domenica 9 agosto 2015

N. PARDINI: "FACCIATE"

Facciate

Le mura sono scabre e le facciate
arse nel mio paese. Sarà il sole
rutilo e grosso quando si sfarina
che le rende grinzose. Dico che
proprio a sera lo vedi. è quando l’aria
arriva obliqua e rossa sulle case
e di lato le coglie che traspaiono     
ombre e penombre raso le pareti
esposte ad occidente. Certo meno
si vede  all’astro  verticale se
con tutto il lucore meridiano
le ferisce. Soltanto sfavillare           
noti l’intorno allora, o scricchiolare
seccumi e rovi. Eguale a stiracchiarsi
le braccia dopo l’umido buiore
dell’ultima nottata. Ma io credo
che sia al calore adusto dell’estate
che le mura s’infocano, si sfocano,
si sbiancano e scolorano. Brunastre
e screpolate nella pelle, forse
attendono le piogge e gli equinozi
lunghi ed opachi, stanche di una luce           
che le tormenta ormai da troppo tempo.            
è troppo tempo, sì!, che sono in vita.           da così
Resta soltanto loro ricordare                 
e serve solo a crescere le falle
che ormai si sono aperte. Stanno là,
guardano il sole (quando nell’inverno
umile è scarno) quasi come a dirgli:
- Abbiamo visto guerre, sopportato
schegge e cannoni. Ma ora basta un raggio,
basta soltanto il pallido ricordo
di un’estate passata od il pensiero
di un’altra che verrà per farci male.
Si rischia di crollare. E quando a sera
ti corichi nel mare non esplodere
tutto quel robbio. Inganni quando dici
che il rutilo calante è un buon levante. -





12 commenti:

  1. Poesia di grande coinvolgimento emotivo, fascino, eleganza espressiva e di sottile inquietante malinconia. Umanissima e vibrante nella volontà di dire pur immersi nella grande stanchezza delle natura e delle cose, che non trovano difesa: grinzose e sfarinate, dolenti.
    L’estate crudele, senza misericordia (rovi e seccume, mura arse, infocate e sfocate nel robbio, nel rutilo calante)si abbatte con sovrana indifferenza ferocia su cose e persone, calcinandole sotto il sole implacabile, verticale.
    La casa, specchio della nostra vita, invecchia improvvisamente: la facciata arsa, scabra, grinzosa pare sfarinarsi. Non basta la sera ombrosa, il buiore umido dell’ultima nottata: le ombre e penombre oblique non nascondono le loro ferite brunastre.
    Le mura infuocate sbiancano e scolorano,
    come gli esseri umani stanchi, scuri, anch’essi screpolati nell’anima, la cui notte non ha portato né riposo né refrigerio.
    La luce può essere anche tormento. La natura invoca la pioggia. Anche l’uomo assetato di una sete che non trova più ristoro, neppure nel passato, nel ricordo, non riesce a chiudere le falle aperte della sua lunga vita che tanto ha visto e sopportato.
    basta un raggio,
    basta soltanto il pallido ricordo
    di un’estate passata od il pensiero
    di un’altra che verrà per farci male.
    Il colloquio con la natura indifferente è diventato monologo senza illusioni e senza risposte, desolato nella sua accusa:
    Inganni quando dici
    che il rutilo calante è un buon levante. –
    La forza della poesia, la modulazione costruttiva e linguistica, la raffinatezza della ricerca cromatica, ed acustica (scricchiolio, crollo, rutilo, robbio, screpolato, rischio…)- metafora e sinestesia-, che è anche prova di grande forza affettiva, e l’articolazione monologante comunicano una empatica, sobria volontà di elegia, un canto d’amore e di morte, specchio senza consolazione della vita.
    Facciate: titolo emblematico che dalla esteriorità, dall’apparenza, ci riconduce all’intimo, implacabilmente sincero.

    RispondiElimina
  2. Grazie, carissima Maria Grazia, per il tuo commento che, nella sua profonda immersione, fotografa il significante della poesia con generosa e personalissima analisi. Una esegesi raffinatissima e precisa; autoptica e umanamente universale. Sì, il cuore del mio canto è tutto nelle tue parole che, con la loro magistralità, lo esaltano, lo chiariscono, e, filologicamente, lo impreziosiscono.

    Nazario

    RispondiElimina
  3. In questi versi straordinari, Nazario Pardini pone a confronto la precarietà dell'umana esistenza con la forza prorompente e inesausta della natura. Nel caso specifico è l'estate - l'implacabile estate che quest'anno viviamo - a impensierire il poeta sulle reali capacità dell'uomo di poter resistere ancora agli affronti di "schegge e cannoni". Il guerriero è stanco e le sue antiche mura non resistono neppure all'idea di dover sopportare fatiche nuove e rinnovati dolori. Condivido la sottile annotazione della Ferraris: "Facciate: titolo emblematico che dalla esteriorità, dall'apparenza, ci riconduce all'intimo, implacabilmente sincero". Immagini assolutamente pittoriche dipingono la stagione del sole invitto nel suo massimo ed accecante lucore. C'è lo sfinimento dell'uomo per l'inesorabile calura, il suo timore di non essere all'altezza delle imminenti sfide della vita, nonostante la rosseggiante calata del sole lasci sperare, al risveglio, una buona giornata.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Franco, per la tua puntuale ed azzeccata nota su Facciate; per il tuo commento che, come sempre, va a fondo riuscendo a estrapolare dalle parole significati e significanti mettendo in luce le tue grandi intuizioni diegetiche.

      nazario

      Elimina
  4. Quando si legge una poesia di Pardini si ha sempre la sensazione che sia stata scritta di recente, che sia nata non molto tempo fa. Anche il lettore che conosce Nazario come poeta può essere indotto in quello che poi si rivelerà un errore. Cosa che stava per capitare a me, per la fresca, attualissima vividezza e perennità dei versi del nostro Amico. Sennonché mi sembrava che alcune particolari unità sintagmatiche ("Il sole rutilo e grosso", "Dico che...", "l'aria... obliqua e rossa", “traspaiono ombre e penombre raso le pareti”,” ma io credo che sia al calore adusto dell’estate”, “gli equinozi lunghi e opachi”, “guardano il sole (quando nell’inverno umile è scarno)”, “non esplodere tutto quel robbio”, “il rutilo calante è un buon levante”) non mi fossero nuove, e anzi che mi avessero già colpito per scarti semantici, potenza iconica, impostazione sintattica o per soluzioni linguistiche. Così, messo sull'avviso e consultate le sillogi poetiche pardiniane in mio possesso, ho scoperto che "Facciate", splendida lirica di sottile mestizia, ha raggiunto quasi la maggiore età, essendo contenuta in "Alla volta di Leucade" (p. 32) che è del 1999.
    Tutto questo per dire quanto sia -sempre- ricca, viva e fascinosa la poesia di Nazario Pardini. Come deve essere la vera poesia.
    Per il resto, condivido gli interventi dei commentatori che mi hanno preceduto.
    Pasquale Balestriere

    RispondiElimina
  5. Carissimo Pasquale,
    magistrale, vero e veritiero, il tuo commento. La poesia è tratta da Alla volta di Lèucade: il mio racconto di vita e di sogno, di realtà e di fuga, di ricerca e di memoria è a te ben noto, come, acutamente, hai osservato. E di questo ti sono immensamente grato, dacché segno di un legame di amicizia non certo superficiale.

    Nazario

    RispondiElimina
  6. Un testo poetico meraviglioso che ci fa rivivere l’atmosfera di questo momento di calura, ahimè eccessivo e del disagio che ne deriva.
    Dall’osservazione dei solchi che segnano le facciate delle vecchie case arse e ferite dal sole, il poeta riesce a penetrare nella loro psiche. Immagina che pure loro attendano stagioni meno calde, per beneficiare di un po’ di refrigerio.
    Anche se i segni del tempo, dovuti alle intemperie ed agli accadimenti, evidenti sulla facciata “esterno visibile” specchio di un “interno invisibile” non potranno più essere cancellati.
    E diverranno sempre più profondi.
    Nell’intera poesia si avverte una lieve malinconia per la presa di coscienza da parte dell’uomo, sulle irreversibili cause che determina il tempo su persone e cose, nell’incessante scivolare del suo percorso.
    Quando gli elementi naturali si spingono oltre l’equilibrio, l’uomo e ciò che lo circonda entrano in uno stato di sofferenza e di disagio. Questo è strettamente proporzionale alla lunghezza del tratto di strada percorso. Ed alle battaglie combattute dal guerriero.
    Giunge poi, un momento, di grande vulnerabilità in cui l’anima ed il corpo anelerebbero alla tranquillità.
    La chiusa della poesia, è un’aperta accusa al sole per l’inganno della promessa mancata, in cui si fondono anche un pizzico di dolore e delusione per la sopraggiunta fragilità umana.
    “E quando a sera ti corichi nel mare non esplodere
    tutto quel robbio.
    Inganni quando dici che il rutilo calante è un buon levante.”
    Serenella Menichetti

    RispondiElimina
  7. Grazie, carissima Serenella, sempre presente e generosa nei confronti dei miei testi. Un commento, il tuo, che mi convince e mi emoziona; che mi rende chiaro il senso della poesia attraverso una expication du texte puntuale, e profonda, utilizzando la natura delle cose per rendere universale l'inquietudine congenita dell'animo umano.

    Nazario

    RispondiElimina
  8. Come allora, il bambino di dieci anni con la maglietta a righe orizzontali e i pantaloncini corti, il bambino che gioca con il fieno e con i ciuffi d'erba, trova un lombrico e lo addomestica al sole... con quel bambino ho giocato anch'io, l'ho amato. Sono stato io ad uccidere il lombrico credendo di farlo mio amico, e al sole d'estate l'ho lasciato morire. Ma lui, il lombrico, non si è ribellato, ha accettato il suo destino, e ora giace lì, su quel piano di cemento, vicino a quella pozza d'acqua, inerme, sfinito e finito. Ogni volta che leggo i versi di Nazario rivedo quel mio gioco innocente, e so che ci ritroviamo in quell'innocenza infantile che non ci abbandona, che ci perseguita anche nel nostro essere uomini, adulti, grandi... non siamo disillusi perché quel bambino non è stato tradito dalla crescita, è in noi e contempla con la sua semplice felicità l'aspetto più truce della vita. Non può credere, almeno non poteva, che la vita diventasse un groviglio di storie da raccontare, storie che quando si raccontano sono meravigliose e quando si vivono sono un vortice inevitabile che trascina e deglutisce. Solo il bambino ci salva, se è in noi, se non lo abbandoniamo. Ed è così che a noi, che "Abbiamo visto guerre, sopportato / schegge e cannoni", basta "un raggio, basta soltanto il pallido ricordo" per tornare ad esplorare quella semplice felicità. E anche se "si rischia di esplodere", anche se è ingannevole questo "rutilo calante", si esce rigenerati dalla lettura, ritrovando quel magico crescere che non ci ha mai lasciati, e nonostante tutto, si è felici.
    Grazie Nazario per questi bellissimi versi.
    Claudio Fiorentini

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Carissimo Claudio, sono io che ti devo ringraziare; sei sempre originale, personale, perspicace, e commovente coi tuoi guizzi creativi di grande effetto umano e poetico.
      Nazario

      Elimina
  9. Una lirica che tocca il cuore, vi si posa e consente all'immaginazione di prendere il volo. Versi ispirati ancora alle isole dei ricordi, allo scorrere inesorabile del tempo, al confronto tra i giorni d'un tempo e 'alle falle che si sono aperte'... V'é in questi versi la potenza dei tragici greci, dei poeti latini, Catullo, Virgilio, Ovidio, e anche di Shakespeare, di Neruda. E le loro versioni devono collocarsi nell'area creativa del Professor Nazario, che riesce a conferire a ogni suo testo una nuova "scrittura", che risente del gusto del tempo. Ma il canto,applicato a sentimenti e a situazioni poetiche tese come archi ai territori della memoria, pur nell'amarezza, nella paura, raggiunge la massima purezza, caratterizzato da un ampio respiro espressivo, da una resa musicale sciolta, dal recupero di forme metriche tradizionali. Il colore de "Le mura scabre e le facciate arse nel suo paese". fermentate di memorie, trovano accenti e forme struggenti.. Di fronte al dolore e alla disgregazione senza scampo che il poeta ha scoperto nella vita, l'infanzia, mitizzata, diviene un ulteriore pericolo. Un'illusione che può far male... Poesia sociale, quella del Nostro Poeta, che riflette la storia contemporanea. E narra la vita di un uomo, che ha vissuto tanto, ha visto l'irrompere tragico della guerra... A coloro che ancora credono che la poesia sia solo un gioco letterario e considerano il poeta un estraneo alla vita, Nazario Pardini risponde con versi sanguigni e lievi al tempo stesso, che invitano a riflettere sulla caducità dei giorni... E, tra le righe, esortano a non perdere il lampo del meraviglioso...
    Sono commossa! Maria Rizzi

    RispondiElimina
  10. Grazie, carissima Maria, per il tuo analitico scavo di profonda e colta generosità creativa.
    Nazario

    RispondiElimina