UNA
QUESTIONE LINGUISTICA
COME INDICARE UNA DONNA CHE SCRIVE
POESIE?
IL POETA, LA POETA OPPURE LA POETESSA?
di Pasquale Balestriere
Premessa
Pasquale Balestriere, collaboratore di Lèucade |
Vorrei ricordare a me stesso, prima
ancora che agli altri, che ogni tipo di comunicazione, anche non scritta, richiede
- per assolvere il suo compito- l’esistenza di un canone, di un complesso di
norme e regole da rispettare, identiche per il mittente e per il destinatario;
e, in particolare, il codice-lingua, tra le doti di quella che una volta si
chiamava elocuzione (elŏquor, parlo
bene), annovera (e pretende) chiarezza e proprietà. Questo perché il linguaggio
è stato creato per capirsi. Senza equivoci, possibilmente. Altrimenti è Babele,
in barba a tutti coloro -scrittori, glottologi, grammatici- che si sforzano di perseguire e stabilire un
percorso linguistico chiaro, comune, con le necessarie linee di
demarcazione. E invece, nonostante
l’esistenza di un codice-lingua, ci sono sempre state persone che, per i motivi
più diversi, hanno cercato la trasgressione (e meno male -per loro- che i
delitti linguistici passano quasi sempre impuniti) . Oggi a tale spesso spocchiosa pratica si
giunge con maggiore facilità in nome di una (pseudo)libertà di scrittura
frequentemente millantata da chi a una seria riflessione sulla lingua
probabilmente non ha dedicato nemmeno gli spiccioli del proprio tempo; sicché,
nell’uso -scritto o anche orale- di tale
strumento comunicativo capitano fin troppo spesso incomprensioni,
fraintendimenti e travisamenti vari, benché comunemente si usi un linguaggio
semplificato e standardizzato su un registro medio-basso, con corrispondenti
scelte lessico-sintattiche. Perciò - è chiaro- nell’uso del codice-lingua ognuno, realmente, prima ancora che come vuole,
si comporta come può e sa.
La
questione
La premessa è parte integrante della
questione linguistica che sto per esporre.
Tempo fa mi sono imbattuto in un ben fatto articolo,
pubblicato su un blog, che buttava il
sasso nello stagno a proposito del termine da usare per indicare una donna che scrive poesie: il
poeta, la poeta, la poetessa? L’autrice, Giuliana Lucchini, difendeva,
con opportune motivazioni, l’uso corretto della forma “poetessa”, parola che risale ad epoca anteriore al 1333 e
che da allora ha avuto vita lunga e serena nell’orticello delle patrie lettere
e della lingua che le regge e le connota. Fino a quando, alla fine degli anni
Ottanta, “la poetessa” viene messa in discussione nell’opera “Il sessismo nella lingua italiana”, curata da
Alma Sabatini (che si avvalse dell’opera di tre collaboratrici ) e promossa
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Commissione per le Pari
Opportunità. In questo volume si cerca di ristabilire -giustamente- una parità
anche linguistica tra il genere maschile e quello femminile, supplendo alla
mancanza di vari termini femminili nella lingua italiana e modificandone
altri. Premetto di essere d’accordo su
molte proposte della Sabatini, e quindi per me è giusto scrivere, per esempio,
“la deputata, l’avvocata, la preside, l’ingegnera, la giudice, la notaia, la
presidente, la ministra, la pretora,”
ecc., adeguando la lingua, laddove deficitaria, alle esigenze odierne; su altre
ho qualche dubbio o senso di ripulsa, come si vedrà in seguito.
Dissento però, in modo profondo e radicale, su “la poeta” e difendo a spada tratta
“poetessa”, e non solo per la sua bella
e lunga storia, ma anche perché non c’è davvero alcun motivo per sostituirla.
Dico innanzitutto, per sgomberare il campo da possibili equivoci, che il termine “poeta” è maschile e registrato come tale da dizionari e vocabolari e che espressioni come “il poeta Vittoria Colonna”, “il poeta Grazia Deledda”, “il poeta Amelia Rosselli”, “il poeta Alda Merini”, che pure in qualche modo sono in circolazione, risultano del tutto ridicole, grammaticalmente sbagliate, linguisticamente e semanticamente equivoche e non meritano un briciolo di attenzione. Vanno semplicemente evitate.
Dico innanzitutto, per sgomberare il campo da possibili equivoci, che il termine “poeta” è maschile e registrato come tale da dizionari e vocabolari e che espressioni come “il poeta Vittoria Colonna”, “il poeta Grazia Deledda”, “il poeta Amelia Rosselli”, “il poeta Alda Merini”, che pure in qualche modo sono in circolazione, risultano del tutto ridicole, grammaticalmente sbagliate, linguisticamente e semanticamente equivoche e non meritano un briciolo di attenzione. Vanno semplicemente evitate.
E passiamo oltre, affrontando in modo preciso e corretto
il problema. Sostiene dunque la Sabatini, che il “latino ‘poeta, -ae’ è di genere maschile,
ma della prima declinazione, cui appartengono i nomi femminili”. Rispondo: e
che vuol dire? Maschile è, e maschile rimane; anche perché in latino, per il
femminile, c’è “poetria, -ae” che i latini derivarono dal greco ποιήτρια,-ας . Ma la studiosa prosegue: “Anche il plurale
maschile “poetae” è foneticamente legato al genere femminile. Obietto ancora: e
che vuol dire? In latino anche “cerasus”( il ciliegio) o “populus” (il pioppo),
giusto per buttar là un paio di esempi, sono foneticamente legati al genere
maschile, ma sono nomi femminili a tutti gli effetti. E dunque? Dopo queste premesse di natura fonetica malamente
argomentate e facilmente confutabili, si passa tout court ai suggerimenti: “Si
suggerisce quindi di usare ‘poeta’ anche per la donna , che non la diminuisce
come il suffisso ‘-essa’ e (…) che, inoltre, ricalca foneticamente la
maggioranza dei nomi femminili”. Eliminata automaticamente, per quanto già da
me detto, la ‘motivazione fonetica’, resta il vero motivo per il quale si vuole
cancellare il termine ‘poetessa’ per sostituirlo con l’insulso, ingiustificato
e inutile ‘la poeta’. Eccolo: una sospettata ‘deminutio’, un senso ironico o
sarcastico, una connotazione negativa di cui la parola ‘poetessa’ sarebbe
portatrice. Ma -ci si chiede increduli- chi ha stabilito ciò e in base a quale
riscontro oggettivo? Con quale misuratore (che non sia il gusto o la percezione
personale)? E poi di tale negatività ci si accorge solo oggi, dopo settecento
anni? Ci voleva la Sabatini con le sue tre collaboratrici per scoprire
‘deminutio’, ironie o negatività che per tanti secoli nessuno, nemmeno i
grammatici e i linguisti, avevano mai notate nella parola “poetessa”?
La verità è che nella lingua italiana il sostantivo
‘poetessa’- oggi soprattutto, e proprio come ‘professoressa’, ‘dottoressa’,
“studentessa” di più recente conio- non ha alcuna connotazione spregiativa, ma esclusivamente
il significato suo proprio. Naturale, reale, positivo. E come mai poi la
Sabatini non vede ironia o “carica
negativa” nei tre ultimi appellativi citati? Per i quali, a onor del vero, pure
propone soluzioni: al posto di “ studentessa” consiglia “la studente”, trovandomi sostanzialmente
d’accordo; invece di “professoressa” suggerisce una spagnoleggiante
“professora” ( qui comincio a sorridere), in luogo di “dottoressa” raccomanda
“dottrice” ( e qui mi viene da ridere). In ogni caso la gratuità, e forse addirittura la pretestuosità, di certe soluzioni proposte dal gruppo
di lavoro della Sabatini (che -sia detto per inciso- non è affatto il Vangelo) appare lampante ed è ben percepita dal sentire
comune dei parlanti che rifiuta tali
soluzioni. Per cui fortunatamente oggi
nessuno si sogna di dire “la professora” o “la dottrice”. Anche “la poeta” non
ha sfondato, trovandosi il suo impiego limitato a una minoranza di persone che
lo prediligono per i motivi più disparati (gusto personale, ribellismo, femminismo, ignoranza delle norme elementari
della grammatica, ecc.) e talvolta ridicoli (nuovismo, presunzione,
protagonismo, esibito libertarismo verbale, vezzo, saccenteria, ecc.) mai però suffragato da sostanziali (e sostanziose)
motivazioni linguistico-glottologiche. Perché l’Italia, come si sa, è da qualche tempo il paese delle mode. E
qualche volta agli italiani piace gigioneggiare; meno, studiare.
Resta che in questa vicenda, quelle che potrebbero
sembrare posizioni d’avanguardia sono in
realtà semplici battaglie di retroguardia. Perciò “POETESSA” -sempre e senza alcun dubbio- per indicare
la donna che scriva poesia.
E ora un dato di effettiva “parità” linguistica:
“poeta”, al maschile, e “poetessa”, al femminile, possono essere (e sono) entrambi usati talvolta con una carica ironica, che però non
risiede in un aspetto lessicale o morfologico ma nell’intonazione che si dà alla
parola; e che si riferisce -almeno nelle
intenzioni dell’ironizzante - non allo
status di poeta o di poetessa in generale, ma alle scadenti qualità creative di
poetini e poetucoli (con i loro rispettivi femminili).
Conclusione
Ho cercato di dimostrare che una parola
con settecento anni di storia non merita di essere giubilata così
superficialmente e velleitariamente, senza una vera necessità, a causa di percezioni soggettive e tutte da dimostrare o,
magari, per semplice gusto personale. E che, per capirsi, la lingua e le sue regole vanno rispettate. Fino
in fondo. Fino a prova contraria. Fermo restando che poi alla fine è sempre
l’uso ad avere l’ultima parola.
Tanto,
per dovere di testimonianza.
Pasquale Balestriere
La questioni della lingua è uno dei temi più trattati della letteratura. Fin da Dante nel De vulgari eloquentia la questione del latino e del volgare occupa un posto preminente nella disputa linguistica del tempo, e con la Scuola Siciliana il volgare si merita di elevarsi al ruolo scritto. Da Giorgio Trissino al Bembo (Prose della vulgar lingua); dall’Umanesimo al Macchiavelli (Discorso intorno alla nostra lingua) il ferro è rimasto sempre incandescente; ma il dibattito non si limita solo al XVI secolo, dura fino al novecento. E soprattutto con l’unità dell’Italia il problema si fa più concreto perché si tratta di unificare un paese non solo a livello politico, ma a livello culturale e linguistico: per questo vengono chiamati in ballo Graziadio Isaia Ascoli e il filosofo Benedetto Croce. Di sicuro la lingua è mobile, mutabile, variabile; deve farsi sempre attuale, tenendo il passo con la storia degli uomini; con le loro tradizioni, scoperte, invenzioni: nuovi usi lessicali, nuovi nomi, nuovi appellativi, verbi…; senza contare i tanti altri arrivi di derivazione straniera che potrebbero avere benissimo equivalenti nostrani. Due posizioni hanno sempre contraddistinto l’evolversi della vicenda linguistica: quella dei conservatori e quelle dei novatori. Ma è anche vero che la lingua è una fanciulla piena di grazia e di armonie; zeppa di rimembranze storiche di cui tener di conto. Non è certamente, secondo me, ammesso violentarla con tagli o aggiunte scriteriati. Ultimamente, sempre secondo il mio parere, sono state tolte dalla circolazione, non so da quale padreterno, parole che hanno tuttora la loro dignità, il loro uso, la loro valenza linguistica; come dicotomico, che io spesso adopero e a cui sono particolarmente affezionato (tra l’altro un mio testo porta il titolo “Dicotomie”), e tante altre considerate desueste: abbacinare, algido, alterco, ancillare, astrùso, atavico, disamina, duttile, favellare, pleonastico, sacripante, vetusto,… Al contrario si leggono strafalcioni commessi da lettori televisivi o giornalisti vari che ritengo vere devastazioni grammaticali. Il mio maestro mi segnava blu quando confondevo gli con loro. Ora non esiste più differenza (ho degli amici e spesso gli dico…) non è corretto (spesso dico loro). E si confonde spesso anche gli con le nelle varie testate (le parlo, gli parlo); per non dire della concordanza del participio con l’accusativo che precede il verbo (i ragazzi che ho visti e non che ho visto); o delle interruzioni del periodo in maniera a dir poco personale (ho letto pagine interessanti. Le quali mi hanno veramente commosso…); come si può scrivere una cosa del genere; e anacoluti, mancato uso del punto e virgola, periodi senza capo né coda; stupri morfosintattici, per non dire di condizionali e congiuntivi. Ciò non significa attualizzare la nostra lingua, ma devastarla con il solo piacere di renderla invalida. Perché non si educa a scrivere in italiano corretto invece di stare a tormentare il nostro idioma con veri soprusi? Come quello di depredarlo di mani e braccia a favore di anglicanismi che con la nostra storia hanno poco a vedere. Io ho sempre usato poeta e poetessa in maniera distinta, senza fare tutto di un’erba un fascio; senza mancare di rispetto a nulla e a nessuno. Maschile e femminile, come la grammatica vuole. E non mi sta bene chiamare una scrittrice poeta; mi sembra di prenderla per i fondelli. Quindi è vero che la lingua va dietro alla società ed è un segnale culturale fattivo dei tempi; ma è anche vero che ogni lingua ha il suo passato, fatto di tanti piccoli o grandi momenti lessicali, ognuno indicante una fase del rapporto col mondo e con altre civiltà; e non è giusto tradirla con aggiunte immotivate di cui spesso si può fare a meno; come non è giusto cambiarne i connotati per stare dietro alle mode del tempo. Quindi poeta per i maschietti e poetesse per le femminucce, e sarà così finché non mi toglieranno la patente di quasiscrittore.
RispondiEliminadopo la lunga disquisizione dell'amico Balestriere , e la lunga illuminazione dell'amico Nazario , io dico soltanto una cosa : la parola "poetessa" è molto bella , e dopo tutto è anche musicalmente orecchiabile .
RispondiEliminaAntonio Spagnuolo - http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com
Carissimo Antonio, sono d'accordo con te, bisognerebbe dirlo a chi va insegnando il contrario.
EliminaConcordo in tutto con i professori Balestriere e Pardini, che con le loro dotte argomentazioni dovrebbero richiamarci all'ordine e metterci in riga. In verità anche io sono stato spesso al gioco e ho usato la poeta... Sì, l'ho detto, l'ho scritto, ma per essere in contesto alla moda al passo. In verità sempre con un pizzico di rimorso per avere detto o scritto qualcosa che non suonava e non suona bene al mio orecchio.
RispondiEliminaTanto più oggi, all'indomani della serata finale del Premio Pagliarani, che ha decretato come vincitrice colei la quale osa definirsi "poetrice", penso che sia giunto il momento di riconoscere che non solo la frutta ma anche il dolce è stato servito, e allora non ci resta che tornare nei ranghi e dire a piena voce e a scrivere in bella mostra la poetessa.
Grazie e cari saluti
Maurizio Soldini
Anche io concordo con chi mi ha preceduto.
RispondiEliminaI motivi che mi trovano in disaccordo con l’uso della parola poeta sono più di uno:
1) Ritengo che “Poetessa” sia una parola classica accreditata da secoli e secoli di uso letterario e, certamente anche solo per questa sua classicità e autorevolezza del tutto adeguata, sensata, e in fondo preferibile ad ogni neologismo. Sinceramente non riesco a capire la necessità dell’uso di poeta come invariabile.
2) Il mio orecchio si ribella e mi suggerisce di optare per il suono del termine poetessa invece che quello di poeta.
3) La mia parte affettiva si lamenta perché fa una fatica immane a sganciarsi da un termine che ama appassionatamente.
4)Da grande vorrei fare la poetessa.
Serenella Menichetti.
Caro Nazario ecco il mio pensiero sulla questione '"poeta".
RispondiEliminaNon ho fatto ricerche, approfondimenti, studi, ti dico quello che soprattutto penso della lingua. La lingua parlata, scritta deve avere una certa eleganza, una fonica gradevole (meravigliosi alcuni dialetti), un impatto naturale (forzato "la poeta"), una forte espressività , anche emotiva. E tutte queste caratteristiche ci sono nel chiamare la donna che scrive poesie "la poetessa".
Grazie per aver voluto il mio giudizio. Anna Magnavacca
Caro Pasquale, non aspettarti un gran commento da me che spesso ti importuno con dubbi amletici su come si scrive questo o quello. Io sono arrivata a tarda età scrivendo di istinto. Se avevo qualche titubanza su un termine o un altro mi rivolgevo prima a mia nonna – laureata in lettere con tesi in estetica, che mi ha condizionato non poco ponendomi molti divieti - poi a mia madre, quando la nonna è venuta a mancare, le quali non avevano alcuna incertezza. Ora siamo condizionati dai giovani che scrivono cose strane che vengono accettate da tutti come se fosse oro colato. Per esempio quel c'azzecca che mi sta tanto sullo stomaco e che viene pronunciato “ci azzecca” mentre la c seguita dalla a andrebbe pronunziata in ben altro modo. Proprio oggi è venuta da me la persona che mi aiuta nei lavori domestici la quale non dice mai “pomeriggio” ma solo “pome” e sì che non è un ragazzino. C'è da dire che il livello di cultura generale si è abbassato in modo pauroso: basta ascoltare uno dei tanti quiz pre-serali in cui tutti i concorrenti sono laureati per rendersene conto. E dove non c'è cultura non c'è neanche capacità di critica ma un pedissequo uniformarsi alla moda del momento.
RispondiEliminaA me se dicessero “la poeta” direi che mi prendono in giro. Ma tu sai che sono una laudatrix temporis acti. E allora viva “la poetessa” e anche quel congiuntivo che hai messo – “per indicare la donna che scriva poesie”.
Carla Baroni
L’analisi approfondita di Pasquale e Nazario fa chiarezza sul termine da utilizzare: poeta per gli uomini e poetessa per la donne. Credo che la diatriba sia scaturita probabilmente da un malinteso orgoglio femminista; va bene la modifica di termini che in passato, essendo legati alla condizione lavorativa degli uomini, erano declinati al maschile, ma il termine poeta ha da tempo il corrispettivo femminile poetessa. Come afferma Giuliana Lucchini sul blog Carte Sensibili, “insistere a porre l’articolo femminile e dire «la poeta» - quasi un rifiuto della propria condizione (femminile) mentre si vuole affermarsi - al giorno d’oggi, dopo le conquiste di indipendenza orgogliosa e di affermazione di volontà femminile, suona quasi ridicolo”. Detto da una donna, assume un'importante valenza.
RispondiEliminaPietro Catalano
Intervengo, con piacere, sulla questione linguistica (che, poi, solo linguistica non è) sollevata da Balestriere in quanto anche a me è capitato di riflettere sulla terminologia in questione.
RispondiEliminaCiò detto, ritengo doverosa una premessa: se usare "la poeta" significa, in qualche modo, sbandierare ed enfatizzare una parità di genere (ecco perché poc'anzi ritenevo il disquisire non soltanto di ordine linguistico), se è così - come d'altronde lascia pensare lo studio della Sabatini già nel suo stesso titolo - allora non ci siamo.
La "deminutio" che la studiosa imputa al sostantivo "poetessa" non esiste, o meglio: esiste nel momento stesso in cui viene vista come diminuzione, appunto, o sottrazione o inferiorità. Ma di cosa stiamo parlando? La poetessa è colei che scrive versi come il poeta è colui che fa altrettanto. Punto.
Ma ci vogliamo rendere conto, invece, che stiamo parlando di poesia, e che, così ragionando, non si offende altri che l'arte di Calliope?
No, non sono un maschilista, ma neppure un femminista se questo è il modo di far valere le capacità, straordinarie, della sensibilità femminile.
Prego chi mi legge di scusarmi per lo sfogo ma, davvero, non se ne può più: a mio parere, nella Torre di Babele ci siamo già, la stiamo costruendo per arrivare a non capirci più. D'altro canto, tempo fa mi è capitato di sentirne un'altra (apparentemente inversa) di castroneria, alla TV per giunta: sapevate che oggi non si dice più "cantante" ma "cantantessa", come l'ha definita una giornalista?
Ma si, stai a far caso. Evviva il Nulla!
Sandro Angelucci
Ottimo post e analisi di Pasquale e Nazario. Purtroppo a cavallo di quest'onda ci sono molti sostenitori ultimamente. Potrebbe essere usato nell'indicare il ruolo di genere come per esempio si fa con la parola "soprano". Comunque, ci stavo cadendo anch'io dando credito a chi pensavo ne sapesse più di me per cui viringrazio.
RispondiEliminaSono d'accordo al 100% per "poetessa". Secondo alcune accanite fautrici di "la poeta", con le quali tempo fa ho avuto una accesa discussione, sembra che "La Crusca" abbia consentito questa profanazione linguistica. Vi risulta?
RispondiEliminaDal sito dell'Accademia della Crusca
RispondiEliminahttp://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/donne-lavoro-medico-direttore-poeta-ancora-f
È opportuno usare poeta anziché poetessa? E direttora anziché direttrice?
Le forme poeta in riferimento a una donna e direttora si sono affiancate alle più note poetessa e direttrice a partire dalle proposte di Alma Sabatini (v. sopra). L’introduzione di poeta al posto di poetessa si lega alla richiesta della studiosa di evitare le forme in –essa sostituendole con forme senza suffisso: avvocata, dottora, professora, studente, ecc. anziché avvocatessa, dottoressa, professoressa, studentessa. Queste forme senza suffisso tuttavia, con l’eccezione di avvocata, non hanno avuto successo. Ma ciò non deve sorprendere perché, come regola generale, tra due forme prevale generalmente quella di più antica attestazione e quindi più nota e diffusa. L’italiano, lungo tutta la sua storia, testimonia l’uso del solo termine poetessa (mentre poeta è riservato solo all’uomo) per la donna che si dedica all’arte poetica, almeno fino dal Quattrocento: “Or se di voi pur, donne, alcuna avesse / di compor fantasia, / da queste poetesse / sarete messe per la buona via” (Canti Carnascialeschi I, 467).
L’amico Pietro Catalano, che saluto, mi ha preceduto in questo chiarimento circa la posizione dell’Accademia della Crusca.
EliminaCome si vede l’Accademia in questo caso è un po' ponziopilatesca: un colpo al cerchio e uno alla botte. Diciamo che non si schiera apertamente a favore dell’una o dell’altra tesi.
Per quanto riguarda il femminile di “dottore” , ribadisco che viene proposta come forma femminile da usare “dottrice”( p. 116 dell’ultima parte del libro citato, intitolata Raccomandazioni).
Quanto a me, confesso che talvolta, pur riconoscendo l’autorevolezza delle posizioni dell’Accademia, rimango perplesso di fronte a certe soluzioni. Comunque, alla fine, è sempre l’uso a decidere. Rimane il fatto che le proposte della Sabatini sono inficiate -è un dato di fatto- da un acceso femminismo. Invece, nell’adeguamento della lingua italiana alle necessità odierne, sarebbe stata necessaria una maggiore serenità di giudizio, una più spiccata equanimità e un più chiaro pluralismo nella composizione del gruppo di lavoro.
Pasquale Balestriere
Caro Pasquale, ricambio il saluto. La questione è molto dibattuta e condivido pienamente il tuo disappunto. Del resto, la composizione di gruppi di lavoro (di qualunque argomento si debba occupare: economia, sociale) alcune volte viene fatta a seconda del risultato che si vuole raggiungere; se poi qualcuno è preso dal "fuoco sacro" dell’ideologia, il danno è compiuto. L’Accademia rischia di risentire in negativo dello spirito del tempo, ad onta della secolare tradizione letteraria. Dici bene sulla necessità di una maggiore equanimità di giudizio ma, come detto nel precedente post, c’è una contraddizione di fondo nell'argomentare della Sabatini: vorrebbe mantenere al femminile un termine maschile (poeta) per affermare la parità di genere.
RispondiEliminaPrendo atto dell'interessante discussione contestualmente alla diffusione di una locandina che mi vede promotrice di un incontro il 17 novembre p.v. , nell'ambito delle iniziative contro la violenza sulle donne . In tale locandina e' previsto l'intervento dell'assessora alle pari opportunità , e della sottoscritta ( forse immodestamente ) qualificata poeta . Devo dire che ho adottato questa soluzione che mi sembrava più in sintonia con il termine assessora , per una maggiore omogeneità nel dare rilievo alla problematica del sessismo nel linguaggio. Viviamo in un'età di grandi trasformazioni ed e' importante porsi le domande , più che dare soluzioni . Ritengo sia opportuno che ciascuno manifesti la propria motivata preferenza , senza clangor di spade, ma confrontandosi e condividendo , perché il tempo sarà il miglior Giudice . Per quanto concerne la definizione di poetrice , e' stata coniata da Rosaria Lo Russo , per identificare se stessa in quanto poeta e attrice .
RispondiEliminaLa discriminazione tra i sessi è odiosa quanto la non discriminazione. Entrambe offendono la diversità. Gli analfabeti di un tempo insegnavano che una donna non va toccata neanche con un fiore. Oggi siamo passati dalla cavalleria al femminicidio. Bel progresso, non c'è che dire! Non sembri inopportuno il discorso, giacché, a mio parere, eliminare un vocabolo come "poetessa" (o altri di cui qui si è parlato) non può che equivalere ad un femminicidio (culturale, s'intende). Non sono un nostalgico, né un passatista. Sono piuttosto un ribelle e vorrei che i tempi cambiassero. Non nella direzione dell'odio, però, ma in quella dell'amore e del rispetto delle diversità.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Molto interessanti le argomentazioni dell'amico Pasquale. E poi vuoi mettere come suona bene il termine poetessa per indicare la sensibilità e la facoltà di accesso ai processi poetici di una donna diversi da quelli di un uomo ed inimitabili. Carmelo Consoli
RispondiEliminaE adesso alla fin della questione
RispondiEliminase chiamarmi poeta o poetessa
io ripeto con ferma convinzione
di non gradir la parità dei sessi.
Mi piaceva quando ero giovinetta
sbatter le ciglia con il rimmel blu
mentre i maschi facevano glu glu
come tacchini quando al mio cospetto.
Mi chiamavano allora Lorelei
la sirena che causa tanti guai
senza paragonarmi mai a un tritone.
Ed ora che son vecchia di un maschione
non agogno di avere neanche il nome.
Ho letto circa la distinzione dell'uso degli attributi: la poeta, la poetessa.....Non ho dubbi in merito: il termine poetessa è vincente perché più musicale, elegante e in sé racchiude l'essenza della femminilità della scrittura femminile. Perché volerne negare la natura?
RispondiEliminaLa poeta è termine goffo, di imitazione triste ai modelli maschili, privo dell'orgoglio della dignità femminile.
Rivela un senso d'inferiorità e frustrazione nei confronti della letteratura maschile.
Siamo ancora così arretrati da servirci di queste fittizie rivalse?
Con i saluti più cari, felice di sapere che stai dalla mia parte.
Silvia Venuti
Poeta (la) poetessa?!?
RispondiElimina> Assiomatico vagheggiare contemporaneo, della padronanza linguistica italica, sulla parola denotante il "fare poesia di una donna"; in un mondo di ambiguità' la tradizione linguistica, accuratamente presentata da due noti esperti, su questo blog (mi riferisco al patron Pardini e P.Balestriere) convive con l'aggressiva contaminazione linguistica i cui effetti si riscontrano nei testi pubblicati sui social\network e viaggiano dall'Italia in contesti internazionali o globali della comunicazione internet. Terminologie "strane" meta' inglesi e per meta' italiane si intromettono, con la naturale forzatura delle declinazioni linguistiche tradizionali; sono trasmesse e lette sul web da milioni o miliardi di persone. Parole che assumono, a volte, un significato intuitivo, noncurante dell'armonia retorica e della corretta traduzione grammaticale ed istituzionale di un luogo o di un popolo. Allora oggi siamo di fronte alla poetessa, alla poeta o poetrice? Oppure dobbiamo anche aggiungere la realtà' di un poetante transgenico che scrive, in contesti letterari contemporanei, noncurante della sua identita'formativa o di derivazione scolastica? A volte certe provocazioni sono ridondanti quando si sforzano di mettere in dubbio ogni uso convenzionale - anche linguistico. Anche a me sembrano forzature le puntualizzazioni della sig.ra Sabatini come quel pediatra marchigiano che, sulla targhetta del suo studio medico,ha indicato il suo nome con la professione di "pediatro" per protestare contro una sindachessa che voleva farsi chiamare la sindaco\ Seguo anch'io la regola della tradizione e preferisco la poetessa al posto di la poeta. Mi dispiace se la Crusca e' un po' ponziopilatesca (come scrive Catalano e Balestriere)\complimenti a tutti. Miriam Binda
Innanzitutto mi scuso con il carissimo amico Nazario per il ritardo nel rispondere. Da una quindicina di giorni siamo senza connessione, ed ora mi trovo in un momento fortunato che spero duri almeno il tempo di scrivere pochissime parole. Ho letto tutto. E concordo sia con Pasquale Balestriere, sia con Nazario Pardini. Cosa aggiungere di più? Credo proprio nulla, se non il sottolineare quanto la preferenza di poeta anzichè poetessa mi sembri corrispondere ad una malcelata scelta "femminista" fuori posto, dal momento che un termine consolidato dalla tradizione, e per di più bello, non va sostituito col corrispettivo maschile solo per dimostrare che la donna che scrive poesie vale quanto l'uomo. Non è certo l'apposizione poeta/poetessa che crea poíesis (greco ποίησις) ma ben altro. Pur considerando che la lingua è un organismo dinamico non si comprende, quindi, perchè sostituire un bellissimo termine, non ravvisando nessun motivo che possa giustificare razionalmente tale sostituzione. Un caro saluto Adriana Pedicini
RispondiEliminaGentile Nadia Chiaverini,
RispondiEliminaho valutato a lungo se intervenire in risposta ad alcune sue affermazioni che non trovo molto convincenti. Lo faccio per amore di chiarezza e con la massima umiltà.
Dunque lei afferma che ha usato il termine “poeta”, invece di “poetessa” perché le ” sembrava più in sintonia con il termine assessora , per una maggiore omogeneità nel dare rilievo alla problematica del sessismo nel linguaggio”. A me tocca osservare che lei, per sintonizzarsi con la voce “assessora” -per me giusta e condivisibile- non si perita -mi scusi l'estrema franchezza- di commettere, sia pure ad un altro livello (quello cioè linguistico), una violenza, uno sfregio, uno stupro; di fare, cioè, contro la lingua esattamente quello che lei dice di voler combattere "nell'ambito delle iniziative contro la violenza sulle donne". In nome di quale motivazione, che non sia quella velleitaria, generica e generalizzante della presunta carica ironico/negativa del suffisso “- essa” nella parola “poetessa”?
Poi lei continua: “. Viviamo in un'età di grandi trasformazioni ed e' importante porsi le domande , più che dare soluzioni”. È un’affermazione, questa, divisibile in tre parti. Concordo sulla prima, ma come fatto generale, non come pezza giustificatoria di cambiamenti irrazionali e non plausibili, nel nostro caso in ambito linguistico. Condivido in toto l’assunto “è importante porsi domande”, che per me è pratica abituale; ma dissento dal “più che dare soluzioni”, in quanto sono fermamente convinto che porsi domande senza arrivare a prendere una posizione (che equivale a darsi una soluzione) sia operazione infruttuosa e assolutamente inutile; e comunque lasciata a metà. E poi, visto che la vita è piena di problemi, non vale la pena di tentare soluzioni? O dobbiamo lasciare i problemi irrisolti?
Infine, l’inciso “senza clangor di spade”. Se è riferito a me, gentile Nadia Chiaverini, le dico che la mia posizione e il mio linguaggio sono certamente netti, chiari e anche duri, ma onesti, al servizio della lingua nel caso de quo, ma non muovono guerra ad alcuno. Però non amo le mode futili e passeggere, le pose istrionesche, la saccenteria degli pseudo-dotti.
Grazie per il suo contributo.
Pasquale Balestriere
Sono riconoscente e grato a tutti voi che, con qualificati e cólti interventi, avete offerto (non solo alla mia attenzione) significativi spunti di riflessione e di approfondimento, arricchendo considerevolmente l’argomento che ho proposto qui su Lèucade, spinto dalla necessità di spendere qualche parola in difesa di un termine - poetessa -, che alcuni tentano di giubilare in nome di una malintesa motivazione di genere.
RispondiEliminaDi nuovo, grazie di cuore a tutti voi.
Al caro Nazario un grazie in più per la sempre generosa ospitalità.
Pasquale Balestriere
Caro Pasquale,su non t'adirare
RispondiEliminase qualcun usa le parole rare,
quelle moderne, sì, per far piacere
a chi vuol abbatter le barriere
modificando qualche desinenza
anche se poi si mette in evidenza
l'assoluta mancanza di valori
nei neologismi così tratti fuori.
Oggi in Piazza la nuova laureata
sulla schiena esibiva un gran cartello:
"Complimenti da tutti alla DOTTORA
che in libri e pandette si è lanciata
pur sapendo di fare un gran bordello."
Era triste la povera signora...
Ma se crede qualcun con la variante
di diventar famoso più di Dante
sarà il tempo ai nuovi professori
tanta sabbia a metter sugli allori.
CANAPA
Ma, cara Carla, certo non m’adiro.
EliminaNon bisogna adirarsi coi bambini
che a fare i grandi giocano nel giro
fin troppo breve della vita: e fini
intenditor di lingua sono quelli
che gran rivoluzione alla grammatica
nel Sessantotto fecero, i ribelli
del sei politico, della tematica,
problematica oppure matematica.
Ed anche i loro epigoni. I capelli
sono più radi e corti ma l’enfatica
posa serbano. E vanno per orpelli.
Non bisogna adirarsi coi bambini
e certo, cara Carla, non m’adiro.
Ma li vorrei meno birichini.
Studiosi e seri. E, in mano, una biro.
CANAPA
Sembra che ci siam persi per la via
RispondiEliminase manca il terzo della compagnia.
Carla, io vado a prender lo svogliato:
qui te lo porto da Arena Metato.
Caro Pasquale, cara ferrarina,
RispondiEliminala lingua può servire in due maniere,
la devi esercitar dalla mattina,
farla tua per riceverne un piacere.
Ma di certo abusarne non conviene
nell’un senso e nell’altro. Con quei passi
vai incontro a scomparciate; e sono pene
sono pene di gusto e di sintassi.
Non puoi la lingua sempre tener fuori
per soddisfare desideri strani,
né puoi sempre star dietro ai tanti cori
che offrono all’idioma allunghi vani.
Ci insegna la natura quando afferma
che nel mondo ci vuole parsimonia:
non occorre rinchiudersi in caserma
ma nemmeno inventarsi una fandonia
come se fosse un vero neologismo.
Restiamo, cari amici, equilibrati.
Dato che il tempo è corto e assai maligno
tiriamo avanti come fanno i frati:
il messale e le brache nel convento,
e il resto alla prima fra le cento.
CANAPA
Più d’ogni cosa
RispondiEliminam’alletta questa chiusa di Nazario.
Delizïosa.
Meriterebbe un posto in sillabario.
CANAPA
M'inserisco in ritardo in questa magnifica discussione voluta da Pasquale Balestriere e dal nostro Nazario. Senza avere le competenze degli autori che mi hanno preceduto, sono sempre ricorsa ai termini semplici, accessibili ai più. Può darsi che la mia sia stata una scelta dovuta all'istinto, non alla competenza, in quanto non ho pretese di pormi come critico letterario - e qui esiste solo il maschile! -, ma di certo non riuscirei a scrivere Poeta di una donna, visto che esiste il femminile del termine. Bellissima la disamina condotta dai compagni di viaggio. Io vivo e scrivo a fil di cuore e di conoscenze antiche, quelle imparate da mio padre. Sono forse poco attuale, ma non amo i termini poco usati, le invenzioni linguistiche,gli sfoggi letterari. Spesso resto ammirata da scritti molto forbiti e poco chiari, ma oltre l'incanto iniziale subentra subito il disincanto... il senso di lontananza. "Poetessa" per sempre...
RispondiEliminaVi abbraccio tutti, grata di potermi arricchire del vostro dire.
Maria Rizzi
...e dopo tanti giorni(quasi un mese)
RispondiEliminaio leggo e me ne sto senza pretese
qui a ponderare il detto (ma in disparte!) :
é spiritoso il vostro dire
e non è privo d'arte.
Edda.