Recensione
a
Emanuele
Marcuccio: Anima di Poesia
Casa Editrice Limina Mentis. Villasanta (MB). 2015. Pg. 110
Poesia
come ricerca di cospirazioni iperboliche
Poesia
nitida, chiara, coinvolgente per il
tentativo di scalare la montagna della vita e carpirne da là gli
orizzonti più lontani. Ho avuto il piacere di seguire l’evoluzione della poetica
di Marcuccio, e, sinceramente, in questa silloge, Anima di Poesia, continuano e si sviluppano le tematiche
introspettive e analitico-formali del Nostro: l’attenzione per il figurato, per
l’essenzialità della forma, per un crescendo di stilemi che diano corpo ad un
sentire generoso e gorgogliante. Un andare malizioso e al contempo spontaneo in
cui versi estremamente brevi, trisillabi, si alternano a stesure più ampie (novenari,
decasillabi, endecasillabi), per concretizzare le modulazioni dei patemi
vicissitudinali:
la punta di un albero in
piazza
espande
propaggini
profumi
nella notte
la punta di un iceberg nel
glaciale
propaga
bufere
all’aurora (Punte).
Una
struttura metrica originale e rampante per forzatura significante e sintattica:
il verso incipitario è formato da una
successione di trisillabi, ed è seguito da tre versi trisillabi a formare la prima strofa. Ne segue
una seconda di un solo quaternario, e un’altra ancora di un endecasillabo e due
trisillabi. Lo spartito prosodico si chiude con un verso quinario. Una
versificazione che intreccia immagini e note musicali di eufonica sonorità da
richiedere nel suo ascolto l’accompagnamento di uno strumento musicale. I versi
sono sapientemente distribuiti in vista di un effetto euritmico suasivo,
generato da una successione di misure alternate: il primo novenario e il sesto endecasillabo
dànno il via ad una cadenza che si fa vera sinfonia con la somma degli ultimi
tre versi (propaga bufere all’aurora).
Ma qui la ricerca del termine è più
puntigliosa, più meditata e lavorata, nei confronti delle opere antecedenti.
Emanuele sa e ne è cosciente che la parola non arriverà mai a ritrattare a
pieno l’immensità dello spirito umano; per questo le assegna un compito
determinante, incisivo, evolutivo, diacronico: prolungarne il senso oltre la
sintassi, oltre il valore canonico e storico-linguistico, con invenzioni
morfologiche e neologiche di grande maturazione personale. Un climax che denota
una volontà di azzardare oltre, con
l’uso di geminatio, enjambements,
iterazioni, anastrofi, sinestesie, metonimie, anacoluti, percorsi anaforici,
accentuazioni verbali in contesti di estrema densità emotivo-paradigmatica; una
concretezza lirica e una asciuttezza verbale di polisemica vis creativa.
D’altronde la poesia è un continuo sforzo di cospirazioni iperboliche per
avvicinare il più possibile il linguismo alle grandi fughe dell’essere, e
dell’esistere; per renderlo fedele esecutore degli intenti emotivi. Troppo
lungo sarebbe, e forse anche freddo e retorico, soffermarci sulle tante figure
stilistiche che il Nostro usa per dare vivacità esecutiva al suo poetare. Ma
quello che possiamo dire è che tutti gli stilemi e tutte le performances
tecnico-foniche vanno a vantaggio di una resa d’ensemble considerevole. Un
labor limae che si fa sottile intreccio di nèssi nella produzione del canto.
Parlare di “Forma” desanctisiana non è di certo eccessivo, se intendiamo per
tale quell’equilibrio fra dire e sentire che è prerogativa indispensabile per
ogni forma di arte. Sì, il sintagma, la parola, il verbo vòlti a combaciare gli
input esistenziali; ed è qui la novità nella novità della poetica di Emanuele. In
questa evoluzione sistematica di intensificazioni verbali, di assemblaggi
lessicali, di accentuazioni sintagmatiche che dànno forma al logos di una versificazione
in cui l’ieri, l’oggi e il domani si embricano indissolubilmente per ovviare
alle ristrettezze del tempo. Un canto di meditazione, di inquietudine, di
sottile riflessione, di melanconia, di memoria, ma soprattutto di interrogativi
sulla vita ed i suoi accadimenti. Non vogliamo parlare certamente di frattura
fra i primi testi del Nostro e Anima di
Poesia, ma quello che era in germe ora si fa dettato personalissimo, e di
maggiore risonanza visiva ed artistica. Una pluralità di suoni e di immagini
che fa da prodromico accostamento ad un melologo di antico sapore prepericleo, rinvigorito,
però, di nuovo umanesimo. Già ebbi a dire a
proposito del testo Per una strada:
“… La sua
filosofia di vita: essere ed esistere per amare, non solo eroticamente, ma
per amare, dal profondo del cuore, l’arte, la letteratura, la pittura, la
natura!, la natura sì!, in tutte le sue paniche sfaccettature. E sarà la natura
stessa ad accompagnare il poeta in questo suo plurale e contaminante percorso.
È lei che si assume il compito di rivelare in gran parte i segreti più
intimi dell'autore. Perché il Nostro affronta gli aspetti più disparati della
realtà: quelli emotivo-esistenziali, quelli artistici, quelli
civili. E con energia linguistica, con innovazione verbale, con l’uso anche di
un lessico arcaico in particolari nèssi letterari, esonda tutto se stesso…”.
Una profondità di abbrivi interiori che eleva il messaggio di questa silloge
dal reale al sublime; un’ascesa di perspicua e polisemica fattura, che parla
dell’uomo in quanto tale, con tutte le sue sottrazioni, illusioni e delusioni che
trovano rifugio in un amore vasto e incondizionato per questa antica arte.
Un’arte che già nei versi della grande Saffo esprimeva il malum vitae. E tanti
e plurali i motivi ispirativi:
il panismo,
appunto, dove la notte, il mattutino, il cicaleccio, il mare, l’autunno, la
luna, i girasoli, gli alberi, le aurore sono tanti simboli di un’anima tutta volta
a concretizzare il suo sentire:
Torna l’estate
col suo incessante cicaleccio,
torna l’estate
per gli arbusti accesi
e per le vie,
per le montagne
e per le valli amiche… (Torna
l’estate);
il memoriale:
Com’eri piccolo e indifeso
in quel letto d’ospedale,
caro papà mio… (Caro
papà);
le
impressioni sensoriali di una realtà sublimata che si sfumano nell’oblio:
… l’aria
serena della notte
dolce e cristallina
si rabbuia nella notte;
dolce al mattutino
si dilegua nell’oblio (Gli odori
della notte),
dove la
serenità, la notte (ripetuta), e il nulla hanno molto a che vedere con la
Bellezza e la precarietà della vicenda umana;
l’impegno
civile
Tutto hanno perduto,
(…)
I sopravvissuti che sopraggiungono
si perdono in quel mare di cemento,
si confondono nella rovina di
quelle case,
e chiedono aiuto, a tutti
chiedono aiuto! (Per i terremotati d’Abruzzo);
l’abbraccio
del canto nella poesia eponima:
Anima di poesia, non
svegliarmi,
lasciami ancora sognare…
(Anima di poesia);
e,
soprattutto, la coscienza della brevità della vita. L’azzardo a superarne i
limiti, lo slancio oltre le soglie che delimitano il nostro essere:
… c’è una soglia che io voglio
varcare
in questa pioggia del mio
vegetare,
in questo mare del mio non
vivere (Eternità).
Una
poesia totale, in cui l’Autore abbraccia l’universo umano, delineandone con
stupore e meraviglia le bellezze, mutandole in sorprese, ma che ne esprime,
anche, quell’inquietudine terrena, quella
voglia di elevazione, che è e sarà sempre il nutrimento della grande
poesia.
Ed
è proprio in lei, in questa eterna avventura che il poeta si rifugia. È lì che
trova il terriccio fertile per fiorire e ri-fiorire. Perché è proprio la Poesia
a dargli il respiro della vita, la luce della notte, un sole che lo illumini:
Siamo come girasoli
ed è la poesia il nostro sole,
che ci fa poeti,
che dà vita ai nostri
caotici pensieri…
(Girasoli).
Nazario Pardini
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