Marco
Onofrio. La nostalgia dell’infinito.
Edizioni Ensemble. Roma. 2016. Pg. 176. € 15,00
Marco
Onofrio La nostalgia dell’infinito.
Un excursus tormentato e ondulatorio per forma e contenuto; per intenzioni e
azzardi mai appagati verso estensioni liberatorie. In questo processo evolutivo
la crestomazia è impostata più su tematiche che su ordine cronologico; e
Onofrio dimostra quanto la poesia non sia solo e soltanto frutto di memoriali, saudade
o di melanconiche suggestioni panoramiche, quanto di trasposizione di concetti
in glottologiche forzature tese a raggiungere traguardi di difficile approdo
per la ristrettezza delle possibilità umane. E’ da queste ristrettezze, da
queste migragne esistenziali, da questa
posizione calcolata per misure terrene, che il Poeta vorrebbe fuggire
attraverso un iter umano, troppo umano per toccare il luminoso blu dell’infinito.
Cosa non concessa ad un essere che vive e respira aria tremolante e sapida di
futilità, di insicurezze, di fragilità, cosciente del fatto di esistere nello spazio ristretto di un soggiorno. Semmai
tutto questo serve a stimolare verso orizzonti che vadano al di là della siepe,
al di là della semplice scia di un faro
marino. Dacché la verità sta oltre, in tutto quel vuoto che sommerge il mare.
Questa è la ricerca attenta e scrupolosa dello Scrittore per agguantare la coda
dell’infinito; e lo fa forzando i lemmi della sua grammatica poetica e
investendo sulla potenza della sua storia; un investimento che gli produce un
reddito di plurale valenza estetica ed etica, di polisemica significanza umana,
filosofica, linguistica, innovatrice. Il libro si apre con un ampio panorama prodromico
a firma del Nostro; una dissertazione critica di rilevanza storico-letteraria,
e suggestiva incisione. Si prendono in esame tutte le opere poetiche, i loro
contenuti, e soprattutto i vari momenti in cui nascono e il valore estetico-cognitivo di ciascuna di
esse. Una indispensabile apertura al percorso totale e totaleggiante di questa scrittura
poematica. Agli inizi una lirica emblematica che tocca l’argomento focale dell’opera;
il leit motiv che dà compattezza e organicità al discorso epigrammatico ed azzurro
del Poeta:
(…)
Ascolta la voce del cielo, è
lì.
Ci chiama – lassù. Ci ama.
Lo sfolgorante blu sopra le
nuvole
Irradia la presenza. Musica .
Come un grande sì
(da “ Ai bordi di un quadro
sena lati”, 2013)
Cielo,
lì, lassù, sfolgorante blu, nuvole, musica. Tanti simboli che connotano il
travaglio meditativo di un’anima che da lì mira a lassù, allo sfolgorante blu, ad
oltrepassare le nuvole che rappresentano gli impedimenti all’ascesa. E musica, tanta
musica; tanti giochi di euritmica sonorità, di invenzioni stilistiche: arma focale
della poesia, senza cui non è possibile alcuna forma artistica; musica dentro e
musica fuori; musica nelle piccole cose e musica nelle eccelse; lo diceva Platone: la musica è
essenziale per l’ascesa dell’anima. E Baudelaire: il poeta possiede il sesto
senso con cui riesce a intuire quella musicalità che unisce tutte le cose del
mondo. Allo sguardo di un comune mortale queste appaiono frammentate e divise
in tante parvenze. Fare poesia significa godere di questa musicalità; di questa
eccelsa vibrazione che ingloba. Quindi
il cielo è lì, quello delle piccole cose, ma è soprattutto lassù. Ci ama e ci
aspetta. Tutto con valore umano, ascensionale, epifanico più che escatologico o
mistico. Per giungere attraverso un percorso vario, di ricerca, di pensiero poetico,
ad un Addio (inedito) che segna la
fine di una storia che per abbracciare
il mondo perde la vita. Quasi un
naufragio leopardiano, una contemplazione in cui si smarrisce la nostra fragile
identità:
(…)
L’occhio fulvo degli astri.
Il caos oltre le parole.
L’errore sterminato senza
senso
il silenzio immenso.
Perdo la mia vita
per abbracciare il mondo
e dico addio.
(inedita, 2015)
E’
caos oltre la parola; oltre il sintagma, che, semplice invenzione umana, stenta
a pervenire al tutto.
Dal
testo
Sempre cade
L’immagine così
come un airone
scoppiato il cuore in volo
guardando dall’alto,
già luce
dalla soglia del confine
piombare a peso morto ancora
caldo il suo cencio di penne
arruffate dai vènti,
che grida il nome segreto
prima e ultima parola
e poi tace per sempre
nell’azzurro indicibile del
cielo.
(da “Squarci di cielo”, 2002)
Una
ricerca affannata di luce e di azzurro, di armoniche intrusioni, che trovano
armonia, stupore, meraviglia in ciò che rimane indicibile; in un endecasillabo
che traduce, con la sua vibrante musicalità, la pluralità misteriosa del cielo.
Il
centro
In centro irraggiungibile del
mondo
è dove, volta a volta, tu non
sei;
tu che ti credi il centro del
mondo
e invece sei un relitto in
mezzo al mare
di un infinito eterno senza
centro…
In tutto questo vuoto
si compare.
(inedita, 2016)
Quasi
un ossimorico gioco fra la melodia del canto e la coscienza di un vuoto, di un
relitto, di un nulla in “un infinito eterno senza centro…”.
Nazario
Pardini
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