mercoledì 16 settembre 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "LA TERZA STANZA" DI EDDA PELLEGRINI CONTE



Edda Pellegrini Conte: La terza stanza. IBISKOS- ULIVIERI. Empoli. 2007. Pgg. 104. € 13,00


Una narrazione complessa e articolata che svela fin dagli inizi l’amore e l’attrazione della Conte per la poesia. Si susseguono ambienti e personaggi sorretti da una metaforicità di potente intrusione figurativa, e di notevole caratura lirica, per cui non è affatto improprio parlare, spesso, di vera prosa poetica. E la natura sembra che prenda l’autrice per mano e la conduca nei suoi più intimi anfratti, nei suoi panorami, che poi fanno da antiporta, da prodromico annuncio dell’esplodere delle vicende o della caratterizzazione dei personaggi, del loro sentire: “- Bella questa strada in mezzo ai boschi di castagno. – Dicono che il castagno trasmetta senso di tranquillità. – Non saprei. Però posso garantirti che questi boschi mi fanno sentire del tutto rilassato. Le curve si susseguivano dolci, la strada saliva gradualmente verso il passo. Nella giornata di autunno avanzato il pomeriggio volgeva presto al tramonto. Sulla cima dei monti il sole aveva il colore dell’oro vecchio e nella selva, più in basso, la penombra faceva risaltare la ruggine delle foglie…”. Quanta humanitas, quanta vita in questo autunno decadente e melanconico!  Tanti gli spunti di metaforico sapore che la scrittrice, con la sua maestria e il suo tatto estetico, riesce a proporci. Uno in particolare mi ha colpito per la sua generosità visiva: “Nei solchi arati dalla fantasia il seme delle parole cadeva raro, scelto con cautela come fior da fiore. Il vento se lo portava qua e là: uno cadeva tra i sassi e inaridiva, un altro volava via lontano e il più prezioso germogliava adagio…”. Una struttura architettonica che sorregge con perspicua valenza esplorativa le diverse sequenze creative di Edda Conte; s’intersecano tra loro la narrativa, la descrittiva, l’introspettiva tra figurazioni e cromie che mai sono oziose, ma sempre funzionali a una trama, ad una diegesi che sembra assumere configurazione poematica. D’altronde appare chiaro, nel dipanarsi della vicenda, l’abilità nel dribblare il sentimentalismo ed esperire controllatissima effusività; quella che Contini definiva “pulizia del desiderio”, dove l’attualità (l’11 settembre…), e i tanti accidents che assemblano una vita, tante vite, si affacciano alla scena in maniera ora dolce, ora  dolorosa, ora curiosa, ora sorprendente: l’amore, il memoriale (La terza stanza), la riflessione, l’idea di famiglia, di amicizia, e certe aperture di orizzonti marini che tanto sanno di libertà agognata e forse mai del tutto raggiunta: “Ma come tutto questo era lontano! Non rimaneva che chiedere l’aiuto dei venti. Sul mare intanto era calata una bonaccia piena di sospetto e la barca stava tristemente immobile sull’acqua…” Un antropomorfismo di cose che con tutta la sua forza evocativa dà vigore all’epigrammatica intrusione dell’animo della Conte. Sì, perché non è difficile captare dai vari stati emotivi (solitudine, silenzi (l’Isola del Silenzio), paure, spirito d’avventura, voglia di ritorno...) quelli di un Autrice che fa dei suoi sprazzi interiori una chiara e ontologica raffigurazione. È così che la realtà vitale della scrittrice, per tempo decantata in un animo zeppo di nostalgie, si fa immagine; mélange di fatti, figure, rapporti umani, reazioni, amori, illusioni e delusioni. E il tutto in un lirismo che richiama momenti di alta poesia. Lo posso ben dire io che ho avuto la fortuna di leggere sue sillogi poetiche, dove l’amore, il memoriale, la natura, e la vita,  trionfano alla grande pur con un senso di saudade in sottofondo. D’altronde il tema del ritorno, del nostos, è diffuso nelle letterature di ogni tempo. E non solo ritorno al paese, alla casa, alla donna, all’uomo, alla famiglia; ma ritorno in quanto tale, una specie di inquietudine che l’uomo prova e che pensa di appagare col viaggio ma che poi vede, forse, appagato con la scoperta delle sue radici: <<Per abitudine Annie si avvicina al PC, apre la posta elettronica. Ah, sorpresa! C’è una E-mail da parte di Gianni: “… Sto per tornare a casa. Porto con me un grosso bagaglio di notizie da darti. Ma voglio dartele di persona. E voglio vederti. Perché non tornare ancora nella casa di fronte alle serre? Ci potremmo incontrare là dove tu sai…”>>. Annie, la scomparsa della madre di Maria, i due animali Red, Lea (ormai alla fine), Gianni, lo scambio della casa, e la natura disposta e disponibile ad accompagnare sempre gli stati d’animo dei personaggi: “Alla metà di aprile cominciò a piovere. Intere giornate di pioggia rendevano le ore uggiose e interminabili…”, QueiDue, la Terza stanza: “La terza stanza era un mondo a sé che sempre di più l’attraeva, come se da lì si sprigionasse un fluido magnetico. Tra quelle pareti tappezzate di libri e di fotografie Annie trovava la motivazione del suo tempo, quasi lo scopo del suo vivere in quella casa. Dopo il primo incontro con QueiDue, come ormai chiamava i due nel portaritratti d’argento, il desiderio di conoscerli era diventato un bisogno…”. L’immaginazione. Le poesie. E l’indugiare di Annie nella terza stanza fino all’ultimo raggio di sole. Sembrava che QueiDue avessero un’unica vita. Ricostruzione quasi pirandelliana, fatta di memorie, di tasselli che messi insieme uno dopo l’altro formano una struggente piramide di vicissitudini.
E il tutto che corre su una impalcatura veloce e fluente, fatta di costruzioni paratattiche, apodittiche, brevi, ora dialogiche, ora narrative, ora parenetiche o visionarie: in una forma mai pleonastica ma sempre lontana da ogni epigonismo. Per cui il contenuto ti attrae e ti tiene sospeso; ti invoglia a sfogliare pagina dopo pagina fino a farti suo, attore, te stesso, della storia o meglio delle storie. Ma il compito del critico è quello di introdurre e non di svelare, quindi a voi la lettura, dacché “saper leggere” vale di più che “saper giudicare”.


Nazario Pardini                  

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