giovedì 20 agosto 2015

CLAUDIO VICARIO: "INEDITI"

Claudio Vicario collaboratore di Lèucade

Solitudine


Non so dire più niente:
sono un’anima morta,
vagante nell’incerto,
incomprensibile mistero
fatto di sospiri,
non più aulente
di vaghi pensieri.
Non odo alcuna voce,
né l’alito del vento
riesce a sopire il palpito
d’un pensiero fugace.
Tutto ho perduto
di ciò che amavo tanto;
tutto e per sempre:
care persone e cose care,
e la mia amata terra.
Son solo e di me soffro
e nulla dico.
E in questo triste pensar
che mi tormenta,
anche tu, mia poesia,
che pur tanto cara
una cosa per me,
mi lasci solo.



La mia pena


Solo io conosco la mia pena,

quella che porto dentro

e nei miei occhi
un dì gioiosi, oggi sovente tristi.
Io la so la mia pena:
ero un albero grande,
un albero sereno,
di frutti generoso,
in quella valle,
che i monti Irpini
cingono d’amore,
valle ubertosa e lieta,
ove possente
saldo e serrato nelle mie radici,
nodose e forti,
abbarbicate e strette
a quella terra
di che sapido è l’idioma mio,
già nell’età cui il trapianto nuoce,
la bufera stroncò e portò lontano.
Ora dolenti
per il sangue sparso,
piangono indarno
quelle mie radici
il tronco a lor reciso,
mentre in altra terra,
tra genti fredde,
anonime ed ostili,
solo io vago
e inutilmente
tra tanti volti
cerco un volto amico.
E talora ho un sussulto:
parmi veder,
tra tanta folla ignota,
un volto conosciuto;
ma, quando s’avvicina,
m’illude…..
ed io sospiro!
E talora mi fermo sui portoni
e accanto ai campanelli
cerco i nomi,
trepido di trovar tra tanti ignoti
un nome noto,
qualcun che la mia valle stessa pianga
ed ora qui risieda stabilmente,
qualcuno cui legarmi con l’affetto
che lega quelli d’una stessa terra.



Irpinia mia, quanto mi manchi!



Ahi la mia terra!
Cara terra mia,
terra del mio dolore e mio rimpianto,
terra che porto sempre nel mio cuore
e che di sé mi empie ogni pensiero!
Terra pietrosa d’oliveti adorna,
foscheggiata di macchie
e boschi e siepi,
soleggiata sui campi,
ove le viti,
rosse in autunno come un sacro fuoco,
regalavano grappoli dorati
per quei vini corposi
di che l’Irpinia ha fama!
Terra di mormoranti chioccolii
d’acque d’argento
sinuose e lente
tra rose ed erbe,
terra d’uccelli e ricci e talpe e ghiri
e scoiattoli e corvi,
terra a volte spaccata
in larghe e lunghe crepe
dal furor della pioggia,
terra alta e severa e ricca e bella,
terra che sembri salutare il cielo
con le cime eloquenti dei tuoi pioppi,
biancheggiante alla luna
e gialla al sole, doviziosa mia terra,
terra odorante di selvagge brume,
che le bionde figliuole dei coloni
dai volti accesi e gli occhi tutta luce,
calcavano scalze,
mentre d’amor cantando,
con la zappa a spalle,
felici andavan sul pietrisco vitreo,
a rivoltar le scure zolle erbose;
terra che ne la mente io sempre vedo
e nel cuore ricerco,
terra ch’ormai non altro che un ricordo,
terra ormai non più mia,
quanto mi manchi
e mancherai per sempre
ché troppo grande e troppo bella sei!
E le tue donne ancora
io vorrei riveder recare in capo
l’antica brocca
di lucente rame,
e scender saltellanti giù alla fonte,
che, uscendo di tra l’erbe,
or ride or piange,
mentre un bel canto lor fiorisce in bocca
e le gote s’arrossan sotto il sole!


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