Daniela Quieti |
Daniela
Quieti
T. S.
ELIOT
LA
TRAVOLGENTE DOMANDA
CENT’ANNI
DI PRUFROCK
IBISKOS
ULIVIERI. EMPOLI. 2015. Pgg. 100
Scrivere
su questa complessa opera di Daniela Quieti significa andare a fondo del
patrimonio culturale di una scrittrice poliedrica, di proteiforme valenza:
poetessa, saggista, narratrice, collaboratrice infaticabile di cultura,
qualunque sia il campo … Una personalità di spicco nel panorama letterario
odierno. Ho avuto la fortuna di leggere alcune sue opere ed ho apprezzato fin
da subito la grande sintonia fra anima, pensiero e parola. Sì, c’è questa
sintonia nel suo linguaggio: la plasticità di un verbo che corre con grande
fluidità per stare in armonia con gli abbrivi emotivi o con gli approfondimenti
intellettivi che la completano. Ed è così che chi la legge prova una sana
invidia, dacché non è per niente facile incontrare tale equilibrio fra dire e
sentire in questo mondo infarcito di una dovizia di libri tale da essere destinata
il più delle volte al macero. Tanto che la sua scrittura si fa morbida e
apodittica; invitante e semplice; acuta e paratattica; va incontro al lettore
per offrirgli i concetti più astrusi in un vassoio d’argento senza troppi
ricami; va al sodo, come di solito si dice; e lo fa con una tale disinvoltura
da farci sembrare romanzo, avvincente e coinvolgente, anche la narrazione
saggistica. E si sa che non è certamente semplice avventurarsi in una
ricognizione esegetica su un tale talento quale T. S. Eliot; dacché è
inevitabile spaziare in parallelismi interdisciplinari; toccare ambiti
letterari, filosofici o poilitico-sociali se si vuole ben inquadrare “uno dei
migliori autori del ventesimo secolo a livello internazionale” (pg. 45): le sue ispirazioni, i suoi contatti, gli
ambienti che l’hanno formato, i periodi storici, l’idealismo filosofico di
Josiah Royce, il pragmatismo di William James, il nuovo umanesimo di Irving Babbitt,
i dubbi esistenziali già evidenti in The Love Song of J. Alfred Prufrock; la formazione,
il classicismo postsimbolista che Mario
Praz rettifica avvertendo (nel saggio Due
maestri dei moderni, J Joice e T. S.
Eliot del 1967) che il “poeta antepone
al simbolismo inteso in senso individuale, arbitrario, dei moderni, ove la
suggestione sfuma e si perde nella musica verbale (tipo Mallarmé), il
simbolismo dantesco, di carattere universale spersonalizzato” e connotando
acutamente che “la vera originalità non consiste per Eliot in un’eccentricità,
sia pur geniale d’ispirazione (esempio William Blake), ma nel dare espressione
suprema ad un’esperienza di carattere universale”; la poetica; il legame
indissolubile della poesia con la poetica, guida intellettuale dei poeti e
cosciente interprete dei loro sentimenti; la comparazione letteraria per cui richiamare
il finale del cimitero marino di Valéry
come slancio necessario a esistere (Il vento si leva… Bisogna tentare di
vivere! Il mio libro apre e richiude/
l’aria immensa, da rupi/ audace l’onda in polverìo zampilla./ Pagine
impallidite, / volate via! Con onde/ allegre irrompi, flutto:/ questo tetto
tranquillo/ che predavano i fiocchi, rompi, inonda!”), significa confutare sia la
tragicità del Battello ebro di Rimbaud che s’inabissa nel mare con “la chiglia
spezzata”, che quella del noto passo dei Quattro
Quartetti di Eliot: “Qui non c’è acqua ma solo roccia/ Roccia e niente
acqua e la strada sabbiosa/ La strada che serpeggia in alto fra le montagne/
che sono montagne di roccia senz’acqua./ Se ci fosse acqua ci fermeremmo a
bere”, dove l’asprezza della roccia acuisce
la sete e ravviva l’impulso a cercare l’acqua nel viandante, che sente
vicina la sorgente pur non riuscendo a scorgerla (Sandro Guarneri: Poesia e
Poetica. 1996). Il saggio di Daniela composto
di cinque capitoli, si profila, quindi, come una interessante e approfondita
dissertazione su un autore di cui tanto si dice e si è detto, ma forse mai si è
scritto con tale acutezza e personalità critico-cognitiva; questi i
sottotitoli: Eliot e l’età moderna; Scenario
storico e culturale; Dante, Virgilio e la classicità in Eliot; Prufrock e la
travolgente domanda (da cui il titolo); La figlia che piange; Conclusione,
uniti da un tema centrale che corrisponde all’intendimento che Eliot ha della
poesia. La sua evoluzione, le varie tappe, e soprattutto il rapporto del poeta
con l’essere e l’esistere: una proiezione continua verso il tutto, l’oltre,
l’olismo; il desiderio di dissetarsi ad una sorgente di cui sentiamo la
vicinanza ma che ci sfugge continuamente. D’altronde è proprio dell’uomo ambire
a svincolarsi dalla terrenità pur facendone parte in maniera indissolubile. Ma
è pur vero che in noi è viva la coscienza della nostra precarietà, della nostra pochezza se commisurata al dipanarsi
infinito di una clessidra che unisce in sé passato presente e futuro. Soffrire
di queste pulsioni e trasferirle in un poièin la cui armonia (innata nell’uomo)
faccia da legame vincolante, e il cui slancio si muti in correlativo oggettivo,
penso sia il focus centrale delle inquietudini esistenziali di Eliot. E per
questo mi piace aggiungere al mio scritto alcuni passi del critico che mettono
bene in luce, nella Conclusione, la
conflittualità che anima il percorso poetico e umano di Eliot: “… Nella
sua infanzia Eliot contemplava l’Atlantico e sapeva cosa significasse
affrontare uno sconfinato orizzonte, in cui scoprire nuovi ormeggi ma anche
rischiare un naufragio…”; “… Eliot
incastra trasposizioni letterarie, scissioni, e antinomie nell’insieme della
versificazione alternando intensi passaggi emotivi con un ritmo ondeggiante,
essenziale e melodico, in una originale stratificazione di linguaggio alto e
basso…”; “Il percorso che avrebbe portato Eliot alla conversione non fu facile,
e la sua iniziale produzione poetica ne testimonia il conflitto interiore
proteso al raggiungimento di una dimensione critica e razionale…”; “… Il monologante Prufrok, nel descrivere il
senso di squallore quotidiano che pervade le sue divaganti osservazioni, rappresenta
il manifesto di una nuova poesia che esce da uno schema rigido, per affermare i
pensieri e le ansie effettive della coscienza con uno sguardo lucido e
penetrante associato a una sottile vena musicale e comica…”.
E
terminare questo mio scritto riportando un’affermazione dello stesso Eliot, come
massimo interprete della poesia di tipo analogico-simbolico, culminante nei
poemetti La terra desolata, Mercoledi
delle ceneri, e I quattro quartetti: “è compito del poeta non quello di
trovare nuove emozioni, ma di usare quelle comuni e di esprimere… sentimenti
che non si trovano nelle emozioni vere e proprie” significa mettere in luce il
fine umorismo inglese che lo caratterizza; ma anche una sua idea fondamentale:
quella che il mistero della poesia e dell’universo è impenetrabile anche dalla
stessa poetica.
Nazario
Pardini
Desidero ringraziare di cuore il Prof. Nazario Pardini per la lusinghiera recensione che ha voluto dedicare al mio saggio “T. S. Eliot La travolgente domanda Cent’anni di Prufrock”, e per averla pubblicata in “Alla volta di Leucade”: “un superbo dono” che mi emoziona e gratifica in modo particolare. Con un sentire critico di poeta, scrittore e filosofo, ma soprattutto di Persona, Egli approfondisce con chiarezza non solo la sostanza della mia osservazione eliotiana, ma anche lo scenario storico e culturale che infiammò i primi decenni del secolo scorso, i cui segni indelebili, umani e artistici proiettano nell’attuale millennio nuove riflessioni sull’irrisolto dualismo tra scienza e psiche, e sul “mistero della poesia e dell’universo” che "è impenetrabile anche dalla stessa poetica”.
RispondiEliminaCon la più profonda ammirazione e affettuosa amicizia
Daniela Quieti
La descrizione che il Prof Pardini ne fa del contenuto di questa tua pubblicazione, carissima Daniela, mi aiuta ad apprezzare ancora di più la tua personalità e la tua caparbietà nello scrivere.
RispondiEliminaUn caro saluto al professore Pardini.
Un abbraccio a te, Daniela.