mercoledì 8 marzo 2017

CARLA BARONI LEGGE: "FINO ALLA FINE" SILLOGE DI M. ADELAIDE PETRILLO


Carla Baroni,
collaboratrice di Lèucade

Perfettamente in linea con la giornata della donna questa piccola raccolta di poesie di Maria Adelaide Petrillo. È una scrittura al femminile ma dal piglio forte, senza sdolcinature quasi che il tempo avesse sublimato, portandoli a una dimensione superiore, gli accadimenti dolorosi che vi sono raccontati. Prima un padre che forse ha abbandonato la famiglia “il male che ci hai fatto” generando ulteriori assenze di affetti da parte della madre chiusa nelle sue angosce tanto che “la gioia dell'infanzia, mio diritto/mi fu negata senza alcun ritorno”. E poi altre infelicità, altri lutti. L'autrice si svela con molto pudore e, non conoscendola, è difficile capire quanto di autobiografico ci sia in questa silloge: il poeta è uno scrittore come un altro e spesso inventa, altrimenti non avremmo avuto la “Divina Commedia” o l'”Orlando furioso”. Comunque la storia che ne esce è di una donna coraggiosa che non si piange addosso malgrado le difficoltà. Sarà il lettore a squarciare, secondo il proprio sentire, gli eventuali veli frapposti fra lui e la poetessa.
Tessuto prosodico di estrema melodiosità nei primi componimenti che si stempera in accenti talora più aspri negli ultimi quasi a sottolineare una diversa condizione di vita.

 Carla Baroni




Il mio perdono

Dovrei odiarti e chiudere la porta,
dimenticarti senza alcun rimpianto,
eppure sei mio padre, della mia ferita
l’unguento e l’olio profumato che lenisce.
Ti stringo a me, così come sei ora
un mucchietto di ossa,
un essere indifeso  ed innocente
con un sorriso che non sa più niente
che non ricorda il male che ci ha fatto.
Ora tendi la mano ed io la stringo
e ti copro di baci.
Il mio perdono è tutto  in questo abbraccio
in questa stretta tenera che annienta
il fiele velenoso del ricordo.



Milly lisci capelli di lino 

Milly ha lisci capelli di lino
e guance di rosso corallo
danza sul  palco di nuvole rosa
snella e flessuosa
come un giovane giunco.
Milly ride gioiosa e alla vita
apre le piccole mani giocose.
Vorrei riempirle di stelle,
di vaporose nuvole e corolle.
Io  me la stringo al cuore,
 vorrei trattenerla nell’abbraccio,
ma lei sa liberarsi prontamente
in un leggiadro volo di farfalla.
Se la scopro col libro tra le mani
assorta in piacevole lettura,
cerco una nota che mi rassomigli
e possa in lei far vivere emozioni
che la mia stessa vita hanno nutrito.
Nella mia piccina mi trasfondo
e intreccio fili sottili di speranze
con un pallido sogno inesaudito.



Io sono Davide

Vorrei correre sui prati a primavera,
 tuffarmi nell’azzurro, pettinarmi
i capelli e carezzarti il viso,
esplorare il mio corpo quando voglio,
formare un numero con svelte dita
sopra il cellulare per parlare con te,
dedicarti una musica soave
 con le note struggenti di un violino.
 Vorrei … ma altri mi vestono,
altri mi portano dove io non so.
Ho desidèri dentro me sopiti,
nascosti in un sorriso
che di me non sa dire.
Le mie mani disegnano nell’ aria
 sottili ragnatele di parole,
le mie gambe sono ruote d’acciaio …
Ma ho grandi ali d’albatro in volo
e canto gridi d’amore lassù
dove l’aria sostiene i pensieri,
 i sogni e il peso leggero del cuore
che salta, che corre, che danza … io posso volare.
  

Fino alla fine

Ti somigliava tanto quel ritratto
che conservo, prezioso come una reliquia.
Affacciata al balcone in mezzo ai fiori
palpitanti in un respiro d’anima
col tuo sorriso amaro che celava
una segreta pena, mentre
salivi al Golgota, senza il Cireneo,
sulla via dolorosa.
Io la subivo come una condanna,
ribelle ai legami troppo stretti,
quella tua malattia senza speranza
e non capivo, perché i miei vent’anni
avevano orizzonti troppo vasti
e sogni da svezzare. Le tue grida
laceravano l’aria, un vaso di creta
le tue ossa, ma io mi sentivo crocifissa
nell’egoismo smisurato della giovinezza.
Sulle pareti bianche vedevi arrampicarsi
scarafaggi, quando tra sonno e veglia
mi chiamavi a scacciarli. Fuori il giardino
d’erba secca attendeva la pioggia riposante,
io la tua morte, lenta ad arrivare.
Poi fu lo scroscio e il vento di uragano
a liberarci insieme. Tu disfatta
nel letto del dolore, io inquieta
ed ignara che la vita ci trascina
in un vortice perverso,
di dolore in dolore, di notte in notte,
di segreto in segreto, così, fino alla fine.



Era tutta di pietra

Era tutta di pietra la casa
che si incontrava entrando in paese,
dall’angusta finestra donava
scampoli azzurri di cielo.
Lassù giocavo a fare la mamma
con bambole di rosea porcellana
così un poco scordavo l’ombra densa
che incupiva i miei giorni e nella notte
soffocava il respiro al mio domani.
Passava la mia infanzia dolorosa,
sgranata coi misteri del rosario.
Mia madre viveva prigioniera
di inganni e solitudini segrete.
A tavola un silenzio greve
toglieva sapore al nostro pasto.
Quando trovavo il coraggio di levare
il mio sguardo ignaro di bambina,
vedevo il suo, fisso su quel dolore,
di cui non capivo  l’agonia.
Se le sue mani erano avare
di carezze, mi sentivo colpevole
e amarezza ed una stretta al cuore
erano mie compagne quotidiane.
Il male oscuro me la portò via
nei giorni piovosi dell’autunno.
Presto tutto  fu chiaro, quando la donna
dai freddi occhi verdi
varcò la soglia della casa vuota
e fu uno schianto qui dentro al mio petto.
Muto dolore  serra la mia gola
quando mi torna in mente.
La gioia dell’infanzia,  mio diritto,
mi fu negata senza alcun ritorno.


  
Te ne  sei andato all’imbrunire (a mio padre)


Te ne sei andato all’imbrunire
quando il sole spariva  tra i coppi
intrisi di rosso magenta
e si piegavano in macabra danza
 i pioppi  alla cieca furia del torrente.
Il tuo tramonto e il mio, intrecciate le mani 
nell’ultima stretta dell’addio.
E questo peso qui sopra il mio cuore
ha l’amaro rimpianto di parole,
 di rancori sopiti, di ferite  dal tempo mai sanate,
di un disperato bisogno d’amore. Ricordi?
Dietro la piccola casa il vecchio  castagno
apriva le braccia nel pallore delle notti di luna
e io tessevo i miei poveri sogni
indossando impalpabili veli da sposa.
Il dolore del distacco anche allora
soffocava  il respiro alla  speranza.
Oggi ho ascoltato per te la romanza
che amavi e vibrano le note d’infinito.
Ma  quale melodia ascolti ora
nell’eterna armonia del firmamento?
Il vuoto dell’assenza sento dentro,
 so che non potrà nessuno consolarla.



Ora mi porto sulle spalle il peso


 Odioso amato paese ti ricordo
nel rigore di inverni adamantini.
Mucchi di neve fino alla finestra
mia madre ci chiamava e noi,
incuranti del gelo, giocavamo
nel candore innocente dell’infanzia
ignare del dolore
che ci avrebbe ghermito di lì a poco.
Le dita del tempo arpeggiano
memorie in dissolvenza …
Dove sei ora, sorella amata,
strappata a me nei giorni del silenzio.
Ora mi porto sulle spalle il peso dei ricordi
e non so più dove finisce il sogno,
dove comincia ciò che fu davvero.
 Ci bastava una stretta ed un abbraccio
rubato sulla soglia dell’inferno.
Dimentica di tutto te ne andasti
la notte del perdono
come pendolo inerte oscillavi
sospesa tra  terra ed infinito.



Ricordando un paese di Maremma
  
Il mio paese stava arrampicato
sulla verde collina del vento
che  arruffava giocoso
le chiome rigogliose dei castagni.
Lassù si apriva allo sguardo trasognato
 la terra selvaggia di Maremma
e nei giorni di quiete si stendeva
sereno e sonnolento
lo specchio del mare adamantino
con le spiagge assolate a Bocca d’Arno,
là dove navigava il mio poeta
intrecciando versi d’amore alla sua Musa.
Ammiravo l’azzurra distesa, assorta e sola,
dal minuscolo camposanto del paese,
seduta in mezzo ai fiori delle tombe.
Le case tutte uguali, vestite di marrone
addossate l’una all’altra in processione
salivano alla chiesa dal campanile mozzo.
 La campana l’aveva liquefatta in una notte
maledetta  un fulmine blasfemo ed assassino.
Il mio paese, terra di malinconia
dove crescevo  inquieta e inappagata
spettatrice ignara e disarmata
della nostra tragedia familiare. 
Eppure oggi la rimpiango ancora
quella terra da cui qua e là spuntava
un pennacchio di fumo impertinente
e odor di zolfo soffocava il respiro.
Oggi che tutti se ne sono andati,
oggi che il tempo ha tessuto la sua tela,
posso solo percorrere a ritroso
la mia vita che va verso il tramonto.
Là, nei suoi impenetrabili silenzi,
 mi cresceva in seno voglia  di vita e d’alba chiara.



Saltando lungo i fossi

Saltando lungo i fossi si arrivava 
alla peschiera bruna. Il cielo capovolto
si specchiava maestoso in superficie.
Zampillava tra i sassi la fonte chiara. 
La culla delle nostre tenerezze
era celata all’ombra del castagno 
odoroso di foglie fresche e muschio
che nel suo ventre cavo
ospitava il nido della cinciallegra
e i rami si piegavano complici
a nascondere i segreti innocenti
del primo, giovane amore.
Ci carezzavano sussurri di vento.
Su di noi, inebriati  dalla fragranza
dei ciclamini in fiore, perduti
nell’abbraccio tenero di un sogno,
fili di speranza danzavano
intrecciando impalpabili veli
e sottili trine di illusioni.



E se la gioia non ha più grandi ali


Un velo opaco è sceso sul mio sguardo
e scrosci d’acqua sento negli orecchi
solchi profondi intorno agli occhi muti
ossa crocchianti come foglie secche.
Con fatica raccolgo i miei pensieri
e se la gioia non ha più grandi ali,
non spicca il volo verso cieli immensi,
misurata e parca mi incammino
a passo lento trattenendo il fiato,
 so immergermi in mari di dolcezza
e godere dell’attimo ormai spento.



All’orizzonte morbide colline

All’orizzonte morbide colline
che digradano in verdi riposanti
e racchiudono il letto del torrente
ora impetuoso e rude,
ora riarso e sonnolento.
File di pioppi tendevano le braccia
cangianti verso un cielo azzurro
di promesse. Nel suo fluire argenteo
e trasparente, scendevo camminando
in bilico sui sassi scivolosi,
contro la corrente. Tra le sue pietre
ho voluto i miei figli, dalla spirito
che aleggiava sulle acque li ho impetrati.
Nella spiaggetta dai ciottoli bianchi, giocavano
con un barattolo di latta, pescando  avannotti
trasparenti e panciuti girini
mentre la vita scorreva  serena
come l’acqua sul greto del torrente.
Nel  suo perenne viaggio il fiume
mi ha raccolto e nel grembo accogliente
ha scandito tutta la mia vita.


Maria Adelaide Petrillo

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