mercoledì 7 dicembre 2016

N. PARDINI: "GIOACHIMITI"

Gioachimiti

Era silenzio attorno, lo portavano
le intense lontananze. All’orizzonte
si stagliavano i monti color cenere
ed Occidente,
col sole in seno, stava ad iridare
il parlottio del mare. Finalmente
si respirava l’aria di ginepro,
di lauro e di corbezzolo. La sera
era feconda di meditazioni
e nostalgie con i respiri salsi
di marina. Ed il dicembre,
disteso sulle spiagge, pronunciava                
i suoi sapori zeppi della resina        
dei falcati pinastri. Proprio qui,
in un viale nel vespero adombrato
da chiome circolari, una gran fila
di persone incappucciate  coi ceri
nelle mani, andavano isolate
in lenta processione. Le fiammelle
nell’aria che frizzava ed olezzava
sfumavano la bruma di un crepuscolo
surreale. Ordinate in lunga schiera
borbottavano in coro molto chiaro
una preghiera triste. Era ancorata
ad una terra calda e tanto amata
nei suoi colori simile alla Sila.
Mi disse uno di loro a bassa voce:
“Noi siamo i discendenti di Gioacchino
da Fiore. Ascolta la nostra preghiera”.

"Se il Paradiso fosse in terra,
mio Signore,
qui tra le cose e l’animo degli uomini,
nei loro turbamenti, o gli scontenti,
se il Paradiso fosse
e non lontano o non arcano
né chissà dove.
Amato non ho mai di viaggiare,
(e poi l’anima vecchia in altri mondi
e magari incrostata di ricordi)
certamente altrove, lontano e chissà dove
dal paese natale,
mio Signore!
Se il Paradiso fosse in terra
senza la guerra, l’odio e il patimento,
qui tra le povere cose,
tra l’erbe fresche delle mie radure
o in mezzo alle pianure o sopra i colli,
tra i papaveri, le spighe e le ginestre
ov’io conobbi amore.
Se fosse il Paradiso, mio Signore,
qui, si risparmierebbero anche spazi,
anche misteri  o trasferimenti
o firmamenti e resterebbe tutto
casereccio sotto un abete o un leccio
o al fuoco del proprio caminetto.
Te lo immagini, Signore, soltanto anime fatue
tra gli aghi di pinete e tra l’odore
di gocciole di ragia della terra
mediterranea  che ti stringe l’anima?

Ti basterebbe poco:
Tu tieni ogni potere,
mio Signore!,
basterebbe tu fossi il creatore
di solo bene
e togliere di mezzo pene,
affanni, peccati e peccatori.
Sparirebbero dannati e  qui tra noi
dominerebbe aperto il Paradiso
col viso blu profondo ed il suo altare
di giada verde come il nostro mare".


(Da Nazario Pardini: Si aggirava nei boschi una fanciulla. ETS. Pisa. 2000)

6 commenti:

  1. Nel paesaggio suggestivo ed epico di una Calabria tra monti color cenere e mare gorgogliante e colorato, tra profumi di lauro, corbezzolo e ginepro nella sera invernale e surreale di luci e sapori la voce di una sussurrata preghiera chiaramente si innalza- da “una gran fila/ di persone incappucciate coi ceri/nelle mani, andavano isolate/in lenta processione.”- Una preghiera dolente.
    “Noi siamo i discendenti di Gioacchino/
    da Fiore.”
    Gioacchino, di cui Dante scriveva nel XII° del Paradiso: “… il calavrese abate Giovacchino
    di spirito profetico dotato” che mise a frutto i suoi talenti con la predicazione profetica, e che smise di lavorare per il re normanno per servire Dio, il Re dei Re.
    “Se il Paradiso fosse in terra,/ mio Signore,…”
    senza la guerra, l’odio e il patimento,/
    qui tra le povere cose,/
    tra l’erbe fresche delle mie radure/
    o in mezzo alle pianure o sopra i colli,/
    tra i papaveri, le spighe e le ginestre/
    ov’io conobbi amore.”
    Canto misurato, incalzante, forte e consapevole, costruito con maestria, carico di sentimento e di nostalgia, che denuncia la nostra lontananza dall’ideale. Riflessioni su desideri antichi, mai realizzati nella storia dell’umanità, carichi di immagini forti, ricchi di pathos, che evocano in modo sapiente e suggestivo stati d'animo, paesaggi e momenti anche di vita personale, intima, cantati insieme a temi storici di tragedie sociali con grande vibrante sensibilità e forza evocativa.
    “ Se fosse il Paradiso, mio Signore,/qui, si risparmierebbero anche spazi,/anche misteri o trasferimenti/ o firmamenti e resterebbe tutto/
    casereccio sotto un abete o un leccio/
    o al fuoco del proprio caminetto”
    Il grande sogno utopico: il Paradiso in terra, una vita vissuta in un clima di purezza e libertà in clima tollerante, libero ed ecumenico…
    L’anafora che strutturalmente regge ed amplifica il canto di preghiera rende la voce poetante universale, così come la scelta privilegiata dell’enjambement scandisce e sottolinea concettualmente il messaggio di giustizia e pace dei ritrovati Giochimiti…che sanno estendere la storia e dilatare il tempo alla ricerca dell’Amore universale.
    Grazie per questo canto “natalizio”.

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  2. Ecco un altro dono prezioso del Professor Pardini.Uno smeraldo dalle molte sfaccettature, tutte perfette e luminose.
    Un magico gioiello, capace di dare un senso speciale ad un giorno trascorso in casa.
    Grazie!
    Serenella Menichetti.

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  3. Carissimo Nazario,
    il tuo splendido canto/preghiera ha suscitato in me vibrazioni profonde, la Calabria mia terra lontana che mai dimentico e dimenticherò. Dopo l'intenso e acuto commento della Ferraris, con la quale mi complimento, penso che ogni parola sia vana, se non dirti nuovamente che ammiro la molteplicità delle tue emozioni che siano interiori o rivolte al mondo che ti circonda che tu descrivi attraverso sapienti immagini e visioni. Grazie per averci fatti partecipi del tuo sentire. Un caro e affettuoso abbraccio.
    Emma Mazzuca

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  4. Il poeta autentico ti fa ridere nel pianto e ti fa piangere nel riso. Ti fa brillare il Bianco mentre dipinge il Nero, e viceversa, perché il suo canto è aggrappato al Tutto, all'Assoluto. Si dice a sproposito, di Leopardi, che sia stato un nemico acerrimo della Natura. Chi non ha bende sugli occhi, al contrario, non può fare a meno di piangere (un pianto dirompente e catartico) sull'immenso amore che il Recanatese rivela per il Creato. Allo stesso modo Nazario, che qui lamenta l'assenza del Cielo sulla Terra, non fa che rilevarne la presenza "tra l'erbe fresche delle mie radure / o in mezzo alle pianure o sopra i colli, / tra i papaveri, le spighe e le ginestre / ov'io conobbi amore". Il Paradiso è qui, proprio qui, sulla Terra, tra quelle "povere cose" che gli umani misconosciamo, preferendo "la guerra, l'odio e il patimento" e rinnegando la loro più vera natura di "anime fatue". Basterebbe comprendere che il Male occorre a far risaltare il Bene, anziché a ricusarlo, come di norma facciamo. Ed è proprio questo che mirabilmente, per contrasto, affiora nel canto struggente di Pardini.
    Franco Campegiani

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    1. Errata corrige: "gli umani misconoscono", anziché "misconosciamo".
      Franco Campegiani

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  5. Mi commuove questo canto dolce e tormentato che Nazario Pardini ci propone come riflessione/preghiera in prossimità del Natale. Come afferma Franco Campegiani, in questi preziosi versi il poeta non fa che riconoscere la presenza del Cielo sulla Terra. La riconosce nella bellezza della natura e nei luoghi cari all’anima che ha conosciuto l’amore e anche là, dove è ancora “…tutto/ casereccio sotto un abete o un leccio/ o al fuoco del proprio caminetto.”.
    Erroneamente chi considera la preghiera essenzialmente una richiesta, vorrebbe che il Signore “creatore di solo bene”, togliesse “di mezzo pene, / affanni, peccati e peccatori” mentre sarebbe meglio pensare che il Bene si trova dove c’è un uomo a volerlo, perché è proprio l’uomo a generarlo. Come di contro, è l’uomo che genera il Male, che del bene è la frantumazione. E allora il paradiso c’è ed è qui senza bisogno di “trasferimenti o firmamenti” (mi piace, mi piace molto questa immagine!), ogni volta che l’uomo in pace con se stesso, sa placare l’affanno e il tormento e raggiunge la profonda liberazione:
    ”… e qui tra noi/ dominerebbe aperto il Paradiso/ col viso blu profondo ed il suo altare/ di giada verde come il nostro mare.”
    Incantevoli endecasillabi nella chiusa di speranza.
    Annalisa Rodeghiero

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