Protagonisti – Cinzia Baldazzi si racconta ai lettori del blog.
Cinzia Baldazzi (nella
foto in evidenza) è laureata in Lettere Moderne alla “Sapienza”
in Storia della Critica Letteraria, è nata e vive a Roma.
È scrittrice, giornalista, critico letterario, promotrice culturale.
Desidero
ringraziarla pubblicamente per avere deciso di raccontarsi nel mio blog e per
la collaborazione che presto la vedrà protagonista nella nuova rubrica “L’angolo
di Cinzia Baldazzi“. Vi consiglio di mettervi comodi e di leggere con
attenzione tutta l’intervista, in quanto contiene tanti spunti interessanti.
Non succede
tutti i giorni di incontrare persone che come lei hanno dedicato buona parte
della propria esistenza allo studio, all’analisi e alla promozione di libri e
della poesia in particolare. Numerose sono le sue incursioni in ambito
teatrale, cinematografico, televisivo mantenendo un profilo sempre alto. Ci
racconti com’è nata questa passione, che è poi sfociata in un lavoro di fine
cesellatura delle parole e degli scritti che continua ancora oggi.
Cinzia Baldazzi – La
passione della scrittura ha avuto origine, nell’adolescenza, dalla necessità
vitale di leggere. Forse si trattava del lascito ideale di mia madre, o della
ricerca di un rifugio dopo la sua scomparsa: l’ho persa infatti quando avevo
solo dieci anni. Aveva studiato a Roma con Giovanni Gentile e si era laureata
in Storia della Filosofia nei primi mesi del ’46. Insegnò per pochi mesi lingua
inglese, poi fu assunta alla TWA. Nell’estate del ’65 stava per lasciare la
compagnia aerea e iscriversi al concorso a cattedra, ma una malattia fulminea
ebbe il sopravvento.
Alla scuola
media Montessori di Villa Ada conobbi i testi di Federico Garcia Lorca: dalla
giovanissima professoressa Anna Maria Pecchia imparai ad amare i versi di Los
álamos de plata, che lei traduceva con I gattici d’argento (invece
di “salici”). Nello stesso periodo scoprivo le novelle di Pirandello e la
successiva grande stagione della narrativa breve italiana, da Giovanni Arpino a
Gianni Santuccio, da Piero Chiara a Italo Calvino.
Alla maturità
classica, al Liceo Orazio, quando mi presentarono il giudizio sul mio tema
dedicato a Manzoni e al romanzo moderno, il voto era 8+ / 8 ½, e sotto, un
appunto: «Saggio?!». I commissari non sapevano se giudicare il testo come un
“elaborato da esame” o come un vero e proprio “studio critico” (genere allora non
consentito: lo sarebbe stato alcuni decenni dopo). L’orale lo sostenni
presentando una lettura dell’Infinito leopardiano secondo i canoni
dello strutturalismo, con tabelle, grafici e collegamenti logici, al punto che,
al termine, il professore di matematica commentò: «Beh, una parte del mio esame
lo abbiamo già fatto…».
L’attività di
scrittura vera e propria quando è iniziata?
Cinzia Baldazzi – Subito dopo
la laurea, collaborando come critica letteraria a riviste culturali. Al 1979
risale l’inizio di un lavoro sistematico grazie al giornalismo. Entrai come
collaboratrice al quotidiano romano “Il Giornale d’Italia” con l’incarico di
seguire le recensioni del teatro “off”: era in corso, in quegli anni, la grande
e irripetibile stagione dell’avanguardia romana, da Pippo Di Marca a Memè
Perlini, da Carmelo Bene a Remondi & Caporossi. Ho sofferto, quasi tutte le
sere, in teatrini malmessi, conventi occupati, cantine affollate, ma
l’esperienza di quella scuola di scrittura è stata preziosa e insostituibile.
Poi sono
passata a occuparmi saltuariamente di cinema, quindi di nuovo a teatro negli
ultimi dieci anni, ma questa volta frequentando gli stabili. Infine, sono
tornata a praticare la critica letteraria, utilizzando anche gli strumenti di
diffusione della rete che una volta non esistevano.
Nel 1978 ha
conseguito la laurea in Lettere Moderne presso l’Università La Sapienza di Roma
con una tesi di critica letteraria su alcune novelle di Luigi Pirandello. Ci
parli di quel periodo, delle atmosfere che si vivevano nell’ambito
universitario, delle sue aspirazioni e speranze per il futuro.
Cinzia Baldazzi – Ho
frequentato la Facoltà di Lettere e Filosofia a Roma nel quadriennio 1974-1978:
anni tormentatissimi dal punto di vista organizzativo, politico, di gestione
della vita quotidiana. Per conoscere giorno e ora di un esame si doveva
consultare con fatica una bacheca (o, nel peggiore di casi, una parte di muro)
affollata di centinaia di post-it fissati con puntine, a volte scritti a mano,
prima che venissero rimossi o sostituiti; lezioni e seminari erano di frequente
interrotti, rinviati o soppressi; l’occupazione del febbraio del ’77 fece
saltare mesi di didattica: ero al piano terra della facoltà quando la polizia
entrò con gli idranti e mi rifugiai in segreteria. Un giorno Aurelio Roncaglia,
ordinario di Filologia Romanza, venne interrotto nell’Aula Magna dall’ingresso
di un collettivo contro il fascismo. Allora si rivolse ai giovani disturbatori
con parole piene d’ira: «Io ero antifascista nel ’38!».
Il culmine
del caos venne toccato quando, in vista della seduta di laurea fissata per
dicembre ’78, venni a sapere per caso, da un impiegato, che la mia tesi
(consegnata mesi prima in Segreteria) non si trovava più. È vero, ne avevo
altre tre copie (per me, il relatore e il correlatore), ma lo shock fu talmente
forte che ancora oggi non riesco a ricordare cosa avvenne nelle settimane
successive. Forse fu ritrovata, forse no. Ma la mattina del 21 dicembre un
fascicolo del mio lavoro era comunque nelle mani del relatore Mario Costanzo
Beccaria.
Insomma, il
disordine regnava…
Cinzia Baldazzi – Certo, e noi
studenti, per i quali qualcuno pagava puntualmente il tutto, eravamo
considerati quasi un elemento accessorio non degno di attenzione. Eppure quel
periodo è stato vitale di esperienze. Ho avuto l’onore di assistere alle
lezioni di Walter Binni con le sue citazioni (bontà sua) in francese e in
tedesco; sono stata spettatrice divertita e affascinata degli show del
linguista Tullio De Mauro; mi sono scervellata (insieme ad altri) a cercare di
ascoltare la voce bassa e roca di Emilio Garroni mentre discorreva di
semiotica; ho scoperto la didattica del grande Agostino Lombardo che mentre
spiegava Laurence Sterne sembrava lui stesso un imponente Tristram Shandy. E
ancora Carlo Salinari, Giovanni Macchia, Diego Carpitella, Mario Alberto
Cirese, Maurizio Del Ministro…
Senza
dimenticare che, quando mi chiedono dove io abbia conosciuto mio marito
Claudio, rispondo: «L’ho trovato all’Università». Era l’autunno del ’74: lui al
secondo anno, io al primo. Entrambi seduti, a pochi sedili di distanza, nella
penombra dell’allora diroccato Teatro Ateneo, dove seguivamo le lezioni di
Storia del Teatro e dello Spettacolo di Adriano Magli. Il resto, come si dice,
è storia…
Riguardo la
tesi, cosa l’ha portata a dedicarsi a Luigi Pirandello?
Cinzia Baldazzi – La scoperta
di Luigi Pirandello risale alla mia seconda media, nel ’67. La madre di Dina
Tron, mia amica del cuore, lavorava come formatrice delle insegnanti
montessoriane. Frequentandone la casa, mi imbattei nel primo volume Mondadori
delle Novelle per un anno, contenente le raccolte Scialle
nero, La vita nuda, La rallegrata, L’uomo solo. Lì lessi per la prima volta
i testi che ancora oggi porto nel cuore: Nel segno, E due!,
L’imbecille, Acqua amara. Conservo ancora quel libro, un’edizione del ’47
semidistrutta dalle ripetute consultazioni, annotata a matita a margine e con
pagine volanti. Aveva già avuto un primo restauro da parte di mio suocero, ora
ne meriterebbe un secondo.
La sintassi
unica, irripetibile della prosa pirandelliana mi è penetrata nella mente, con i
suoi guizzi, le contorsioni logiche, gli spiazzamenti, le inversioni: le stesse
che hanno poi alimentato tanto suo teatro, culminando in Così è se vi
pare. Da studentessa, Tullio De Mauro lesse un mio lavoro (forse una
tesina, non ricordo bene): avendo notato un procedere certo non piano e
lineare, e sapendo quanto la lettura influisca sul modo di scrivere, mi chiese:
«Signorina, ma lei cosa legge?». Con candore, risposi: «Professore, il mio
preferito è Pirandello». E concluse: «Ah, beh, allora…».
La scelta di
Pirandello come oggetto della tesi parte quindi da lontano…
Cinzia Baldazzi – E venne poi
facilitata dalla scoperta che il mio professore universitario Mario Costanzo
Beccaria, ordinario di Critica Letteraria, era nipote di Giuseppe Aurelio
Costanzo, direttore del Magistero di Roma agli inizi del secolo, il quale aveva
aiutato il giovane amico Pirandello ad ottenere la cattedra di Lingua Italiana:
fu quasi naturale, allora, scegliere il commediografo siciliano come oggetto
della tesi di laurea. Il titolo era Organicità e dialettica nella
poetica pirandelliana, e consisteva in un’analisi narratologica e semiotica
di sei novelle: La vita nuda, La toccatina, Nel segno, Tutto per bene,
La buon’anima, Distrazione. Il giorno della laurea mio padre mi regalò
l’intera collezione teatrale Maschere Nude.
Da cronista,
ho avuto la sorte di vedere e recensire spettacoli pirandelliani con una
formidabile galleria di interpreti: Romolo Valli in Enrico IV e Tutto
per bene, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Rossella Falk e ancora Valli in Così
è (se vi pare), Salvo Randone in Pensaci, Giacomino!, Alberto
Lionello in Il giuoco delle parti, Eduardo in Il berretto a
sonagli, Lauretta Masiero e Paolo Ferrari in La signora Morli, una
e due, più recentemente Gabriele Lavia nei Sei personaggi in cerca
d’autore.
In una nostra
discussione lei ha scritto una riflessione per promuovere un’importante
iniziativa culturale che mi ha molto colpito. La riporto per intero per i
nostri lettori: «Sappiamo tutti che la poesia, la letteratura non possono
sconfiggere il male. Non lo hanno mai preteso: hanno sempre tentato di fare il
loro meglio nell’alleviarne le manifestazioni, nel combatterlo con i propri
mezzi, nell’esibire, magari, quando è possibile, strumenti utili ad
affrontarlo». Può allargare il discorso per i lettori del blog?
Cinzia Baldazzi – Nella cultura
del ‘900, questo aspetto è stato affrontato in un momento cruciale dell’intero
secolo: la fine del secondo conflitto mondiale e la disfatta del nazismo. Nel
1949, Theodor W. Adorno, da poco tornato in Germania dopo l’esilio americano,
scriveva: «La critica della cultura si trova dinanzi all’ultimo stadio della
dialettica di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro
e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile
scrivere oggi poesie». Per anni, questa radicale affermazione è stata discussa,
confutata, demolita, segno che aveva toccato una ferita aperta: nonostante la
sconfitta di Hitler, l’intellettuale percepiva il senso profondo di una
sconfitta epocale. Adorno avrebbe poi chiarito meglio, ammettendo alla fine
l’errore. Nel 1966 scriveva infatti: «Il dolore incessante ha altrettanto
diritto di esprimersi quanto il torturato di urlare; perciò forse è sbagliato
aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere poesie».
Negli anni
tra i due pensieri, si sviluppa il rapporto tra il filosofo e il giovane Paul
Celan, ebreo rumeno di lingua tedesca, sopravvissuto al lager dove morirono i
genitori. Il critico Enrico Testa ha spiegato: «Nella poesia di Celan il monito
di Adorno si rovescia in una ricerca paradossale ed estrema. Auschwitz, il male
storico, diventa il passaggio per un nuovo percorso della parola: la parola
lotta con il silenzio e non cede ad esso e al nichilismo: è una parola
conquistata nel gorgo muto delle vittime».
Che cosa ne
dovremmo ricavare?
Cinzia Baldazzi – Senza voler
stabilire un paragone impossibile, abbiamo anche noi, tutti indistintamente,
un’esperienza da raccontare: quella del confinamento per oltre due mesi a
seguito dell’emergenza sanitaria. Chiusi in casa quasi per l’intera giornata,
il tempo non sarebbe dovuto mancare. Ebbene, mi chiedo: con quanto è successo,
avrebbe avuto senso prendere in mano un libro di poesie o di narrativa e
trasferirsi con tutti noi stessi in un altro mondo? Quasi un ripiego
strumentale, evasivo, fine a se stesso? Una distrazione?
È vero, nello
sfogliare o nel comporre pagine di un volume percepiamo senza dubbio il
conforto di un bello correlato al sollievo dal dolore,
dall’angoscia, dal panico: per questo solo, converrebbe leggere o scrivere. Nel
mio piccolo, libri come Eratre (2016) e Duecento anni
d’infinito (2019), di cui sono stata co-autrice, sono stati concepiti
su queste linee-guida. Ma soprattutto Passi nel tempo (2011),
dove ho commentato quindici poesie di Maurizio Minniti e nella cui prefazione
scrivevo: «Mi pare risulti abbastanza chiara un’idea centrale, che condivido
con Maurizio Minniti: assegnare al linguaggio poetico la funzione di aiutare ad
accogliere il mondo, a chiarirlo prima di rifiutarlo, a viverci. Se non fosse
troppo, a rifondarlo».
Fëdor
Dostoevskij ne L’idiota fa affermare al principe Miškin la
famosa frase «La bellezza salverà il mondo». Considerazione e auspicio sempre
attuali, visto che il nostro mondo è sempre in fibrillazione, tanto da farci
temere che possa presto essere interessato da un default generalizzato, ovvero
da una sorta di fallimento e insolvenza, per quanto attiene la sfera virtuosa
delle relazioni umane. La domanda è: secondo lei il mondo è disposto a farsi
salvare dalla bellezza?
Cinzia Baldazzi – Cinque anni
fa, nell’estate del 2015, l’allora capo del governo Matteo Renzi proclamò in un
convegno internazionale: «La nostra carta d’identità è la bellezza di Pompei,
di Venezia, di Roma. Solo la cultura salverà il futuro dell’Italia». Gli
rispose Umberto Eco: «La bellezza e la cultura non salveranno affatto il mondo.
Anche Goebbels era un uomo coltissimo, ma questo non gli ha impedito di gasare
sei milioni di ebrei. La comprensione della bellezza altrui, questa sì invece
che può essere importante. Ma non dimentichiamoci anche che ci sono stati
grandi criminali che collezionavano quadri». Ebbene, qualche giorno fa, aprendo
la home page dell’Ansa, ho letto le parole con cui Giuseppe Conte ha inaugurato
gli Stati Generali: «Nel momento in cui progettiamo il rilancio dobbiamo far in
modo che il mondo intero possa avere concentrata la sua attenzione sulla
bellezza del nostro paese». Non essendo più con noi un Umberto Eco a ribattere,
affidiamo le nostre perplessità a due opere dello studioso e semiologo: Storia
della bellezza (2004) e Storia della bruttezza (2007).
Purtroppo, l’intercambiabilità tra i due concetti, o meglio tra le distinte,
opposte percezioni, caratterizza il mondo contemporaneo e non fa ben sperare
sul presunto “salvataggio”. Oggi viviamo di certo un indebolimento del senso
estetico, al punto di non sapere spesso valutare il “bello”; a lato, riscontriamo
una vera e propria cecità che impedisce di riconoscere ciò che è informe,
asimmetrico, banale, disarmonico, sgraziato, in una parola: “brutto”. Ed è
questo, forse, l’elemento maggiormente preoccupante.
Lei si è nutrita e si arricchita di notevoli letture e frequentazioni
culturali. Perché è importante oggi leggere e quale molla scatta in un lettore,
quando decide a sua volta di scrivere, così come ha fatto lei e continua a
fare?
Cinzia Baldazzi – Se la lettura
alimentasse il desiderio di scrivere, sarebbe cosa buona. Però non vedo un
automatismo: è vero che il grande poeta è sempre stato un lettore vorace,
attento, sistematico, ma nella stragrande maggioranza dei casi io vedo
scrittori che hanno scarsa conoscenza della letteratura.
A scuola
hanno insegnato che leggere aiuta a scrivere bene. La frequentazione del
pensiero di un grande autore lascia nella nostra mente qualche briciola della
sua pregevole sintassi, sedimenta le tracce di un lessico ricco e complesso,
fissa nella memoria visiva l’uso corretto di apostrofi, accenti, e così via.
Anche se non sarebbe necessario un grande autore per insegnare la morfologia
della nostra lingua madre, tuttavia…
Si dice:
leggete qualsiasi cosa, ma leggete. In realtà non è proprio così: per una vera
scuola di scrittura (nello stile, nella sintassi), devo rivolgermi a Manzoni,
Pirandello, Calvino. Quando l’autore dei Promessi sposi si
trasferì a Firenze con la famiglia per imprimere una svolta linguistica al
romanzo, passava le giornate con i letterati e parlava con la gente lungo
l’Arno («nelle cui acque risciacquai i miei cenci»), ma la sera, a lume di
candela, leggeva e rileggeva Guicciardini, con la sua impostazione classica,
tante subordinate, periodi ampi, verbo all’ultimo posto.
Da parte mia,
ai tanti amici poeti e novellieri che a volte sono preda di una incontenibile
coazione a scrivere, non posso che suggerire di dedicare maggior tempo a
leggere. Attività oscura, svolta in intimità, senza un apparente e immediato
riscontro. Ma accrescitiva, gratificante, ricca di suggestioni alla distanza.
Del resto, Jorge Luis Borges amava ripetere il suo distico: «Altri si vantino
delle pagine che han scritto; / io vado fiero di quelle che ho letto».
Apprezzo molto di lei il fatto che si prodiga nel portare avanti un’intensa
e riconosciuta opera di diffusione della poesia e della letteratura in
generale, attraverso la divulgazione di nuovi autori, presentazione di libri,
organizzazione di incontri tra poeti, coordinamento di reading, interventi
critici, partecipazione come presidente di giuria in concorsi di poesie
letterari. Come riesce a conciliare tutto questo lavoro e qual è il carburante
che le dona tanta energia?
Cinzia Baldazzi – Partiamo,
questa volta, dalla conclusione. A settembre del 2018, l’amico Nicola Paone ha
voluto assegnarmi il Riconoscimento alla Carriera “Labore Civitatis”,
all’interno della sua manifestazione “Tra le parole e l’infinito”. Ricevere il
premio davanti a centinaia di persone, nello splendido cortile di San Leucio a
Caserta, sotto le stelle di una mite serata di settembre, è stata un’emozione
che non dimenticherò facilmente.
Ho avuto
altri riconoscimenti in seguito (Verbumlandiart, la Macina onlus, I colori
delle parole), ma porto nel cuore quel premio perché ha costituito il punto
d’arrivo di un’attività portata avanti da anni. Ho organizzato reading,
stimolato l’incontro tra poeti, presentato libri sotto forma di evento,
concesso tante prefazioni a “opere prime”, fornito suggerimenti per libri e
antologie, commentato numerosi scrittori che ho poi visto crescere con merito.
Per alcuni
anni, luoghi privilegiati dei miei incontri sono stati due locali romani di
Trastevere, il “Mameli27” e “Lettere Caffè”. Ma ho parlato di letteratura anche
in gallerie d’arte, librerie, piccoli teatri, e ultimamente – con l’iniziativa
Poesia Gourmet Itinerante – nei bar di quartiere, nei pub, nelle discoteche,
persino in una sala da bowling.
Due sono i
libri importanti in uscita entro fine anno, in collaborazione con una poetessa
e con uno scrittore. Per ora non posso dire di più.
Dal suo curriculum si evince che lei ha collaborato con importanti
personaggi del mondo della televisione in RAI. Ci parli in breve di queste
esperienze.
Cinzia Baldazzi – Alla fine
degli anni ’80 ho cominciato con la radio, per passare poi a Raiuno dove sono
rimasta fino al 2010. Il primo programma importante, nel ’90, è stato Trent’anni
della nostra storia di Carlo Fuscagni, allora direttore di rete. Dopo
collaborazioni varie (con Mixer di Giovanni Minoli, con
Antonella Boralevi), approdai nell’estate del ’95 a Carràmba che
sorpresa: il compito di noi redattrici consisteva nel cercare e organizzare
i cosiddetti “ricongiungimenti” tra gli italiani e i parenti emigrati
all’estero che non vedevano più da decenni. Raffaella Carrà e Sergio Japino,
conoscendo la mia esperienza di viaggi internazionali, mi affidarono subito il
compito di girare il mondo per conoscere coloro i quali sarebbero poi dovuti
tornare in Italia di nascosto e abbracciare in diretta televisiva i parenti,
invitati quella sera in studio come semplici spettatori con l’ausilio di un
“gancio”, ovvero di un complice. Lavoro faticoso, complesso, di grande
responsabilità, che richiedeva una disponibilità totale: incuranti del fuso
orario, mi chiamavano in piena notte dall’Australia o dall’Uruguay.
Con Raffaella
ho lavorato alle sette edizioni del programma, dal 1995 al 2002: sono stata
cinque volte in Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, ho viaggiato in
Australia, Cile e Stati Uniti, ho effettuato missioni in Germania, Irlanda,
Inghilterra e Spagna. Ovviamente, per conoscere la persona oggetto di sorpresa,
ho visitato decine e decine di famiglie in lungo e in largo per l’Italia, dalla
Liguria alla Puglia, dal Friuli alla Sicilia. Ho dato molto a Carràmba
che sorpresa e ho ricevuto altrettanto in termini di conoscenza della
psiche umana, del carattere degli individui, delle culture e dei comportamenti.
Inoltre, non
dimentico come una parte cruciale del mio lavoro, una volta rientrata in Italia
dalle missioni, sia stata quella di scrivere: per Raffaella avevo approntato, e
affinato nel corso degli anni, vere e proprie storie di famiglia, con date,
episodi, dichiarazioni, spostamenti, una sorta di “racconto” sui
generis dettagliato e partecipato per ogni singolo caso, così da
costituire la base per il copione che poi gli autori avrebbero preparato per la
puntata. Ciò non toglie che interi brani Raffaella li abbia citati per intero
durante la diretta.
Più recentemente, ha avuto l’occasione di collaborare con Pippo Baudo…
Cinzia Baldazzi – Ho concluso
il mio passaggio su Raiuno partecipando a quattro edizioni di Domenica
In, due con Mara Venier, due con Pippo Baudo. Uomo di grande cultura e di
capillare informazione, Pippo mi affidò vari incarichi, tra cui il “Tour de
Chant”, una sorta di contest per cantanti lirici; la rubrica
dei libri, incontri settimanali con autori (mi è rimasto impresso quello con
Alberto Bevilacqua); ma soprattutto un concorso di poesia a cui parteciparono
migliaia e migliaia di scrittori, e le cui poesie io dovetti leggere una per
una. Con molti dei vincitori sono rimasta in contatto: tra questi Maurizio
Minniti, con cui l’anno dopo ho pubblicato il libro Passi nel tempo.
L’idea di Pippo ebbe successo, con votazioni ogni domenica pomeriggio in
diretta. Il concorso volle intitolarlo, profeticamente, “Popolo di poeti”.
Ti ringrazio, Nazario, anche da parte di Antonino Schiera, di aver consentito all'intervista di approdare al tuo porto sicuro.
RispondiEliminaCara Cinzia, è davvero un'affascinante e deliziosa intervista in cui ti sveli e riveli intimamente per quella che sei, un'autrice profondamente poliedrica, di immensa competenza, conoscenza e sensibilità umana. A me piace immaginarti come un brillante spirito "rinascimentale" e per questo ti apprezzo e stimo tantissimo. Le significative "avventure" che hai attraversato nella vita, le ricche esperienze, letture, relazioni con eminenti personaggi del mondo della cultura, dell'arte e dello spettacolo di cui hai goduto ti hanno sicuramente reso una persona molto colta , saggia e, quindi, autenticamente libera .. mi ha molto interessato la riflessione sulla presunta "fine" della poesia dopo Auschwitz, con la sottolineatura dedicata a Paul Celan, poeta che personalmente mi ha sempre attratto .. il dolore estremo che ha attraversato la sua poesia è proprio un punto di svolta e di passaggio, che rompe e sblocca quel silenzio espressivo a cui l'orrore del male assoluto sembrava aver costretto .. grazie di cuore per questo tuo bel contributo che, forse, aiuta anche noi "piccoli" poeti a riflettere e a migliorare sempre più, procedendo, come direbbe Dante, "in virtute e canoscenza"
RispondiElimina- Giuseppe Guidolin -
Commento intenso, Giuseppe, grazie di cuore. Allora, secondo il tuo auspicio, camminiamo solidali all'interno dell'itinerario dell'Ulisse dantesco indirizzato al trionfo del bene e della conoscenza.
EliminaLetta con grande interesse: non posso che ammirare la sua preparazione, i suoi interessi culturali che risalgono all'adolescenza come retaggio materno. Quello che mi ha colpita è il suo profondo amore per la bellezza profonda della cultura, la sua accettazione della diversità che è bellezza. Pirandello, secondo il mio modestissimo parere, nelle sue opere di scrittore-filosofo, ci fa amare l'umanità: forse siamo un po' tutti "Uno nessuno centomila".
RispondiEliminaGrazie per ciò che ci dona.
Maria Rosa Catalano
Grazie a lei, Maria Rosa, per queste belle parole e per il suo amore verso Pirandello il quale la vita - ha ragione lei - pur nelle sue forme contraddittorie, a volte spietate, ha sempre amato veramente molto.
EliminaTESTE SFIANCATE DAI RIMORSI
RispondiEliminaTeste sfiancate dai rimorsi
Vennero un giorno nei ricordi
Al seguito di odori delle case
Dove i vecchi erano vissuti.
Su quel cancello c'era scritto un verso
"Col tuo lavoro ne uscirai libero"
Soltanto che la porta era un camino
Dove passavi diventato fumo.
Pensasti che scrivere poesie
Pur trasportato lieve dal tuo vento
Sarebbe stato un grave peccato
Perché l'uomo all'altro era inumano.
Teste sfiancate da troppi rimorsi
Le trovi delle volte nelle chiese
A Otranto in belle bacheche
Intanto la bellezza salva il mondo!
Se pure un Pirandello d'occasione
Passasse sotto braccio alla Baldazzi
Pochi vedrebbero tra i lacci
La mente che le teste le contiene.
Eppure un forte grido di dolore
Espresso con un verso, le parole,
Potrebbe delle volte anche salvare
Da tenebre offuscate alla ragione.
Ringrazio Concezio Salvi, poeta - coautore con me e il pittore Gianpaolo Berto del libro "EraTre" - per questi suoi intensi versi insolitamente aspri e laceranti, con i quali ha saputo tradurre in termini di poesia le mie allusioni critiche a Theodor Adorno, Paul Celan e Luigi Pirandello.
EliminaCara Cinzia, da questa intervista trapela la solida esperienza formativa di uno scricciolo di donna, volato da un nido compatto per librarsi sempre più in alto, fino a varcare la soglia dell'Infinito, dove la conoscenza non trova limiti. E quando riposi le possenti ali che ti sorreggono, rendi il luogo che accoglie i tuoi amici, amanti della limpida Bellezza scovata nei tuoi occhi buoni e saggi, un nido di aquila sulle alture delle Culture umane.
EliminaAd Maiora!
Rosanna Petraglia
Cara Rosanna, cosa rispondere al tuo commento? Il timore è quello di non essere in grado rappresentare quanto affermi: di un particolare, però, insieme a te sono certa, vale a dire di quanto sia grande la bellezza di tentare almeno l’esperienza di “volare” insieme alla Poesia, alla Cultura umana.
EliminaGrazie.
Roma Caput Mundi, A.D. 2020, I dell’era C.V.(CoronaVirus), dies tertium post Iunii Idus. LETTERA APERTA A CINZIA BALDAZZI. Mia cara Cinzia, che sorpresa! Scusa, Raffaella, se prendo in prestito il tuo motto … non chiedermi soverchio aggio, ma solo l’agio (una sola G, come privilegio, quello d’essere disinteressato amico di Cinzia) per scolpire un me stesso racchiuso nel marmo d’una sorpresa … ma è sorpresa? Vediamo un po’ … “Saggio?” ti chiesero alla maturità. Saggia, replico io. Zero sorprese! Andiamo avanti. Teatro “off”? Gli “spin off” successivi – guarda caso anche televisivi, vero dottor Baudo? – ti hanno resa protagonista. Vabbè! Poi: Pirandello? E quando mai è sorpresa … così è, se mi pare ma anche se non mi pare così è! Appresso: Diego Carpitella? Toh, chi si rivede! Le sue tracce antropologiche, fuse con quelle di Ernesto De Martino suggellarono la mia lunga avventura al Circolo Gianni Bosio …. questa, cara Cinzia, quantomeno me l’aspettavo! Zero sorprese! Divento curioso come un bimbo di cinque anni davanti all’uovo di Pasqua! Tullio De Mauro? Più volte io e te ne abbiamo condiviso il Verbo Divino della lingua. Ah! Qui ti volevo! Theodor W. Adorno e la morte della poesia per asfissia ad Auschwitz … no sorprese: siamo d’accordo che la bellezza della poesia vince. Oltre al principe Miškin, con la famosa frase «La bellezza salverà il mondo», c’è anche un cadavere avvolto nel mistero più fresco: un certo Peppino Impastato. Mi sembrava … Eccoci arrivati al punto: si può non essere d’accordo con Umberto Eco? Finalmente la sorpresa, perché rispondo fieramente: “Sì!” … ma anche tu … E che vai dicendo sulla lettura che non aiuta la scrittura? Se non mi fossi accostato alla Bibbia, già ateo in calzoncini corti, per assaporarne la magia del mistero, non starei qui a leggere questa bellissima intervista. Concludendo. Ti sveli? Ti riveli? Io penso di conoscere abbastanza Cinzia Baldazzi Q.B., come è scritto nell’unica medicina che fa bene: l’amicizia vera e disinteressata! Ciao, Cinzia. Firmato Massimo Moraldi.
RispondiEliminaCaro Massimo, dinanzi all’altezza del tuo commento non so cosa aggiungere, anche per la grande comunanza di messaggi ai quali abbiamo sempre prestato attenzione.
EliminaForse, scherzosamente, vorrei aggiungere che, se “Carràmba, che sorpresa” non fosse terminato da anni, se la mitica Raffa ti avesse incontrato, saresti stato, insieme a me, uno dei suoi collaboratori preferiti!
Perché? Suppongo in virtù della tua profonda conoscenza della dialettica dell’animo umano che lei, con i suoi mezzi, ha sempre tentato di penetrare sino in fondo. Qui, però, siamo in un altro mondo, in un’isola dove la Poesia è conosciuta e parla da vicino, senza interpreti, ma con sue elette fonti di comunicazione.
Grazie.
n questa interessante intervista la Dott/ssa C. Baldazzi mostra, a pieno titolo, l’oceanica cultura che la personifica. Oltre a ciò, l’intervistata si apre al suo lettore/ascoltatore in modo pacato, docile e conseguenziale che la rende mite, accogliente ed accattivante nel narrare le Sue vicissitudini di studentessa e di universitaria. Una donna da ammirare certamente per tanta dedizione allo studio, alla cultura ed alle attività sempre culturali che ancora intraprende. Essere tra i suoi adepti è certamente un onore/privilegio se si vuole aquisire sempre in meglio. Pasqualino Cinnirella
RispondiElimina18 giugno 2020 alle 9:00
Caro Pasqualino, ora che conosce una parte della mia vita culturale, ora percorreremo insieme anche i
Per arrivare a toccare il cielo non servono ali ma solo onde di un’anima che si riversa come un pennello per tingere di turchese il grigio andare del tempo. Poesia e solo poesia è nel raccogliere questo testimone che fa grande e amica dei poeti CINZIA , averla incontrata sul web per il mio vivere tra le penombre mi ha dato una carica morale e fiducia nella poesia come mezzo di espressione in qualcosa che anche a noi sfugge : dove si racchiude il verso nella conoscenza dei libri, nel dolore che risulta il verso più difficile,nella natura e in quella bellezza che sfuma tra l’alba e il tramonto , al fine di poter dire in questa bibbia letteraria ci sono tanti poeti minori a volte anonimi messi lì dal destino del web a puntellare la cupola dei grandi poeti, si è difficile oggi come dice CINZIA salvarsi dal brutto ,riuscire ad arginare con un verso la negazione di ogni sopruso intellettuale ed economico. Ma siamo qui come un fiume in silenzio che scrive e scrive a volte anche versi privi di valore . Credo ,anzi sono pienamente convinto che l’esperienza e l’umanità , anche l’umiltà di accostarsi agli ultimi rendano grande la nostra amica CINZIA , il suo valore critico e letterario nella somma conoscenza è unico e mi sento orgoglioso di essergli amico . Non so se il destino mi darà l’emozione anche per pochi attimi della sua presenza , ma sono fiero dei suoi commenti ricchi di richiami, per me che scrivo senza una visibilità da silloge e amo il chiaro/scuro della vita come l’ombra che passeggia e poi sparisce tra i sentieri della vita. GRAZIE CINZIA.
RispondiEliminaCaro Nicolò, come di consueto, le tue parole coincidono con un commento in versi, intrecciati in atti di giudizio estetici, basati sull’esperienza dell’umanità che vuole, proprio come ora, andare a tutti i costi avanti tra i sentieri della vita: a volte - hai ragione - tra una tappa e l’altra predomina la penombra, ma poi, accesa all’improvviso o lentamente penetrata, prevale la luce. Come a Leucade. Grazie per la tua scrittura, Nicolò, e per la tua amicizia a me, e soprattutto alla Poesia. Io comunque aspetto una tua silloge.
EliminaUn giorno forse .
EliminaUna vita all'insegna dell'arte e della conoscenza in tutte le sue forme, quella di Cinzia Baldazzi. Da ogni esperienza e da ogni incontro ha tratto alimento per migliorarsi e progredire nella direzione che si è data: dare Un Senso alla vita, spendendola per donare e diffondere bellezza.
RispondiEliminaCarissima Grazia, sono grata per l'alta stima riposta nei miei confronti. Il compito che mi attribuisci è di importanza tale da apparire irraggiungibile. Farò comunque il meglio possibile, come del resto tutti voi. Grazie di cuore.
EliminaUn'intervista a tutto tondo - potrebbe dirsi - in quanto permette di conoscere l'excursus di apprendimento culturale di Cinzia Baldazzi fin dagli anni scolastici. A parte questo, ho potuto rilevare, tuttavia, due domande cui corrispondono altrettante risposte che vanno sottolineate: una concerne l'invito a pronunciarsi sulla celeberrima frase de "L'idiota" di Dostoevskij, a proposito della quale ella risponde in sintesi: "Oggi viviamo di certo un indebolimento del senso estetico, al punto di non sapere spesso valutare il “bello”; a lato, riscontriamo una vera e propria cecità che impedisce di riconoscere ciò che è informe, asimmetrico, banale, disarmonico, sgraziato, in una parola: “brutto”. Ed è questo, forse, l’elemento maggiormente preoccupante."
RispondiEliminaNon si può non condividere questa asserzione ma - a parer mio - ciò ribalta quanto si afferma nella domanda, e cioè: non è il mondo a dover essere pronto ad essere salvato dalla bellezza ma la bellezza (in senso lato) che riterrà se sia, oppure no, giunto il momento di salvare il mondo.
L'altra domanda (strettamente correlata alla precedente) riporta all'attualità, al momento che tutti stiamo vivendo. E anche qui - se mi è consentito - torna valido il discorso fatto precedentemente, pur con l'ovvio e per nulla irrilevante rimando al senso etimologico del termine poesia.
Ringrazio Cinzia ed il suo intervistatore,
Sandro Angelucci
Caro Sandro, il ribaltamento di quanto si afferma nella domanda – che tu hai percepito in misura corretta – è un τόπος ricorrente delle interviste, là dove concorre a far scaturire una posizione implicita, a volte contraddittoria con l’assunto proposto. Il merito è tutto del nostro Antonino Schiera e delle sue stimolanti proposte.
EliminaMa soprattutto ti ringrazio, caro amico, del commento, come al solito pertinente al mio punto di vista sulla vita, sull’arte. Inoltre, ho apprezzato molto la tua puntualizzazione, anzi, per me quasi un incoraggiamento: vale a dire, credere che la bellezza stessa, in tutta la sua ineffabilità, pur essendo comunque in parte gestita dall’umanità (altrimenti non la potremmo riconoscere), sia in grado di agire in uno spazio operativo completamente autonomo. È questa una grande speranza, caro Sandro.
Questa lunga intervista rilasciata da Cinzia Baldazzi ad Antonino Schiera mostra i molteplici e vasti interessi culturali della nota scrittrice, ripercorrendo le tappe principali della sua vita e della sua carriera, ma soprattutto svariando su tematiche fondamentali della cultura del nostro tempo. In particolare sono sedotto dalla sua riflessione sul male e dal quesito sulla possibilità della poesia di salvare il mondo. Nel ricordare la nota affermazione adorniana, secondo cui, dopo Auschwitz, sarebbe impossibile scrivere ancora poesie (affermazione poi mitigata dal riconoscimento di un suo ruolo puramente epicedico), la studiosa esprime un personale scetticismo sul ruolo evasivo e prettamente ludico che i cultori del "bello" affidano alla poesia, magari sulla scorta di Dostoevskij che fa dire a Todorov: "la bellezza salverà il mondo". Affermazione giustamente osteggiata da Umberto Eco che torna, con Adorno, a parlare di nazismo: "Goebbels era un uomo coltissimo, ma questo non gli ha impedito di gasare sei milioni di ebrei". A questo punto, vorrei avviare una mia riflessione. Giungere a quelle efferatezze non è a mio parere un problema di ordine estetico, ma di ordine morale. Non si tratta di incapacità di discernere il "brutto" dal "bello", o il "bene" dal "male", ma, al contrario, di capacità di discernere il "nero" dal "bianco", ossia di dividere il mondo in "buoni e cattivi". L'integrità morale non è costituita dalla scissione, ma dall'incontro del "brutto" e del "bello", del "bene" e del "male". Forse la teoria non aiuta a comprendere, ma sul piano empirico a nessuno dovrebbe sfuggire che nelle situazioni di calamità (guerre, terremoti, eccetera) è proprio il sentimento di solidarietà e di cooperazione tra gli uomini a venire risvegliato. E' questo che conta, ed è un risultato che in qualche modo ci può salvare.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Innanzitutto, carissimo Franco, pur avendo una “lunga frequentazione” con la scuola dei Formalisti russi, di cui Tzvetan Todorov è stato il massimo divulgatore in Europa, non sapevo del suo collegamento con Dostoevskij, e te ne ringrazio.
EliminaDel resto, suppongo, quando il principe Myškin parla di “bellezza”, accosta il concetto a quello di “bene” e, come dici tu, entriamo nell’«ordine morale». A scuola, quando studiavo il greco antico, rimanevo sempre perplessa scoprendo come il termine ἦθος (in origine “il posto da vivere”) si potesse applicare a una generale “teoria del vivere”, dove, come tu precisi, il male e il bene si incontrano, rendendo dunque più possibile, nella loro intima giustapposizione, individuarli e distinguerli.
Ringraziando, concludo con le tue parole: «è un risultato che in qualche modo ci può salvare».
Mi correggo: non "Dovstoevskij che fa dire a Todorov", ma "Dovstoevskij risvegliato da Todorov".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Mi correggo: non "Dovstoevskij che fa dire a Todorov", ma "Dovstoevskij risvegliato da Todorov".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Una vita all'insegna dell'arte e della conoscenza in tutte le sue forme, quella di Cinzia Baldazzi. Da ogni esperienza e da ogni incontro ha tratto alimento per migliorarsi e progredire nella direzione che si è data: dare Un Senso alla vita, spendendola per donare e diffondere bellezza.
RispondiEliminaTi ringrazio, carissima Lara, ora lo sappiamo tutti, sin da bambina - come tanti - ho cercato, dove ho potuto, di migliorare il senso della vita, soprattutto con l'arte e la letteratura. E, da tanto, è un tentativo che gestisco grazie a voi.
RispondiEliminaUna bellissima intervista alla dssa Cinzia Baldacci denota la sua grande preparazione culturale, e la sensibilità intellettuale che da sempre la distingue in un grande percorso di vera bellezza;un grande "vissuto" al quale mi inchino onorato di poter leggere ed imparare quanto la sua conoscenza fa assaporare il profumo dell'aria, il sapore del mare, la libertà della "parola" e così anche le pietre diventano sacre. Cara Cinzia, che bel "sentiero" il tuo!
RispondiEliminaGiorgioDello
Grazie, Giorgio, per il tuo commento così intenso, da condurre attraverso sentieri “altri”, tipici della critica e della poesia, quando intraprendono la strada giusta.
EliminaGrazie ancora e presto.
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RispondiEliminaAccidenti Cinzia, sei davvero un cervellone! Grazie a questa bellissima intervista ho conosciuto il tuo io più vero, che non è solo tessuto di puro intellettualismo, come purtroppo mistificano molti, ma di profonda umanità. Dunque non solo forma bensì questa irrorata da un'effervescente sostanza vitale. La tua incessante ricerca dalla quale scaturisce quella poesia che redime il nostro non sempre felice percorso quotidiano. E allora davvero si può continuare a sperare che la bellezza salverà il mondo. In fondo è la tua missione. acnora che è poesia dalla.
RispondiEliminaAccidenti Cinzia, sei davvero un cervellone! Grazie a questa bellissima intervista ho conosciuto il tuo io più vero, che non è solo tessuto di puro intellettualismo come purtroppo molti mistificano, ma di profonda umanità. Dunque non semplice forma bensì questa irrorata da un'effervescente linfa vitale. La tua incessante ricerca dalla quale scaturisce la poesia che redime il nostro non sempre felice percorso quotidiano. E allora davvero si può sperare che la Bellezza salverà il mondo. In fondo è questa la tua missione.
RispondiEliminaCaro Antonio, mi attribuisci una missione molto alta e, dal momento che so quanto tu, in prima persona, ami la bellezza, l'incarico al quale – confesso – in fondo in fondo dalle origini ho sperato di ambire, diviene ancora più oneroso.
EliminaGrazie di tutto, Antonio, anche per lo spazio alla cultura riservato dal tuo sito.
L'intervista ad una grande autrice come Cinzia Baldazzi raccontano una storia ricca di emozioni ed esperienze dalle quali è impossibile rimanere indifferenti.
RispondiEliminaNon conoscevo molto della sua storia se non dalle pagine di Facebook, cui mi fregio essere sua amica.
L'intervista è una sorta di racconto incalzante che mi spinge a sognare, a vedere oltre, a non arrendersi in questo mondo e luogo in cui vivo.
Grazie a queste righe ho avuto la possibilità di capire come l'estro di Cinzia sia una strada da percorrere per apprezzare ancora di più la cultura letteraria del nostro tempo.
Ringrazio Katiuscia Di Savino per le sue belle parole, sperando possano davvero servire come "guida" nel cammino di chi ama la poesia.
RispondiEliminaSenza un anima dove andiamo, e senza una guida inciampiamo nel buio cammino della poesia.Vivere di poesia prima che la parola diventi luce , risalendo dalle tenebre come un figlio dal grembo di una madre lascia la vita per un'altra vita nel dono d'amare.
EliminaUn commento "in versi", caro Nicolò, dove la parola poetica accompagna la nascita della vita, di madre in figlio, dalla notte al giorno.
EliminaGrazie.