Poesia
forte, dolce, inconsueta, personale dove il verso, con scarti semantici e
allusioni iconografiche, concretizza gli abbrivi emotivi senza appesantire, ma
con tocchi leggeri, sfiorando, come piuma, il diluirsi dei ritmi. E lo fa, il
verso, ampliandosi o rattenendosi, ma pur sempre intonandosi ad una euritmica
ed eufonica spartitura, evitando armamentari retorici, epigonismi. Qui c’è la
vita con tutti i suoi misteri; con tutti i suoi sperdimenti; e non è che l’Autrice
si abbandoni ad un surrealismo avulso; ad un volo senza toccare terra; ma è da
questa che parte, dai suoi minimi particolari che, dopo lunga decantazione, si
fanno immagini di forte impatto
simbolico; la realtà, la nostalgia, il tempo che fugge, la precarietà del
vivere, l’amore sono resi con soluzioni linguistiche nuove e originali da mano
delicata mai apodittica, da lasciare, così, spazio al lettore: “Avevo libri di
scuola quando ti conobbi./ Ci si può amare per la vita con un libro”.
La stessa natura si fa interprete principale nei
giochi esistenziali, contribuendo, non poco, a focalizzare stati d’animo di urgente
resa poetica: “ La rosa più tenue era stata aperta dall’ultima pioggia/ quando
ancora nella mattina aveva mostrato la fila delle cinque lingue:/ cinque per
ogni fila; ora nutriva con la sua linfa le piccole gemme/ nate intorno a lei,
boccioli pazienti davanti ad un altare”. Finché una luce di ontologica
espansione illumina una sera in cui la Di Leo vorrebbe “… imparare/ a dipingere le
rose/ le mistiche velature/ nel morbido seno/ tra il nero in cornice/ nella
mano enorme del cielo/ sopra a tutto”.
Nazario Pardini
*
Oltre la mezzanotte tutto
sembra un gioco
tra moltitudini assenti giunge l’eco dei fuochi
il calabrone dai lunghi
sospiri abbandona la scena
escono le facce di pietra dai
timidi sorrisi
il grillo si riserva un finale
da manuale.
Non sempre la voce denota il
corpo
nel fondo piano - silenzioso a
parte -
camminarle a fianco: oltre e
nell’altro, lei è il buio.
*
Mi accasciai restando ferma
ma pensavo che nulla resta
immobile.
Avevo dipinto la notte e la
notte seguente
senza interruzione, se non di
quelle che destano il sonno
e ne fanno archi da inviare al
cielo.
Sul sentiero di pietra i primi
volti cominciarono ad apparire
nitidamente uno ad uno. Avevo
fissato quelle pietre
lungamente, per giorni e
giorni
ma mai nessun cenno vi era emerso:
vi è come un riserbo anche
nelle pietre
oggetti inanimati per
eccellenza
(secondo l’ipotesi di molti).
Eppure, proprio nell’ora in
cui cominciai ad intravedere i profili
- la linea degli occhi, la piega del naso e
della bocca -
allora capii che si stava
avvicinando il tempo della nostalgia:
che loro avevano capito, e
come me atteso tutto quel tempo.
Compresi così che mai più
avremmo avuto fraintendimenti
che tra di noi il dialogo, la
dolce parola, avrebbe ripreso a fluire
come miele nel liscio incavo
del favo.
Alcune facce erano pensose,
altre dormienti nel solco dell’occhio chiuso
ancora, altre mostravano un
senso di abbandono misto all’appagamento
dopo l’amore, ma c’era chi si
amava nel risveglio con bocche semiaperte
si baciavano. E fu dolce
scoprire tutto questo.
La rosa più tenue era stata
aperta dall’ultima pioggia
quando ancora nella mattina
aveva mostrato la fila delle cinque lingue:
cinque per ogni fila; ora
nutriva con la sua linfa le piccole gemme
nate intorno a lei, boccioli
pazienti davanti ad un altare.
L’ultima faccia di pietra è un
profilo sul pavimento: pensoso
l’occhio fisso in sé, in
lontananza attesa.
La luna intanto, dopo aver
passato in rassegna gli ulivi
sostava tra i rami della
felce.
Luna piena. Concerta di dare
voce
all’universo cane.
*
[Ruota la terra dei girasoli] per Stefano
Ruota la terra dei girasoli
a distesa su di un altro
ricordo:
la ginestra dai fiori gialli
sul fianco della montagna.
Avevo libri di scuola quando
ti conobbi.
Ci si può amare per la vita
con un libro.
(09 marzo 2012)
da Con l’inchiostro rosso, Sentieri Meridiani Edizioni,
Foggia, 2012.
*
[Di una sera vorrei]
Di una sera vorrei imparare
a dipingere le rose
le mistiche velature
nel morbido seno
tra il nero in cornice
nella mano enorme del cielo
sopra a tutto.
da Slowfeet, Gelsorosso, Bari,
2010.
*
Giuseppina
Di Leo - Ha pubblicato tre libri di
poesie: Dialogo a più voci
(LibroitalianoWorld, 2009); Slowfeet.
Percorsi dell’anima (Gelsorosso, 2010); Con
l’inchiostro rosso (Sentieri Meridiani Edizioni, 2012); la plaquette: Il muro invisibile (LucaniArt, 2012).
Alcune sue poesie, racconti e interventi di critica letteraria sono ospitati in
raccolte antologiche, riviste, blog e siti dedicati alla poesia.
Un grazie speciale a Nazario Pardini per ciò che per me si esprime in una profonda emozione, le sue parole.
RispondiEliminaAvevo scritto un commento ed è sparito. Pazienza. Provo a ricominciare daccapo. Avevo scritto che il discorso poetico di Giuseppina Di Leo si nutre di tutto ciò che è impoetico, è un discorso sostanzialmente indiretto che però contiene al suo interno sia il discorso diretto che il discorso implicito. Il risultato è un discorso a polittico che emana molteplici rifrangenze. Un discorso poetico fatto di sospensioni e di riprese, di sentieri interrotti ed i sentieri obliqui. Il fatto è che oggi ad un poeta non può essere più richiesta una semplicità alla Sandro Penna. Oggi il poeta è costretto a misurarsi con la molteplicità dei linguaggi che sono presenti nel villaggio globale, non può più dire che ha utilizzato solo un millesimo di quei linguaggi e che tanto gli basta. La difficoltà oggi di fare una poesia significativa è tutta qui, nel misurarsi con la complessità, nell'accettarne il rischio.
RispondiElimina"Qui c'è la vita con tutti i suoi misteri; con tutti i suoi sperdimenti". Così Nazario Pardini, aggiungendo che il tutto è reso "con soluzioni linguistiche nuove", mai apodittiche, così da lasciare spazio al lettore. E' un verso, quello di Giuseppina Di Leo, radicato nel mistero e il mistero ha voci al tempo stesso semplici e complesse. La natura ricopre un ruolo centrale. Essa è rivelatrice di verità interiori profondissime, ma i suoi sussurri pretendono silenzio: "Vi è come un riserbo anche nelle pietre / oggetti inanimati per eccellenza / (secondo l'ipotesi di molti)". C'è bisogno di intensi silenzi, perché quando le cose iniziano a perdere identità, è allora che, paradossalmente, cominciano a parlare.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Uno stile fuori dagli schemi - questo di Giuseppina di Leo - eppure non antiretorico. Concordo decisamente con Nazario quando afferma che il verso si amplia e si trattiene "ma pur sempre intonandosi ad una euritmica ed eufonica spartitura".
RispondiEliminaGià, perché questa scrittura si lascia piacevolmente ascoltare soprattutto negli esiti più contenuti, nelle poche pennellate del giallo dei girasoli o delle velature delle rose di sera.
Sandro Angelucci
È strana e affascinante la poesia di Giuseppina Di Leo, a cominciare dalla rivoluzionaria semplicità del linguaggio. Tu leggi e credi per un momento che il fatto poetico sia tutto lì, concluso, inscritto magari nella immediata percezione come nella perfezione del cerchio. E non è così. Questa poesia ha una forte carica suggestiva e allusiva che origina, come ho scritto altrove, da una sensibilità fine e quasi pudica che spesso accenna e si esprime in sussurri. E ciò richiede al lettore qualche impegno in più del minimo sindacale, in particolare per via di un discorso poetico mai uniforme e banale, ma invece mirabilmente articolato che si apre a insoliti scenari, a nuove (e appaganti) interpretazioni.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Vi ringrazio infinitamente per le notazioni di merito a queste mie poesie, ne sono lusingata, soprattutto per il modo in cui, ognuno di voi, ha colto aspetti importanti per me quali, appunto, il silenzio, la parola e l'ascolto. Grazie, dunque, a Giorgio Linguaglossa, a Franco Campegiani, a Sandro Angelucci, a Pasquale Balestriere. E, naturalmente, un grazie ancora (ma ce ne vorrebbero molti altri) a Nazario Pardini per la squisita ospitalità.
RispondiEliminaGDL