lunedì 24 agosto 2015

MARIA RIZZI SU "OUTSIDER" DI DIEGO MARIOTTINI

Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade

OUTSIDER

Il testo di Diego Mariottini Outsider - Iacobelli Edizioni -, è un’interessante disamina del mondo calcistico, inquadrato da un angolo di visuale diverso e originale.
Il termine ‘outsider’ dal mio punto di vista, femminile e sociologico, sta a indicare una persona che in campo politico o sociale, si pone o viene posta al di fuori di un determinato estabilshment. Per metonimia, il termine è entrato in altre aree della vita comune e, nel caso del libro, dello sport, per indicare squadre, che trovano occasioni di riscatto, conseguendo risultati importanti, pur non essendo accreditate come favorite.
Mariottini non intende con il suo lavoro mettere il luce i perdenti, ma evitare i luoghi
comuni che contraddistinguono il mondo calcistico.
Si sofferma su periodi storici antecedenti a quelli che viviamo e che vedono in questo sport il più grande spettacolo del mondo e nei giocatori gli uomini pagati in modo inquietante e trattati come autentiche star. Evita anche di sottolineare gli aspetti violenti che connotano quella che viene definita ‘fede calcistica’. L’Autore, peraltro, ha messo in rilievo queste caratteristiche in testi precedenti.
Outsider vuole essere un excursus del percorso affrontato da otto squadre considerate
‘minori’, che in particolari circostanze storiche, politiche, sociali e grazie alla guida di allenatori dall’intuito, dalla competenza e dall’autorevolezza necessari, sono riuscite a prendersi le loro ‘rivincite’. Le squadre che Mariottini prende in considerazioni sono italiane e straniere. Inizia dal Nottingham Forest del 1978 – ’79, definito “Rosso Garibaldi” proprio in onore delle camicie rosse dell’eroe dei due Mondi e descrive, in modo avvincente e ricco di colore e di anima, la loro corsa alla conquista dell’Europa. Il Nottingham, infatti, riesce in quell’annata indimenticabile, a vincere la Coppa dei Campioni senza perdere neanche una partita. E ne vince una seconda l’anno successivo. Il merito delle imprese viene in gran parte attribuito all’allenatore, o forse sarebbe più esatto dire alla coppia di allenatori, Brian Cloug e Peter Taylor. Nel leggere il libro è inevitabile soffermarsi sull’importanza dei commissari tecnici, o mister, che dir si voglia. Si ha la netta sensazione che il riscatto al quale allude l’Autore sia potuto avvenire anche e soprattutto in virtù del ruolo svolto dall’allenatore, che in particolare negli anni passati si occupava principalmente degli aspetti tecnici e strategici delle perfomances agonistiche degli atleti, ma  svolgeva anche un ruolo di leader, di potere e affettivo, in seno alla squadra che dirigeva, che lo poneva in una relazione interpersonale di tipo complementare, nella cosiddetta posizione one – ap. Ciò sta a significare che egli si ritrovava a essere un punto di riferimento e un modello di identificazione per i suoi ragazzi, sia sul piano agonistico che su quello umano. Dal punto di vista psicoanalitico l’allenatore diventava un sostituto edipico molto importante, infatti il giovane che si accingeva a fare sport portava con sé, nei rapporti con i compagni e nei riguardi di una figura rivestita di una certa autorità, le sue dinamiche familiari non risolte. Io mi sto esprimendo al passato, non solo per essere in linea con i periodi storici analizzati nel libro, ma anche perché non so fino a che punto quest’analisi possa essere applicata al presente, al crollo generale di valori e all’importanza diversa che viene attribuita ai ruoli genitoriale e, di conseguenza, a tutte le figure di riferimento educative.
Ciò non toglie che si continua a dire che ‘sono gli allenatori a far girare bene le squadre’. Non bastano i bravi giocatori.
E, a dispetto di quanto si potrebbe credere, ovvero che la figura ideale di commissario tecnico sia quella del soggetto assertivo ed estroverso, che resiste agli insuccessi e alle frustrazioni, Mariottini descrive una serie di mister, rimasti famosi, che hanno come caratteristiche comuni l’autorevolezza, i caratteri spinosi, inflessibili. Bloug disse di sé: “Non direi che ero il miglior manager del giro, ma di certo ero al vertice”.
Roberto Mancini, ottimo prefatore, conferma come talento calcistico, come uomo e come allenatore, il mio punto di vista. Di lui l’Autore scrive: ‘è l’uomo che ovunque si trovi a giocare sconfigge la rassegnazione, è il condottiero che estirpa la cellula maligna dal fatalismo dei compagni” E Mancini è stato leader autorevole e carismatico come giocatore nella Lazio e, immediatamente dopo, come commissario tecnico, prima della Fiorentina e poi della squadra nella quale aveva militato per tanti anni. Nel tempo ha confermato le sue doti ed è uno dei pochi allenatori dotato dell’autostima necessaria per relazionarsi in modo corretto con la nuova generazione di giocatori.
Mariottini nelle sue otto vicende di rivincita, ci fa dono anche di autentichi affreschi letterari. E’ il caso della storia della Atalanta. Egli inizia il capitolo
narrando le origini del nome della squadra. Deriva dal greco atalànte, che significa ‘in equilibrio’. E’ una divinità greca cacciatrice infaticabile, come Artemide. Le sue qualità sembrano difficilmente assimilabili a una squadra di calcio, ma in realtà rendono molto bene ‘l’idea di chi deve lottare tutti gli anni per salvarsi dalla retrocessione, perché non possiede la forza economica delle compagini provenienti dalle metropoli’ – tratto dal testo.
L’Autore descrive, con autentico nerbo narrativo, le vicende vissute nel 1987 dell’Atalanta, retrocessa in serie B, nonostante la rosa di ottimi giocatori, tra i quali Glenn Peter Stromberg e Cesare Prandelli, futuro Commissario Tecnico della Nazionale, ma degna di rappresentare l’Italia nella Coppa delle Coppe. Anche in questo caso troviamo un leader tenace, ribelle e senza paura come Emiliano Mondonico, famoso per essersi fatto squalificare nel 1964 per andare a vedere un concerto dei Rolling Stones e per le lotte affrontate nella vita, che sa portare l’Atalanta in semifinale nel 1987 –’88 e l’anno successivo sa ricondurla in serie A.
Nel libro i vari allenatori sono descritti, con rara perizia, come autentici traghettatori, che accettano di condurre le squadre verso mete apparentemente impossibili. Sono gli uomini che accettano, forse cercano le sfide, e non hanno ancora l’anima dei mercenari. Ecco, dal testo di Mariottini emerge un’ancestrale, incandescente purezza nella caratterizzazione di personaggi e di squadre, che si sono resi protagonisti di riscatti. Nel testo si parla di imprese compiute dalle cosiddette squadre minori, ma continuo a sottolineare che alla testa di queste compagini ci sono stati uomini. Cito ‘il mago’ Helenio Herrera e la sua Roma delle ‘beffe’. Il capitolo “Roma – 1969 – ’70 – Il finale di Coppa – anzi no”, non narra soltanto le vicende di una squadra che pur avendo vinto tanto non può vantare titoli europei, oltre la Coppa delle Fiere, trofeo che l’Uefa non riconosce. Mariottini si sofferma sull’Italia degli anni ’70, un Paese finalmente democratico, che conquista il suffragio universale, vede promulgare lo Statuto dei Lavoratori e il diritto al divorzio. Helenio Herrera è sulla panchina della Roma, autoritario, intransigente con se stesso e con i giocatori, che punta su un grande talento venticinquenne, Giuliano Taccola, che muore negli spogliatoi per un attacco cardiaco dovuto a una polmonite. In realtà la verità sulla morte del giovane non è mai emersa. In quel periodo si formano due scuole di pensiero: quelli che accusano l’allenatore di non aver compreso lo stato fisico del giocatore e quelli che indicano nel giovane il primo caso di doping. Il mago argentino non perde la guida  della sua squadra e per conquistare la Coppa delle Coppe punta soprattutto sul un grande centrocampista: Fabio Capello. Le partite si svolgono in modo strano… sembrano permeate di presagi. La Roma arriva ai quarti di finale tramite la monetina.
I giallorossi vincono la partita di andata all’Olimpico, quella di ritorno, a Smirne, contro il Goztepe rischia di divenire una rissa, ma contro ogni pronostico, l’outsider
di Herrera arriva in semifinale. Ed è in questa partita che per bonari errori del grande Nando Martellini, si celebra due volte la vittoria della Roma. La beffa delle beffe è la divisa dei giocatori del Gornik Zabrze dello stesso colore di quella della squadra italiana. I giallorossi che esultano vengono scambiati dal telecronista per i giocatori della Roma e inducono a una grande illusione i tifosi. Una sorta di piéce teatrale il racconto della vicenda romanista, con tocchi addirittura poetici. Mariottini riesce a
rendere il linguaggio calcistico accessibile e coinvolgente per una persona di sesso femminile e assolutamente profana in questo campo come la sottoscritta.
E riesce a restituire a uno sport, divenuto oggi fonte di business e di violenza, la dignità e il coraggio. Quel coraggio cantato da De Gregori in una famosa canzone: “La leva calcistica del ‘68”, che, non a caso, corrisponde agli anni di alcune delle storie narrate… 
L’Autore proietta noi lettori in altra dimensione con la storia della Lazio degli anni 2000. Una squadra che, grazie anche all’intelligenza tattica e all’intuito del presidente Sergio Cragnotti vince quasi tutto in Italia e in Europa. E che, proprio a causa dell’imprenditore e della cattiva conduzione della Cirio, finisce di colpo sul lastrico.
Mariottini, nell’illustrare la storia calcistica laziale distende ancora il respiro narrativo all’analisi del periodo storico. Nel 2001 avviene nella nostra penisola uno spostamento degli equilibri politici, che vede coinvolte anche altre compagini , come la Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori.
Va detto che quella che l’Autore definisce ‘la discesa negli Inferi’ della Lazio avviene nel 1980 per il coinvolgimento nello scandalo del calcio scommesse. Ma nel 2002 alla guida della squadra arriva il leader Roberto Mancini e la sua determinazione. L’inizio sulla panchina della Lazio é brusco, in quanto motivazioni economiche e finanziarie inducono a cambiamenti, alla perdita di campioni, ma l’outsider è proprio nell’uomo, capace di vincere affrontando la sfida di una società in metamorfosi.
Le otto storie di questo straordinario vademecum di avventure calcistiche che evidenziano come il calcio possa essere considerato una sorta di cartina al tornasole del Paese. E, proprio in virtù del dato di fatto che si tratta, in Italia, di uno sport che rappresenta una metafora della vita sociale dell’individuo, l’Opera di Mariottini mette in luce l’importanza dell’outsider inteso come rivincita, ovvero di quanto il singolo, in molte circostanze, possa riscattarsi dal tipo di vita che conduce, non opponendo resistenze o isolandosi, ma accettando la collaborazione con i componenti del nucleo familiare, con i colleghi d’ufficio, con gli amici.
Si può definire un testo che esula dal campo propriamente calcistico, in quanto contiene elementi storici, politici della nostra Italia dagli anni ’70 in poi, e didattico, perché insegna a non arrendersi.

Maria Rizzi                                                                        



Nessun commento:

Posta un commento