica di uno stato reale. Ninnj Di Stefano Busà, da raffinata intellettuale, usa il termine in un senso più proprio e strettamente filosofico, intendendo con esso ciò che esiste in potenza, ma non è ancora in atto. Il riferimento può essere, a parer mio, ad una sorta di "ordine implicito" del mondo (equivalente a quello degli archetipi?) da cui discende l'"ordine esplicito" dello stesso mondo. In termini più semplici, esiste un mondo dello spirito disgiunto dal mondo reale (spaziotemporale), dal quale tuttavia questo deriva direttamente. Un tale mondo invisibile, ma reale seppure immateriale, nessuno può sottrarcelo perché "si trova dentro di noi e ci rappresenta quasi biologicamente". E' un "limbo solitario", ben noto ai poeti, capace di allontanare "quel concetto bruto di temporalità mortale tanto temibile". Una "carezza consolatoria", tuttavia, che non spinge ad allontanarsi asceticamente dal mondo, bensì ad immergervisi, accettandone la sfida con il coraggio indomito della fede, dell'amore e del sogno.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Chiarisco il concetto per il quale ho usato il termine "virtuale".
EliminaHo inteso quello prettamente adibito alla fantasia, alla creatività, al benessere dell'anima e dell'intelletto, quello che sa nutrire i nostri sogni, forse più asceticamente atto a fornirci risorse "spirituali". Ho inteso quello che nettamente si disgiunge dal tempo "reale", perché quasi lo disattiva, lo sospende, lo neutralizza. Quello "reale" inerte e doloroso c'immette in un mondo di perverso automatismo, di temporalità anagrafica che ci trasforma giorno per giorno consegnandoci diversi al sonno eterno.
Quel "virtuale" da me adottato c'induce a comprendere meglio lo spaziotemporale, regalandoci il tempus immateriale, l'unità ritmica che commisura l'intervallo e la carezza consolatoria propria del - non- dover esistere solo per soffrire, ma proiettandoci in un mondo meno materico ci introduce in un'atmosfera ovattata, quasi perpetuità equivalente all'archetipo, cioé al tempo infinito in cui la rapidità del vivere non è violentata dal dolore, ma placida e serena trascorrenza senza più durata...
Ninnj Di Stefano Busà