lunedì 31 agosto 2015

LIDIA GUERRIERI SU "IL MASTINO DI GULLAN" DI M. DONTE


Maurizio Donte collaboratore di Lèucade

Il mastino di Gullan 
di
Maurizio Donte 

Mi si permetta una breve osservazione sull'opera " Il mastino di Cullan" che ho avuto il privilegio di leggere

Mai avrei pensato di trovare, alla mia età e dopo una vita passata tra i libri, qualcosa di veramente nuovo , qualcosa che mi stupisse e mi affascinasse, che mi invogliasse ad affrontare sentieri sconosciuti.
Questo, finchè non mi sono imbattuta in Maurizio Donte e finchè, tramite lui, non ho incontrato il Mastino di Cullan.
Quando ho cominciato la lettura del Mastino, pur essendo nuova all'epica e alla mitologia nordica, non ero già più una completa estranea in quanto, su consiglio di Donte, avevo letto i suoi canti di Erin e mi ero timidamente e goffamente affacciata su questo mondo così diverso e così uguale a quello della mitologia a cui sono abituata. Diverso per i personaggi, per i nomi dal suono così nuovo, per i paesaggi di torba e di nebbia, uguale perchè le passioni che agitano l'animo umano sono le stesse sotto qualsiasi cielo.
Cosa mi è piaciuto in questo poema? Se mi si chiedesse risponderei :" Leggetelo e lo capirete da soli!" Come si fa a dire in due parole perchè c'è piaciuta l'Iliade e perchè l'Odissea? Non è possibile!
Il mondo del Mastino di Cullan è un mondo di magia, di fascino, di cieli sanguigni dove vola la Morrigan dalle ali di corvo ! Questo della Morrigan è un personaggio stupendo: vedere la dea della guerra, la furia scatenata che beve il sangue dei nemici, il corvo che banchetta con le loro carni, e immaginare dietro il suo volto spietato la tenerezza di una madre che l'uccisione del figlioletto ha portato ad un livello tale di disperazione da trasformarla nella quintessenza della vendetta e della crudeltà, è di un impatto emotivo che lascia il segno!
E' spietato, dunque, il mondo di questi eroi, ma rifulge al contempo della bellezza della fragilità umana.
Setànta che, in preda all'ira, si trasforma in un essere irrazionale e capace di ogni violenza, è anche il bambino che ha sofferto per la mancanza dell'affetto del padre putativo; essere figlio di un dio non l'ha messo emotivamente su un piano privilegiato, anzi...l'ha emarginato come figlio della colpa. In lui io amo soprattutto questo lato: la sua debolezza umana, quella tenerezza che gli farà amare con tutta l'anima la sua donna, quell'apparente scontrosità che lo terrà in disparte quando , dopo la battaglia, gli amici gozzoviglieranno nei fumi del bere e dell'amore...il suo desiderio, il suo pensiero, sono solo per lei, per l'unica. Io vedo il bambino che cresce solo, senza l'amore di una madre che è spesso perduta nei veli della sua follia, fragile, dolcissima , eterea figura femminile che Maurizio Donte ha cantato con una delicatezza insuperabile in una pagina che è fra quelle che preferisco, vedo l'uomo vittima di una donna gelosa che si vendica mettendogli contro il suo stesso figlio ( oh, Medea! Quante vesti sai indossare!) e lo vedo, tormentato nell'anima, cadere sotto il peso dei rimorsi. Lo vedo far di tutto per evitare lo scontro con l'amico fraterno e doverlo, invece, accettare perché questo vogliono le leggi della guerra e dell'onore, lo vedo colpire ed essere colpito e provo pena a vederlo curare, la sera, le ferite dell'amico ed essere da lui curato; mi chiedo quanto strazio debba aver provato! Lo accompagno con la mente all'incontro con la Banshee che lava nel fiume la sua tunica sporca di sangue...è il suo destino di morte....il tempo di una vita breve e luminosa è allo scadere...Setànta sa, e accetta col suo solito coraggio.
S'alza il rogo dopo la sua morte e le fiamme illuminano un mondo privo di uno dei suoi eroi più umani e più grandi.
La forma metrica del poema è varia e ricca, e questo è una rarità al giorno d'oggi in cui la poesia rischia di perdere la sua anima a vantaggio della prosa poetica e spesso procede all'insegna dell'improvvisato, per cui riconosco a questo giovane autore non solo l'impegno e la passione che l'ha portato ad affrontare un argomento complesso come la mitologia nordica e a dedicare energie e tempo al lavoro di cernita fra le varie versioni degli stessi miti, ma anche una funzione di custode della poesia in quanto cosa diversa dalla prosa (pur poetica che essa sia), della poesia in quanto regno di quel ritmo che deve governarla, così come governa le leggi dell'universo.

LIDIA GUERRIERI



4 commenti:

  1. grazie Professore e grazie a Lidia Guerrieri

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  2. -La battaglia finale-

    L'aurora risorse, quel giorno, più tardi
    e attoniti, del nemico, sul campo,
    errarono gli sguardi.
    Furente Setànta colpiva in guerra
    e tremaron fin le radici di Madre Terra.
    Cantarono a lungo, i canti dei Bardi,
    l'impresa e l'eroe, fino ai secoli tardi.
    “Giungeva il Mastino, coperto di sangue,
    sul carro di guerra, irto di spine,
    e lance scagliava e trafiggeva guerrieri,
    l'occhio feroce il nemico atterriva:
    nero di pelle, fumante di fuoco,
    fulminava i nemici.
    Con artigli potenti,
    spezzava le schiere.
    Passava il carro,
    come un nembo di fiamma,
    e solchi di sangue lasciava in terra:
    così il Cane di Cullan,
    scese alla guerra”!
    Sopra i campi di Erin
    si compiva la strage
    che nemmeno Setànta poteva fermare:
    in un piccolo luogo del suo grande io,
    ardeva potente, la Furia d'un dio,
    ma l'ira possente che l'aveva preso,
    non si poteva arrestare
    e a lei s'era arreso:
    cantava la morte, dentro il suo cuore.
    Snudate le zanne, con cieco furore
    in memoria dell'amico suo morto
    compì gesta di grande valore
    e al nemico diede quel giorno
    un tremendo dolore!
    I Thuàta dè Danann, videro l'orrore,
    ma solo la Morrigan,
    esultò nel suo cuore!
    Venne la dea e bere quel sangue,
    finché ebbra di morte, sul campo,
    circondata dai corvi,
    non cadde esangue
    in un sonno profondo
    e dell'oltremondo,
    con un tonfo sinistro,
    si richiusero le porte.

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  3. Mi sento stimolato dal perspicace commento di Lidia Guerrieri ad intervenire sull'opera, di Maurizio Donte, "Il Mastino di Cullan", della quale ho avuto il piacere di stilare la prefazione.
    Mi trovo in piena consonanza con quanto la stessa Guerrieri asserisce, in particolare laddove si sofferma a constatare la diversità-somiglianza del mito nordico con quello ellenico (a noi certamente più familiare): cambiano i paesaggi "di torba e di nebbia"; l'efferatezza è portata a livelli primitivi, primordiali ma "le passioni che agitano l'animo umano sono le stesse sotto qualsiasi cielo" e ciò che alla fine rifulge - appunto - è la fragilità dell'uomo.
    Rinnovo, quindi, il mio plauso a Maurizio Donte per un'opera che meritoriamente sta riscuotendo il giusto successo ed alla redattrice del commento per l'acutezza dell'interpretazione.

    Sandro Angelucci

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    1. Ringrazio il Professor Angelucci per aver preso in considerazione le mie semplici osservazioni:-)

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