Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade |
Nelle
ultime settimane c’è stato un gran parlare della situazione della poesia in
Italia, partito dalla notizia che la collana di poesia “Lo Specchio” della
Mondadori chiude. Certo, per noi che di poesia (e di letteratura in generale)
ci occupiamo da molti anni forse il tema non è nuovo, ma vorrei citare alcuni
passaggi chiave di alcuni interventi. Davide Brullo, il 14 luglio, rispondendo
a un articolo di Alessandro Zaccuri che ha lanciato il sasso nello stagno
scrivendo “alle grandi case editrici la poesia sembra non interessare più”, scrive
un interessante articolo di cui ricopio il passaggio per me più significativo: “il mercato difficilmente va a braccetto con
la cultura…. per vendere devi
pubblicare roba che piace a tutti”. Nel suo articolo attacca molto
apertamente le politiche dell’editore citato (pubblicare nomi noti, amici di
Segrate, se “Lo Specchio” chiude ne avremo tutti da guadagnare). La catena di
Sant’Antonio si è ormai innescata, e il 15 luglio, appare su Il Foglio un
articolo di Alfonso Berardinelli, che attacca la stessa collana, dicendo che Lo
Specchio aveva ormai rinunciato alla poesia da anni, e se chiude una ragione ci
sarà. Interessante la sua posizione su quanti
poeti pubblicabili in Italia ci sono, per lui una dozzina, concede di arrivare
a venti, a trenta… insomma, per Belardinelli non c’è materia. Tralascio i suoi commenti conclusivi che lanciano
strali su antologie, recensori, editori e poeti d’ogni sorta, solo in parte
condivisibili. Il 16 luglio è apparso su vari blog un articolo di Alessandro
Canzian, che si meraviglia non per la notizia della chiusura della collana,
quanto per tutto il rumore che si fa intorno a questa vicenda. Dice Canzian:
non solo “Carmina non dant panem” ma
nemmeno le briciole, per poi aggiungere “di poeti bravi ce ne sono,
nascono, crescono, maturano e vengono pubblicati” ma vendono poco. Canzian, che
tra l’altro fa l’editore, parla anche dell’editoria su contributo dell’autore,
senza demonizzarla, perché effettivamente le spese ci sono tutte, e non è
pensabile che in un mercato povero di acquirenti e ricco di scrittori l’editore
possa farcela da solo. Conclude con un passaggio molto interessante che riporto
qui: “è la cultura italiana che non
considera più la poesia come una testimonianza del tempo” aggiungendo poi
“chi propone titoli scarsi non è responsabile della mancanza di buoni titoli, e
chi non chiede la pubblicazione dei buoni titoli non è responsabile dei titoli
di non qualità. Il paradosso vuole che non esista una causa/effetto diretta, ma
che ci sia una comune responsabilità.
È la cultura/raffreddore generale che crea i vari nasi che colano e ai quali ci
fa comodo dare la colpa del tutto, per evitare
l’autocritica”. Gerardo Mastrullo, editore anche lui, risponde a tutta
questa serie di articoli offrendo uno sconto del 25% per l’acquisto di almeno
due libri fino a fine mese.
Non
citerò altri articoli, ce ne sono veramente tanti, mi soffermerò però su alcuni
passaggi chiave che colgo in questo dibattito:
Il mercato non va a braccetto con la
cultura
Non
sono d’accordo. Il nostro Paese potrebbe vivere solo di cultura, e dovremmo
andarne fieri. Il problema, però, se ci concentriamo sull’editoria, è diverso.
Sappiamo benissimo che la poesia si vende poco, ma perché prima di tutto si
pubblicano troppi titoli. Non ritornerò su temi già trattati in questo blog,
del resto abbiamo pubblicato e sottoscritto anche un Manifesto culturale per
fissare alcune idee e per evidenziare quelli che dovrebbero essere i nostri
valori. Però, se gli editori sono circa 2700, non mi si può dire che il mercato
non c’è, se i titoli pubblicati ogni anno sono quasi 70000 non si può piangere
sulla mancanza di lettori. Queste sono scuse! L’editoria è arrivata ad invadere
i cataloghi con migliaia di titoli affossando il mercato non perché non sia
reattivo, ma semplicemente perché cercare un titolo di valore da mettere nello
scaffale, per un libraio, vista la quantità agghiacciante di opere proposte
(molte, moltissime di dubbio valore), è diventato quasi impossibile. Per
proporre valore ai lettori, il libraio deve cercare l’ago nel pagliaio. E chi
glielo fa fare? La catena è questa: autore – editore – distributore – libraio -
lettore, e negli ultimi anni a questa catena si è aggiunta la libreria on-line
e l’e-book, che però rendono ancora più difficile l’opera di selezione. Il
libraio è il penultimo anello della catena e dovrebbe avere il supporto degli
altri anelli, ma quello che riceve sono solo schede in un catalogo. Insomma, con
tutto il bendiddio che si pubblica non si può dire che il mercato non vada a
braccetto con la cultura, semmai si deve identificare una patologia del mercato
che andrebbe curata, perché la cultura non deve essere vittima di un mercato,
ma deve guidarlo, altrimenti è merce! In questo l’editore e il libraio devono fare
da filtro, ma se il filtro dell’editoria è vanificato dalla quantità abnorme di
titoli a catalogo, il libraio non farà da filtro, ma da tappo. Gli editori e i
librai devono tornare ad avere il loro ruolo: devono scegliere le opere da
proporre e promuoverle, senza ripiegare su scelte di comodo (nomi noti, volti
visti in TV, roba che non ha bisogno di promozione perché già c’è), anche
rischiando. Allo stesso tempo, però, l’autore deve riconoscere le proprie
responsabilità e, per non alimentare questa malattia, deve accettare le
critiche e fare autocritica. Insomma, occorre pubblicare meno e pubblicare
meglio, perché il mercato lo facciamo noi tutti, in questa catena.
Non c’è materia
Dissento
anche su questo punto. Di poeti ce ne sono molti, e molto validi, semmai è
difficile trovarli. Di nuovo, il problema è la dispersione delle opere di
qualità in un mare di non-opere, di libri immaturi che vengono pubblicati,
quasi sempre per scelta dell’autore. E se “Carmina non dant panem” ma nemmeno
le briciole, è anche perché le opere sono del tutto invisibili in questo
marasma di titoli. Hanno fatto bene Antonio Spagnuolo e Ninnj Di Stefano Busà,
due voci tra le più autorevoli della poesia contemporanea, a curare
un’antologia (edita da Kairòs) di autori attivi negli ultimi vent’anni. Come
hanno fatto a scovarli e sceglierli? Un lavoro immenso di lettura, di ricerca,
di valutazione, utilizzando moltissimo il WEB, uno strumento che, se usato
bene, diventa fonte di informazioni preziose. Questa fatica immane è per i sognatori
che hanno un progetto editoriale che merita di passare alla storia, e dimostra
che non è impossibile ridare alla poesia il ruolo di testimonianza del tempo.
Ora,
di operazioni coraggiose come quella citata qui sopra, sicuramente ce ne sono
altre, e occorre analizzare le dinamiche che muovono la cultura per trovare la
quadra. Ad esempio, il ruolo delle associazioni culturali, il ruolo dei
concorsi letterari (escludendo i più grandi), in questo contesto, qual è? Senza
dubbio il contributo delle associazioni è prezioso, ma non hanno nessun impatto
sul mercato perché non fanno parte del sistema. Per la maggior parte, queste
associazioni, sono costituite da operatori volontari che non hanno nessuna
etichetta, persone libere che decidono di fare qualcosa per la Cultura, e
organizzano concorsi, rassegne, presentazioni… solo perché hanno percepito
questo vuoto e tentano di colmarlo. Però non basta. Ricordo che, il giorno
della premiazione del Pegasus Cattolica, feci un giro in città e visitai le
librerie del posto: non una locandina, non un annuncio, nulla. Eppure il
concorso è prestigiosissimo e i librai di Cattolica per primi dovrebbero
parlarne, dovrebbero mettere i libri premiati in bacheca, promuovere gli autori.
Insomma, da fare ce n’è, però bisogna smetterla di dire che non c’è mercato e che
non c’è qualità.
Condivido l'idea che l'editoria dovrebbe essere più selettiva e gli autori più autocritici, ma nessuno di certo può obbligarli a comportarsi così. Per cui, se ciò non avviene, c'è soltanto una via percorribile: quella di lavorare in gruppi più o meno carbonari e clandestini, dediti alla trasformazione pacifica, non della società, ma dell'animo umano. La poesia può essere testimone del tempo proprio uscendo di scena da questo tempo impoetico, dando vita ad una realtà catacombale che sappia lavorare alacremente per un cambio di rotta e di civiltà. In che modo? Puntando sul contagio, dacché tutto si può contagiare (il Bene come il Male). Socrate e Cristo (ma tanti altri esempi si potrebbero fare) non hanno lasciato un rigo scritto di proprio pugno, né hanno avuto bisogno di ricorrere all'imprenditoria culturale per fare la storia dell'umanità. Ciò è accaduto ugualmente, a prescindere dalla loro volontà.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Caro Franco, la tua risposta è, come sempre, molto stimolante, e ti ringrazio. Condivido nel modo più convinto l'immagine della carboneria, e occorre continuare a lavorare sempre e in modo continuativo sul "contagio" di cui tutti abbiamo bisogno. Questo è il lavoro del poeta (o dell'artista in generale), che per sua natura deve essere cospiratorio.
RispondiEliminaNel mio articolo, però, oltre a fare un'analisi ispirata agli articoli di recente apparsi sui vari organi di stampa, lancio una provocazione anche ad altre entità che in questa dinamica entrano in gioco: le associazioni e i concorsi letterari che da esse emanano. Potrei sbagliare, ma credo che le associazioni, dato il loro preziosissimo contributo, debbano diventare un punto di riferimento per gli editori e per i librai, ma dato che ce ne sono tante, credo anche che per arrivare ad esserlo debbano, in qualche modo, coalizzarsi, unirsi e collaborare per aver più voce perché un coro di cento fa più rumore di un coro di dieci.
L'esempio delle librerie di Cattolica di fatto stigmatizza il vuoto che dovrebbe essere colmato, e mi chiedo se dando più forza alle associazioni non si possa almeno renderlo meno vuoto...
Claudio Fiorentini
Caro Claudio, se ti ho detto che condivido le tue analisi vuol dire che non condivido quelle di chi contraddici. Ma se il mondo va da un'altra parte, dobbiamo prenderne atto e limitarci ad un'azione di stimolo culturale. Direi che la tua "provocazione" rientri a pieno titolo in questo orizzonte, per così dire, "carbonaro".
RispondiEliminaFranco Campegiani
A proposito di …Collezioni di poesia, case editrici, librai, associazioni, concorsi letterari ,di autocritica, selezioni, gruppi carbonari…mi è venuto spontaneo rileggere alcune affermazioni che a loro tempo mi avevano colpito. Ve le trascrivo: è il mio modo di condividere.
RispondiElimina…Volgiti e guarda il mondo come è divenuto,
poni mente a che cosa questo tempo ti chiede,
non la profondità, né l’ardimento,
ma la ripetizione di parole,
la mimesi senza perché né come…
Tu dici di puntare in alto, di là dalle apparenze,
e non senti che è troppo…”( M. Luzi)
“Una poesia brutta capita a tutti i poeti, anche a quelli incoronati dal Nobel, e ce n’è in tutti i libri del mondo…. Perché non la riconosce l’autore stesso?Perché tacere è difficile. Ammettere di aver perso lo stato di grazia della composizione fa male in modo devastante…L’arte vera e pura è rarissima e oltremodo discontinua...(V. Woolf)
Di certo, gli autori ventenni di fine Novecento, rispetto ai fratelli maggiori nati nei Sessanta, hanno avuto, giovanissimi, un’identità generazionale, una presenza molteplice di gruppo sparso, indifferente ai raggruppamenti, e incapace di mostrare una sapienza difensiva, a differenza di chi li ha oscuramente preceduti. Troppo presto, ancora oggi, per dire se quei regesti hanno saputo davvero “canonizzare” la migliore juvenilia poetica di allora. Ma si sa, il tempo è il vero giudice cassatore. (da Atelier)
“… non ci sono professori di poesia. Se così fosse, vorrebbe dire che si tratta d'una occupazione che richiede studi specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di bibliografia e rimandi, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua volta significherebbe che per diventare poeta non bastano fogli di carta, sia pure riempiti di versi più eccelsi – ma che è necessario, e in primo luogo, un qualche certificato con un timbro.
…. L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.( W. Szymborska)
“La poesia è il luogo/ dove ciascuno nutre
la segreta speranza/ di essere il migliore?
No,/ la poesia è il luogo
dove la mancanza/ di speranze
non diventa disperazione”( Da un aforisma di Cesare Viviani)
Timida, un po’ più in là sopra il mio treno,
stava leggendo, con gli occhi riversi
sopra un piccolo libro della ‘bianca’ […]. (Alessandro Fo)
“… non ci sono professori di poesia. Se così fosse, vorrebbe dire che si tratta d'una occupazione che richiede studi specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di bibliografia e rimandi, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua volta significherebbe che per diventare poeta non bastano fogli di carta, sia pure riempiti di versi più eccelsi – ma che è necessario, e in primo luogo, un qualche certificato con un timbro.
RispondiElimina…. L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.( W. Szymborska) ... Ringrazio Maria Grazia Ferraris per il suo intervento in apparenza non mirato. In realtà basterebbe la considerazione della poetessa W. Szymborska, che amo e stimo infinitamente, a dare la risposta alle considerazioni di Claudio. La poesia può essere portata avanti da consorterie, associazioni, ma resta una 'non professione'. E' il luogo in cui troppi si ritrovano e pochi si danno pace. Non occorre, a mio umile avviso, adottarla come bandiera. E' la voce del tempo in cui viviamo, ma non vuole essere urlata. Passerà al futuro in silenzio. Tramite il contagio spirituale, di cui parla Franco Campegiani e tramite la volontà di perseguire la propria passione, se di passione si tratta. L'imprenditoria é altra storia. Non riguarda chi scrive. L'ideale é agli antipodi del razionale, quando viene alla luce. Poi le cose succedono... ma credo che come dice la Szymborska, il poeta non lo sappia...
Vi ringrazio tutti per i bellissimi stimoli.
Maria Rizzi
A volte tentare di conoscere il mercato aiuta a il perché di certe scelte, per cui, dopo aver assistito e partecipato a questo dibattito, che ha invaso le pagine culturali dei nostri giornali, mi sono deciso a fare i conti della serva, analizzando alcuni dati numerici, tutti reperibili in rete, che fotografano il mercato dell'editoria. Ho fatto anche due calcoli, ottenendo dei risultati che confermano quanto da me concluso nell'articolo. Insomma, questo dibattito è partito da un pretesto, come la chiusura de "gli specchi", si è poi incanalato verso argomentazioni non sempre condivisibili, nascondendo un inganno: non è vero che i libri non si vendono più! Mi spiego: l'ebook oggi rappresenta, in termini monetari, circa il 7% delle vendite di libri, ma un libro elettronico costa poco, a volte pochissimo. Questo, a parità di numero di copie vendute, rappresenta una riduzione enorme del fatturato, mettendo in crisi anche buona parte della catena di distribuzione. Inoltre in cinque anni c'è stato un aumento di circa l'80% del mercato dell'usato ufficiale, che ovviamente toglie mercato al libro nuovo. infine, fenomeni come il book crossing, così come la possibilità di scaricare un libro in PDF direttamente da alcuni siti specializzati (cito il pregevolissimo caso de "La Recherche"), riducono ulteriormente le potenzialità di vendita per i grandi editori. Non vi riporto la mia analisi numerica per non annoiarvi, il fatto è che a quanto pare il numero totale di libri venduti è rimasto più meno lo stesso negli ultimi cinque anni, solo che grazie all'usato e all'ebook il lettore spende molto meno e, conseguentemente, i grandi editori fatturano molto, ma molto meno. A questo punto la mia conclusione è che gli articoli scritti da illustri giornalisti dicono una montagna di sciocchezze. Il potenziale del mercato in termini numerici rimane pressoché invariato, ma i supporti elettronici e le iniziative editoriali e sociali che riducono i costi per il lettore stanno avendo molto successo. I grandi attori dell'editoria, per far fronte alla riduzione del fatturato, scelgono semplicemente di tagliare le collane meno redditizie. Punto e basta. Insomma, è una pura e semplice questione di soldi e dire che "gli specchi" chiude perché non c'è materia non solo è una sciocchezza, ma è anche un inganno.
RispondiEliminaClaudio Fiorentini
Se ciò cui assistiamo fosse una pura e semplice trasformazione del mercato, il problema riguarderebbe molto marginalmente i poeti, che bene o male continuerebbero a pubblicare (anche se con scarso clamore, ma questo per loro poco conta). Se invece ci trovassimo di fronte ad una reale indifferenza, per non dire avversione, del mercato nei confronti della poesia, allora avrebbe senso una provocazione tesa a promuovere la rinascita dello spirito. In ogni caso il ruolo dei poeti è di fare i poeti e non altro.
RispondiEliminaFranco Campegiani