Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade |
OUTSIDER
Il testo di Diego Mariottini Outsider -
Iacobelli Edizioni -, è un’interessante disamina del mondo calcistico,
inquadrato da un angolo di visuale diverso e originale.
Il termine ‘outsider’ dal mio punto di vista,
femminile e sociologico, sta a indicare una persona che in campo politico o
sociale, si pone o viene posta al di fuori di un determinato estabilshment. Per
metonimia, il termine è entrato in altre aree della vita comune e, nel caso del
libro, dello sport, per indicare squadre, che trovano occasioni di riscatto,
conseguendo risultati importanti, pur non essendo accreditate come favorite.
Mariottini non intende con il suo lavoro
mettere il luce i perdenti, ma evitare i luoghi
comuni che contraddistinguono il mondo
calcistico.
Si sofferma su periodi storici antecedenti a
quelli che viviamo e che vedono in questo sport il più grande spettacolo del
mondo e nei giocatori gli uomini pagati in modo inquietante e trattati come
autentiche star. Evita anche di sottolineare gli aspetti violenti che connotano
quella che viene definita ‘fede calcistica’. L’Autore, peraltro, ha messo in
rilievo queste caratteristiche in testi precedenti.
Outsider vuole essere un excursus del percorso
affrontato da otto squadre considerate
‘minori’, che in particolari circostanze
storiche, politiche, sociali e grazie alla guida di allenatori dall’intuito,
dalla competenza e dall’autorevolezza necessari, sono riuscite a prendersi le
loro ‘rivincite’. Le squadre che Mariottini prende in considerazioni sono
italiane e straniere. Inizia dal Nottingham Forest del 1978 – ’79, definito
“Rosso Garibaldi” proprio in onore delle camicie rosse dell’eroe dei due Mondi
e descrive, in modo avvincente e ricco di colore e di anima, la loro corsa alla
conquista dell’Europa. Il Nottingham, infatti, riesce in quell’annata
indimenticabile, a vincere la
Coppa dei Campioni senza perdere neanche una partita. E ne
vince una seconda l’anno successivo. Il merito delle imprese viene in gran
parte attribuito all’allenatore, o forse sarebbe più esatto dire alla coppia di
allenatori, Brian Cloug e Peter Taylor. Nel leggere il libro è inevitabile
soffermarsi sull’importanza dei commissari tecnici, o mister, che dir si
voglia. Si ha la netta sensazione che il riscatto al quale allude l’Autore sia
potuto avvenire anche e soprattutto in virtù del ruolo svolto dall’allenatore,
che in particolare negli anni passati si occupava principalmente degli aspetti
tecnici e strategici delle perfomances agonistiche degli atleti, ma svolgeva anche un ruolo di leader, di potere e
affettivo, in seno alla squadra che dirigeva, che lo poneva in una relazione
interpersonale di tipo complementare, nella cosiddetta posizione one – ap. Ciò
sta a significare che egli si ritrovava a essere un punto di riferimento e un
modello di identificazione per i suoi ragazzi, sia sul piano agonistico che su
quello umano. Dal punto di vista psicoanalitico l’allenatore diventava un
sostituto edipico molto importante, infatti il giovane che si accingeva a fare
sport portava con sé, nei rapporti con i compagni e nei riguardi di una figura
rivestita di una certa autorità, le sue dinamiche familiari non risolte. Io mi
sto esprimendo al passato, non solo per essere in linea con i periodi storici
analizzati nel libro, ma anche perché non so fino a che punto quest’analisi
possa essere applicata al presente, al crollo generale di valori e
all’importanza diversa che viene attribuita ai ruoli genitoriale e, di
conseguenza, a tutte le figure di riferimento educative.
Ciò non toglie che si continua a dire che ‘sono
gli allenatori a far girare bene le squadre’. Non bastano i bravi giocatori.
E, a dispetto di quanto si potrebbe credere,
ovvero che la figura ideale di commissario tecnico sia quella del soggetto
assertivo ed estroverso, che resiste agli insuccessi e alle frustrazioni,
Mariottini descrive una serie di mister, rimasti famosi, che hanno come
caratteristiche comuni l’autorevolezza, i caratteri spinosi, inflessibili.
Bloug disse di sé: “Non direi che ero il miglior manager del giro, ma di certo
ero al vertice”.
Roberto Mancini, ottimo prefatore, conferma
come talento calcistico, come uomo e come allenatore, il mio punto di vista. Di
lui l’Autore scrive: ‘è l’uomo che ovunque si trovi a giocare sconfigge la
rassegnazione, è il condottiero che estirpa la cellula maligna dal fatalismo
dei compagni” E Mancini è stato leader autorevole e carismatico come giocatore
nella Lazio e, immediatamente dopo, come commissario tecnico, prima della
Fiorentina e poi della squadra nella quale aveva militato per tanti anni. Nel
tempo ha confermato le sue doti ed è uno dei pochi allenatori dotato
dell’autostima necessaria per relazionarsi in modo corretto con la nuova
generazione di giocatori.
Mariottini nelle sue otto vicende di rivincita,
ci fa dono anche di autentichi affreschi letterari. E’ il caso della storia
della Atalanta. Egli inizia il capitolo
narrando le origini del nome della squadra.
Deriva dal greco atalànte, che significa ‘in equilibrio’. E’ una divinità greca
cacciatrice infaticabile, come Artemide. Le sue qualità sembrano difficilmente
assimilabili a una squadra di calcio, ma in realtà rendono molto bene ‘l’idea
di chi deve lottare tutti gli anni per salvarsi dalla retrocessione, perché non
possiede la forza economica delle compagini provenienti dalle metropoli’ –
tratto dal testo.
L’Autore descrive, con autentico nerbo
narrativo, le vicende vissute nel 1987 dell’Atalanta, retrocessa in serie B,
nonostante la rosa di ottimi giocatori, tra i quali Glenn Peter Stromberg e
Cesare Prandelli, futuro Commissario Tecnico della Nazionale, ma degna di
rappresentare l’Italia nella Coppa delle Coppe. Anche in questo caso troviamo
un leader tenace, ribelle e senza paura come Emiliano Mondonico, famoso per
essersi fatto squalificare nel 1964 per andare a vedere un concerto dei Rolling
Stones e per le lotte affrontate nella vita, che sa portare l’Atalanta in
semifinale nel 1987 –’88 e l’anno successivo sa ricondurla in serie A.
Nel libro i vari allenatori sono descritti, con
rara perizia, come autentici traghettatori, che accettano di condurre le
squadre verso mete apparentemente impossibili. Sono gli uomini che accettano,
forse cercano le sfide, e non hanno ancora l’anima dei mercenari. Ecco, dal
testo di Mariottini emerge un’ancestrale, incandescente purezza nella caratterizzazione
di personaggi e di squadre, che si sono resi protagonisti di riscatti. Nel
testo si parla di imprese compiute dalle cosiddette squadre minori, ma continuo
a sottolineare che alla testa di queste compagini ci sono stati uomini. Cito
‘il mago’ Helenio Herrera e la sua Roma delle ‘beffe’. Il capitolo “Roma – 1969
– ’70 – Il finale di Coppa – anzi no”, non narra soltanto le vicende di una
squadra che pur avendo vinto tanto non può vantare titoli europei, oltre la Coppa delle Fiere, trofeo
che l’Uefa non riconosce. Mariottini si sofferma sull’Italia degli anni ’70, un
Paese finalmente democratico, che conquista il suffragio universale, vede
promulgare lo Statuto dei Lavoratori e il diritto al divorzio. Helenio Herrera
è sulla panchina della Roma, autoritario, intransigente con se stesso e con i
giocatori, che punta su un grande talento venticinquenne, Giuliano Taccola, che
muore negli spogliatoi per un attacco cardiaco dovuto a una polmonite. In
realtà la verità sulla morte del giovane non è mai emersa. In quel periodo si
formano due scuole di pensiero: quelli che accusano l’allenatore di non aver
compreso lo stato fisico del giocatore e quelli che indicano nel giovane il
primo caso di doping. Il mago argentino non perde la guida della sua squadra e per conquistare la Coppa delle Coppe punta
soprattutto sul un grande centrocampista: Fabio Capello. Le partite si svolgono
in modo strano… sembrano permeate di presagi. La Roma arriva ai quarti di
finale tramite la monetina.
I giallorossi vincono la partita di andata
all’Olimpico, quella di ritorno, a Smirne, contro il Goztepe rischia di
divenire una rissa, ma contro ogni pronostico, l’outsider
di Herrera arriva in semifinale. Ed è in questa
partita che per bonari errori del grande Nando Martellini, si celebra due volte
la vittoria della Roma. La beffa delle beffe è la divisa dei giocatori del
Gornik Zabrze dello stesso colore di quella della squadra italiana. I
giallorossi che esultano vengono scambiati dal telecronista per i giocatori
della Roma e inducono a una grande illusione i tifosi. Una sorta di piéce
teatrale il racconto della vicenda romanista, con tocchi addirittura poetici.
Mariottini riesce a
rendere il linguaggio calcistico accessibile e
coinvolgente per una persona di sesso femminile e assolutamente profana in
questo campo come la sottoscritta.
E riesce a restituire a uno sport, divenuto
oggi fonte di business e di violenza, la dignità e il coraggio. Quel coraggio
cantato da De Gregori in una famosa canzone: “La leva calcistica del ‘68”, che,
non a caso, corrisponde agli anni di alcune delle storie narrate…
L’Autore proietta noi lettori in altra
dimensione con la storia della Lazio degli anni 2000. Una squadra che, grazie
anche all’intelligenza tattica e all’intuito del presidente Sergio Cragnotti
vince quasi tutto in Italia e in Europa. E che, proprio a causa
dell’imprenditore e della cattiva conduzione della Cirio, finisce di colpo sul
lastrico.
Mariottini, nell’illustrare la storia
calcistica laziale distende ancora il respiro narrativo all’analisi del periodo
storico. Nel 2001 avviene nella nostra penisola uno spostamento degli equilibri
politici, che vede coinvolte anche altre compagini , come la Fiorentina di Vittorio
Cecchi Gori.
Va detto che quella che l’Autore definisce ‘la
discesa negli Inferi’ della Lazio avviene nel 1980 per il coinvolgimento nello
scandalo del calcio scommesse. Ma nel 2002 alla guida della squadra arriva il leader
Roberto Mancini e la sua determinazione. L’inizio sulla panchina della Lazio é
brusco, in quanto motivazioni economiche e finanziarie inducono a cambiamenti,
alla perdita di campioni, ma l’outsider è proprio nell’uomo, capace di vincere
affrontando la sfida di una società in metamorfosi.
Le otto storie di questo straordinario
vademecum di avventure calcistiche che evidenziano come il calcio possa essere
considerato una sorta di cartina al tornasole del Paese. E, proprio in virtù
del dato di fatto che si tratta, in Italia, di uno sport che rappresenta una
metafora della vita sociale dell’individuo, l’Opera di Mariottini mette in luce
l’importanza dell’outsider inteso come rivincita, ovvero di quanto il singolo,
in molte circostanze, possa riscattarsi dal tipo di vita che conduce, non
opponendo resistenze o isolandosi, ma accettando la collaborazione con i componenti
del nucleo familiare, con i colleghi d’ufficio, con gli amici.
Si può definire un testo che esula dal campo
propriamente calcistico, in quanto contiene elementi storici, politici della
nostra Italia dagli anni ’70 in poi, e didattico, perché insegna a non
arrendersi.
Maria Rizzi
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