Tra mito e storia
Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
Il
romanzo in versi “La stanza alta dell’attesa” - Valentina Editrice -, di Maria
Luisa Daniele Toffanin è un’elegia dei ricordi, intesi come storia
e come
rappresentazione di una realtà, che ha coinvolto una famiglia, una comunità e
un’epoca in forma quasi di incantesimo.
Lo
definisco ‘romanzo in versi’, non solo perché l’Autrice inserisce brani di
prosa, ma per il carattere del testo, che conserva sempre la liricità della
poesia. Maria Luisa mi ha già stupito con la sua capacità di conservare ritmo e
musicalità anche nella narrazione pura e non si smentisce certo in quest’Opera,
che si potrebbe definire interamente avvolta da un’onda di armonia dolcissima.
L’ottimo
prefatore Stefano Valentini afferma che la stanza alta che dà il titolo al
libro diviene ‘trasfigurazione di un intero microcosmo, di un’epoca trascorsa
in luoghi magici’ e dà la migliore spiegazione al sottotitolo, ovvero al
riferimento al mito. L’Autrice, infatti, rende il suo cantico intriso di
archetipica sacralità.
Leggendola
ho avuto la certezza che considera il passato il pozzo dal quale attingere
linfa vitale per il presente, che in ogni condizione, rappresenta un dono, e
per il futuro, che inevitabilmente, ha carattere di mistero.
La
stanza alta è il luogo in cui Maria Luisa è nata, ‘nel letto grande ove si
compie il rito dell’amore, nasce la vita nuova e l’ultimo respiro si spegne’,
il
grembo del grembo materno, della mamma Lia, che spira sullo stesso letto,
chiudendo un cerchio dell’esistenza, in quella che l’Autrice definisce ‘una
dimensione quasi estetica’, visto che è circondata dagli affetti più cari.
Altro
ventre materno della nostra sublime Poetessa è la città di Padova,
radice
e luogo dove la portano i sogni, i dolori, le grandi emozioni.
“Mia
città dell’utopia
mondo limpido di gente fida” - tratti da
“Padova”
Nel
suo viaggio a ritroso nei territori della memoria Maria Luisa dedica versi
cesellati ai genitori, alle storie d’amore vissute con entrambi: intensa,
quasi
simbiotica quella con la madre, densa di pathos, di attesa quella con il padre
Gino, combattente nel secondo conflitto, internato nel campo di Benjaminov e identificato con il numero 5437. Il ritorno
del genitore rappresenta per la famiglia
e per la piccola Autrice un periodo di sofferenza intensa, di scoperta degli
effetti post - traumatici della guerra e soprattutto della segregazione, che il
padre supera grazie alla forza d’animo e al rapporto con gli amici che
condividono la sua esperienza - cito tra i tanti Giovannino Guareschi con il
suo “Diario clandestino”, indimenticabile nella determinazione di asserire
quanto la libertà di pensiero possa superare le recinzioni di filo
elettrificato e la violenza continua alla dignità -.
Gli
affetti in questo sublime romanzo in versi hanno valore fondamentale.
E le
tematica dell’assenza e dell’attesa si potrebbero definire il fulcro
dell’intero testo. L’assenza del padre nel mondo onirico - fiabesco
dell’infanzia di Maria Luisa si dilata, diviene concetto privo di confini.
Ella
ci conduce a passo di valzer, tramite il suo verseggiare e le sue parole
calde
e incredibilmente lievi, nei giorni del ritorno di Gino, dell’uomo che
la
intimidisce e la affascina, ma riconosce altro da sé.
“Un
cerchio rosso sulla mano infante
della tua prima sigaretta a casa
tremore delle tue dita per me
ancora schiva della tua presenza” - tratti da
“La grande attesa”
E
l’Attesa diviene l’argomento - chiave della seconda parte dell’Opera.
L’Autrice
asserisce che “è il ritmo che cadenza la vita e la natura dell’uomo” e lo
dimostra con una serie di liriche dedicate allo stesso argomento: “Parva
attesa”; “L’attesa innocente”; “L’attesa della vita e della morte”; “L’attesa”;
“L’attesa del presepe”; La mia casa vibrante d’attesa” , che si configurano
come una permanente ricerca nei meandri del passato, un picchiare, uno scavare
incessante. Si tratta di un procedere lontano da effetti calcolati, da qualsiasi
‘trucco’, dettato esclusivamente dall’ispirazione. E quale voce può permettersi
di viaggiare su un simile registro se non quella di una Poetessa dalla purezza
incandescente?
Il
viaggio nel tempo che Maria Luisa compie vede la saudade divenire cosa viva,
pulsante. Si tratta di una nostalgica malinconia fatta di luce, i versi
sembrano nodi intagliati nel corpo dell’Autrice e nei nostri; si tratta di
posti nei quali il sangue non può fare a meno di correre all’indietro
“ Era
un ritorno ai luoghi della guerra
per me quasi felici, sempre in compagnia
col cane lupo a scoprire insieme
la campagna infinita magia” - tratti da “Le
recite”
Sembra
inevitabile che la terza parte del romanzo in versi si intitoli “Luoghi -
persone”. L’Opera è la dimostrazione che le cose continuano a esistere fin
quando qualcuno le ricorda. E che la famiglia, oltre a rappresentare un
grappolo di affetti è il luogo dove si conservano tutte le memorie.
“Ci
sono luoghi sempre
che per un odore un suono un colore
un’analogia ontologica
richiamano altri luoghi” - tratti da
“Luoghi”
Nella
quarta parte del testo, intitolata “Giochi e stupori” il mito diviene
protagonista. Si tratta della narrazione, condita degli aspetti fantastici
tipici dell’infanzia e della fanciullezza, delle ‘giostre dei sogni’; del Prato
della Valle - simbolo dell’identità patavina e secondo solo alla Piazza Rossa
di
Mosca
-; di ‘corde slanci corse / scaloni e moscacieca”; del fuoco ardente
dell’amicizia ‘intrisa di proibito’ e di molti altri tòpoi ricorrenti nel cielo
perfetto
dell’alba della vita.
La
voce dell’Autrice non si rompe mai sulle onde dei versi, fronteggia il
dolore
delle storie perdute con cifra stilistica superba …talvolta siamo noi lettori a
salire sulle montagne russe di un singhiozzo.
Il
Professor Nazario Pardini, che accoglie Maria Luisa e la sottoscritta nel
prestigioso
blog “Alla volta di Leucade”, nelle sue note critiche precisa che l’Opera rappresenta un
prosimetro, ovvero un genere letterario consistente in un ‘equilibrato connubio
di prosa e poesia’, che fu caro ai grandi della letteratura come Dante,
Boccaccio, Dino Campana e altri.
Conosco
questo genere, ma sin dalle prime letture ho pensato a un romanzo in versi, a
un continuum di lirismo in poesia e parole, che conduce in una straordinaria
avventura attraverso le stanze dei ricordi di Maria Luisa. Da lettrice testarda
e ammirata, che non ha potenziale di critico letterario, mi sono inchinata di
fronte alla consueta capacità esegetica del maestro Nazario, ma ho perseverato,
certa che sia lui che l’Autrice avrebbero saputo perdonarmi.
Esco
da quest’avventura memorabile con la certezza che alcuni Artisti custodiscono
un dono del quale forse sono inconsapevoli: offrono la chiave di lettura delle
vite di tanti attraverso il coraggio della propria
storia.
Maria
Rizzi
NOTE CRITICHE
.
Essere
non essere, stirare non stirare: questo è il dilemma. Non so cosa serva poi
questa citazione dotta, forse per non perdere nel quotidiano, la mobilità della
mente culturale. Il pensiero scantona, la volontà freme. Allora attacco la
sonata e comincio con la camicia a righe, poi a quadretti, seguendo le linee
così dritte, le trame ben inserite, il tutto così diverso da questo tessuto
umano segnato da improvvisi obliqui spazi disorientanti. La vita non è quindi
uniforme ma ugualmente occorre avere sempre dignità: una camicia ben stirata. E
fra il vapore penso a mio padre che in quanto a dignità la sapeva lunga e
cuciva cuciva le mostrine militari sulle divise consumate, aggiustava bottoni,
perfino le scarpe, là a Benjaminow, per non perdere la propria dignità e quella
dei compagni ufficiali. E scivolando veloce sul tessuto, ormai ho preso la
carica dei 101, penso a Levi che si lavava al mattino con l’acqua mista a
sabbia e terra per ripetere i riti del giorno. Allora rincuorata onoro l’ora
pensando a mia madre che diceva che non occorre stirare tanto: bastavano collo
e polsi, non perché credesse nell’immagine, piuttosto nella sostanza. Lei
credeva nelle cose essenziali perché si era fatta una guerra con lo sposo
internato, la madre e la zia anziane sulle sue spalle e per mano una bimba
piccina. Precedentemente aveva conosciuto di striscio la Spagnola e più tardi
aveva profondamente sofferto la perdita del padre ancora giovane. Quindi una
volta reduci da questa guerra, dovremo tendere all’essenziale per riscoprire il
senso vero della vita che è racchiuso in altre piccole cose. E sono già
arrivata alle lenzuola e mi chiedo allora a che serva stirarle? Ma poi ripenso
che così il sonno sarà orlato di bei fiori ben riassettati e il riposo più
sereno. Stiro però sinteticamente, ormai alla fine del mio lavoro. Ci sono ora
i pigiami: potrei piegarli e nulla più. Diceva però mia madre che, quando si va
a letto, bisogna essere in ordine perché qualsiasi cosa di inatteso possa
succedere, noi dobbiamo avere sempre la nostra dignità. E così stirando e
ripassando altri pensieri, ho ridato al momento faticoso una forma d’arte
creativa come omaggio alla vita. E Robinson ha sempre ragione: ogni ora del
giorno è da reinventare, scoprendone il senso più profondo, soprattutto in questo
nostro internamento.
IN
DIRETTA DALLA RAI: REINVENTIAMO L’ORA, INSIEME NELLE CAMICIE!
Inventiva, creatività, fantasia, realtà
sono gli ingredienti della versatilità eclettica di una autrice che fa delle
sue doti scritturali la via della narrazione; di quella sana, buona, fluente,
personale che dal particolare riesce ad elevarsi alle soglie dello spirito
universale. Le parole corrono snelle e significanti in una stesura che risente
della vocazione al verso; alla musicalità, al ritmo, alla melodia, tanto che
non noterete grande differenza tra queste stesure prosodiche e la euritmia
grammaticale che caratterizza la poetica di Maria Luisa. Un vero
susseguirsi di messaggi personali che con il loro fresco dire ci avvincono e ci
convincono. A voi la lettura... Nazario Pardini
Carissimo Nazario, quando leggo le tue
note critiche mi commuovo sempre perché sento nelle tue parole essenziali,
fluide e agili la cultura e la competenza di una vita, insieme a tutta la
tua umanità che le rende autentiche. Proprio di chi conosce
l’anima dell’autore, in questo caso la mia. Affermo che la tua presenza nella
mia poesia è preziosa e mi dà conforto, rassicurazione, invito a procedere: è
la voce di un grande amico.
E così
mi preme raccontare a Nazario, che ospita i racconti nel suo blog “Alla volta
di Leucade”, e alle amiche del ferro da stiro e magari anche della scrittura, come
sono nati. È quando improvvisamente ti trovi di fronte ad una realtà che non ti
aspettavi di vivere, con un mutamento radicale del tuo ritmo del tempo in una
dimensione misteriosa della vita in cui tutte le tue certezze svaniscono e si
sovrappone la forza opprimente della fragilità del presente e del futuro. E di
questo non senti protagonista solo te stessa ma in te stessa tutta la tua
famiglia e soprattutto i tuoi nipoti a cui viene rubata la bella musica che ha
la quotidianità. Avverti allora la tua e la loro dimensione simile a quella di
esili foglie al vento, un vento inquietante, virale, fatto di numeri scanditi,
ribaditi con un ritmo ossessionante. È l’ora di perlustrare dentro di te per
cercare altre risorse e sollevarti in attimi di volo ritrovando la gloria della
fantasia e della memoria. La memoria per rivivere momenti del passato, il tuo
vissuto che l’usurpatore non può toglierti; la fantasia per realizzare nuovi
prodigi.
E così
apri la finestra al prima remoto e ti arrivano lontani la voce del mare, il
fischio del trenino sospeso tra terra e cielo e d’incanto ti ritrovi nel parco
delle Cinque Terre, su al castello di Riomaggiore. Ecco Graziella Corsinovi,
Sirio Guerrieri, protagonisti della presentazione di Iter Ligure, presenti
l’autrice ma anche Giulia, Massimo, Marco, Stefania, Cristiana e tanti tanti
altri insieme nella bellezza del paesaggio, dell’amicizia e della poesia. Che
giorni o vita mia!
Si può
utilizzare però anche la risorsa della fantasia, grande carica esplosiva, che
ti incita a inventare cose nuove, ad aprirti verso nuovi orizzonti. E per
questo non devo andare tanto lontano. Mi soccorre un libro dei miei sette anni
(ahahah): il mio amico Robinson che eternamente cito, soprattutto la pagina del
suo bilancio, quando è l’unico naufrago sull’isola deserta, di cui trattengo
una sola parola: reinventare. Soluzione valida da proporre a se stessi e magari
anche ai propri alunni per superare momenti difficili. E ripenso pure al poeta
coreano Ko Un con La Strada, che ci sprona a procedere nella vita
ricreando giorno per giorno la nostra strada.
La
strada non c’è. // Da qui in poi, speranza. / Mi manca il respiro, / da qui in
poi, speranza. / Se la strada non c’è, / la costruisco mentre procedo. / Da qui
in poi, storia. / Storia non come passato, / ma come tutto ciò che è. / Dal futuro,
/ dai suoi pericoli, / alla mia vita presente, / fino all’ignoto che segue, / all’oscurità
che segue. / Oscurità / è solo assenza di luce. / Da qui in poi, speranza. / La
strada non c’è. / Perciò / la costruisco mentre procedo. / Ecco la strada. / Ecco
la strada, e porta con sé, impeccabili, / innumerevoli domani.
Comincio
allora col reinventare le azioni quotidiane: oggi tocca stirare, caricando i
gesti più umili e semplici di un significato particolare grazie alla forza creativa della fantasia. Così
scrivere e stirare insieme sarà il motivo conduttore dei miei quattro racconti
brevi settimanali purtroppo interrotti da un piede canaglia che mi ha tolto
questo appuntamento col ferro da stiro, ma ringraziando il cielo, non mi ha
sottratto il conforto di scrivere, di fissare anche questo tempo che non avrei
mai immaginato di vivere. Mi sembra di essere, in questa specie di limbo, come
la suonatrice di mandolino che attende la nota giusta, ovvero
l’ispirazione, per dar vita ad una musica inedita.
IN
DIRETTA DALLA RAI: REINVENTIAMO L’ORA! INSIEME NELLE CAMICIE – 14 aprile 2020
Quale
dilemma scegliere ora? Nessuno, basta riportare la voce di Robinson che insegna
a reinventare il giorno nell’isola deserta. E così senza ascoltare i bravi che
dicono che non s’ha da fare, io procedo con le camicie da stirare. E, tacca
banda, non solo pensando al collo e ai polsi, cara mamma, ma anche alle
maniche. In questi giorni è più caldo e si può stare più liberi senza pullover
e, sempre per la dignità, ben stirati. Per farmi coraggio nell’ardua impresa,
oggi sono proprio tante, siamo proprio masochisti, col pensier mi fingo fra voi
cenacoline, con il ferro in mano tutte insieme con movimenti eleganti e con lo
stesso ritmo. Una visione dell’insieme che mi ricorda altre: sul campo davanti
a casa, donne, tante, a gruppi piegate a raccogliere tarassaco, con ritmi
larghi della mano, con uguali piegamenti, come un quadro d’altri tempi.
L’insieme è tutto da scoprire: è l’armonia umana tradotta in gesti e il mio
dottore, caro amico Ermanno, diceva che andare a pissacani coi capelli al vento
faceva molto bene e toglieva ogni irritazione. E stirando più veloce, aumentato
il vapore, altre visioni d’insieme sorgono, come rituali incontrati in una stanza
prospiciente all’aia in una casa della campagna veneta: qui tante donne
facevano merletti a fusello con il tombolo come a Burano, sempre con armonia di
movimenti e intenti. Lì acquistai delle opere d’arte,
incastro
della mia tovaglia di bisso più bella, usata nei battesimi, nelle comunioni,
nelle solennità della famiglia. Ancora una volta la vita si fa arte e io di
pensiero in pensiero, di quadro in quadro, son quasi giunta alla fine ma mi
rimane quel centrotavola a stelle tutte all’uncinetto di cotone bianco e mille
trafori in mezzo, opera della nonna Pina, che devo onorare. Qui l’amore per noi
tre nipoti femmine ancora vince la morte e lei rimane accanto a noi prona sul
letto a cucire le stelle maggiori e minori come in un cielo splendente
agostano. L’insieme è manufatto di una sola persona mai sola, sempre
accompagnata dal rosario doloroso, anche allora nella Settimana Santa. E
candido splende il copriletto che rimane insieme memoria d’operosità, grazia,
affetto, bellezza.
Ecco,
non trovo le lenzuola. Ah bene, sono fuori al vento. Sarà lui a stirarle, a
riassettare i fiori per un prato fiorito nella notte. Anche qui è un insieme
che crea un tutto armonioso. E penso a mia madre che, anche se stirava
l’essenziale, era l’armonia della casa e proprio della Settimana Santa ne era
la vestale. Ormai senza accorgermi ho ingentilito con un colpo di ferro anche i
ruvidi asciugamani di spugna rileggendo col pensiero le pagine del nostro tempo
pasquale. E così concludo in gloria perché ripassare i ricordi buoni in questo
vento virale, lo dicono anche per tutti i quattro cantoni telematici gli
stregoni della psiche, infonde pace dentro e ridona pure vigore. Così sia per
me, per tutte voi, amiche care.
IN
DIRETTA DALLA RAI: REINVENTIAMO L’ORA! CAMICIE MUSICANTI – 21 aprile 2020
Mattina
di camicie musicanti al suono di un’antica filastrocca ripescata da un album
segreto di ricordi e compagna delle ore d’oggi: la vispa Teresa avea fra
l’erbetta al volo sorpresa gentil farfalletta e tutta giuliva… Al ritmo come a
un refrain si muove il ferro sulle camicie, punizione questa per noi nati come
le uova, in camicia, non però con la camicia. Così vestiti infatti, pur con
cravatta e abito da ufficio direttivo, mio marito e il padre prima, ritornati a
casa vangavano, zappavano la terra dell’orto sempre come antichi cincinnati.
Quando il DNA è sbagliato non c’è niente da fare ed io, come un’oca giuliva,
poi li seguivo nel ruolo docente così bardata tanto che ero soprannominata “la
prof. in camicia”. Seguendo il pensiero e la mano e il ritmo interiore,
individuo il motivo di questa sortita musicale: una farfalla gialla riflessa
sulla vetrata aperta sul giardino pure con fiori di contorno, rosate azalee,
un’aquilegia blu e gentili veroniche nel sottobosco… Che fortuna, mi dico, che
questo pezzo di verde mi entri anche in casa fino all’asse da stiro e mi dia un
senso di libertà, purezza, respiro come se il vampiro usurpatore non avesse
messo mani e piedi nelle nostre vite! E nel canto interiore, nell’immagine
della vispa Teresa s’insinua il sibilo del vapore del ferro-amico che mi
ricorda di non perdere la testa: «Le stoffe, mi dice sbuffando, hanno suoni
diversi, più ruvidi, più teneri, quindi bisognosi di calore e mano adeguata».
In effetti è sapienza antica questa: i tessuti più faticosi, suono di carta
stropicciata, si rivelano malleabili, morbidi. Quelli rosei invece, teneri come
il suono di una piuma, si mostrano pieni di anfratti, di pieghe infinite da
decifrare come l’animo umano sempre da rileggere per i misteri che può svelare.
E così ricuperata la storia dei tessuti, altro suono s’insinua in questa strana
mattina, nel vento che si leva più forte fra le fronde: è il suono del treno
lontano che pure nella notte, in un’areata congiunzione, si posa sul davanzale
vivo presente: è il treno della vita che passa ignaro del dove e del quando
fermarsi per sempre. Ma a questa metafora dolorosa risponde un altro fischio
rimbalzante
nell’anima: il fischio del treno alle Giarre, annunciato da molto lontano,
atteso da noi, Valeria, io ed i bambini. Quando passava era tutto un saluto di
mani bandierine, uno spettacolo di vita unico, emozionante, ora quasi una
nostalgia. Ma ci sta anche quella, ammorbidisce il cuore. Lo diciamo sempre che
è ristoro il ricordo dell’avuto, conquistato con fatica ma non assaporato fino
in fondo, negato come nostalgia da quei quattro stregoni della psiche che
propongono nuove proposte per cambiare il tutto salvandosi. Ma A ciascuno il
suo, Sciascia, è vissuto da ricuperare come linfa per il futuro. E
l’ampiezza della campagna veneta, quel suono insieme magico per noi allora
giovani, mi richiama altro paesaggio, altra Voce che sublime si leva: a Milano,
nell’anfiteatro di guglie eterne, Bocelli solo nella pienezza immensa delle
nostre
anime strette dal suo spiritual, dilata spazio e tempo ai campi di cotone
neniati dai negri, fino all’universo intero. Canto che univa, unisce come una
preghiera in una distesa illimitata di speranza, conforto, attesa. Quale
emozione nuova Dio ci doni in questa ora magra! E dando gli ultimi colpi di
ferro più leggeri, penso a quando Giulia suona Chopin e sento allora le note
del suo pianoforte che si espandono fino a casa nostra: un modo altro di stare
insieme e di parlarci. E nella musica armoniosa e gentile c’è tutto il suo
mondo di attese tradite che vorrebbe vivere, riavere. Ma poi le nostre parole
al telefono colmano, a mo’ degli stregoni della psiche, i vuoti con ponti di
fede, di progetti, come nell’attesa dell’Evento quando ci cantavamo, sempre al
telefono, i canti di Natale: era uno stare insieme nella gioia del momento.
Beata attesa, beata nostalgia che donano vita a nuovi virgulti e speranza, così
ora si abitano le terrazze piene di canto, del suono dei violini, delle campane
tutte distese per sentirci più umani, più vicini. Ma io vado via di testa con
questo ferro ancora in mano mentre il vento sale e alza rumori di bufera.
Basta, stacco… che gioia! Posso raccontare dei suoni che mi hanno occupato
l’anima e ripassare come al solito pagine di vita, con il motto però che
abbiamo davanti una strada da costruire ogni giorno in modo diverso, secondo
l’aria che tira. E coltivare sempre la vita con un suono nel cuore perché,
quando ci si sveglia al mattino con una musica dentro o il ritmo di una
filastrocca, compagne per lungo tempo, è da ringraziare Dio. Questo angolo di
fuga, di note, di musica, di poesia, è un’altra risorsa interiore per salvarsi.
Pure l’imminenza del suono del campanello diviene vitale: è attesa-annuncio di
un incontro umano, pur breve, a distanze sociali, è un ritrovarsi nella nostra
comune appartenenza. Ma se un giorno di primavera un viaggiatore suona tre
volte il campanello, si leva per me la musica della famiglia ricomposta a
distanza in giardino, nella cornice fiorita esplosa di fiori di speranza: rose
gialle senza spine illuminate da una peonia rossa immensa. Ora si è abbassata
la quota della felicità a noi concessa, basta questo suono amico per ridonarci
la beata quotidianità.
IN DIRETTA DALLA RAI: PERSONE
IN STIRATURA – 28 aprile 2020
Il vento fra le rose, il grigiore della pioggia,
ristoro magro per la terra, la voce della radio ossessionante il numero dei
morti, stiro ormai pacata con il mestiere nobilitato dal pensiero che libero si
muove secondo sua vocazione. Ed ora insegue il carro con le bare dentro,
illacrimato, senza alcuna pietà. L’ho scritto anch’io, vorrei gridare in
assonanza con la radio: «pietà di quei morti orfani dell’ultima sillaba, del
non detto, di quel fiore non dato» o virgiliana pietas! Vorrei gridarlo
anch’io, non per protagonismo di stiratrice ma per manifestare l’appartenenza.
E con sospiro penso: per fortuna che i nostri genitori sono morti da tempo,
illibati da questo orrore, anche se la fine di mio padre, in un nuovo
internamento è una storia da decodificare. E mi congratulo per la camicia a
righe rosa fucsia: bel colore adatto all’ora, buona stoffa, puro cotone dal
Giappone, al seguito di Nico mio cognato, assiduo ai congressi in oriente,
donata da mia sorella perché allora la Bice mi tagliava, mi cuciva, cuciva
perfino le gonnelline per la Giulia con gli scampoli delle mie camicie. Bella
questa appartenenza: siamo singoli in un insieme, una famiglia allargata che
appartiene
al mondo intero, anche se questa, a dire il vero,
si paga ora a esorbitante prezzo. E guardo, sulla parete a lato, Alex in foto:
costume da rugbista in piena meta. Come deve soffrire ora di questa sua vita
rubata che lo fa sentire stretto anche nel suo giardino, ed è già fortunato,
con disagi esistenziali. Allora bisogna dilatare lo spazio fino all’albicocco
dei nonni, arrivarci, arrampicarsi fra i rami, poi sedersi sull’erba, a
distanza sociale, e parlare col papi, coi nonni compagni di giorni interi: «che
bello star qui in pace all’ombra dei rosai» sussurra Alex come un adulto.
Ascoltando il suono della sua voce così tenera ho già stirato altre due camicie
anche se uno spirito negativo dentro si chiede a che vale darsi tanto daffare
se c’è intorno questo vampiro usurpatore che ci assedia, ci assilla: tutto in
un attimo si stropiccia come la rosa raccolta ieri in giardino. Ma il senso
della vita da portare avanti è proprio nelle piccole cose da riscoprire e
amare. E dai! E mi risuona il dolce verso francese Mignonne, allons voir si la
rose
Mignonne,
allons voir si la rose / Qui ce matin avait déclose / Sa robe de pourpre au
soleil, / A point perdu cette vesprée, / Les plis de sa robe pourprée... // …Ô
vraiment marâtre Nature, / Puis qu’une telle fleur ne dure / Que du matin
jusques au soir!...
E il
pensiero che si fa musica e non si ferma mai è compagnia, evasione e si accorda
magicamente con quello che stiro. Sono col ferro sopra i colori di una tovaglia
intima per due: lino bianco, dono della zia Pina, più passamaneria alta a mele
rosse intere, aperte, a spicchi di cromatico effetto. È dal mercato di Rubano,
altro luogo del cuore che col poco sa creare. È tutta una trama la vita,
infinita ed ecco zia Pina che ritorna a me sposa, maestra di stiro per vestiti
e camicie da uomo, lei ne aveva un’intera tribù. Così si cresceva allora
insieme in ogni avventura, umili e grati alla mano che si offriva. E lei è come
se mi fosse accanto: guarda ora, zia Pina, che splendente è la tovaglia intima:
la stendo quando provo malinconia perché dona luce e colore. Guarda, faccio
concorrenza alla Valentina che ha nel cuore la sua terra ucraina rivissuta con
me in musica e poesia. E così ho completato il lavoro anticipato al lunedì
piovoso, affollato di pensieri perché di domenica li mando tutti in vacanza,
come quelli del mio libro, edito a dicembre, ora come perso nel vento virale,
che mi sta nello stomaco come un macigno. E così ho compiuto la quarta
stiratura con il piacere di pensare in libertà e scrivere. Mi perdonino quelli
che non hanno tempo per i malati di fantasia!
Si è
rotto l’incantesimo proprio per questo piede canaglia e, come ho detto, si è
concluso così l’appuntamento, anzi l’avventura, col mio ferro da stiro pensante,
il cui ricordo rimane vivo in tante voci amiche di stiratrici, artiste o
semplicemente amiche che vi hanno dedicato alcune loro riflessioni in un
dialogo virtuale che ugualmente ci ha tenute strette insieme partecipi a questa
operazione camicie creando una rete di salvataggio dal pozzo di paura e di
panico, dai silenzi virali.
Ed ora
a voi ragazze…
a Eva
Zandonà, spirito critico acuto:
Leggendo
quest’altro pensiero mi sembra di ritrovarsi dentro ai suoi stessi ricordi,
tanto sono ben dipinti. Immagini vivide che ricreano atmosfere evanescenti,
bucoliche, quasi idilliache. A quanto pare, stirare le fa molto bene,
stimolando la sua creatività: che l’avrebbe mai detto?
…
persino finché stira riesce a trovare significati umanissimi e colti! Questa è
la capacità del poeta che decifra la realtà e capta nella quotidianità una
bellezza rara e non visibile a chiunque.
a
Maria Elisabetta Zaroli, che si diverte seguendo le mie uscite, addirittura con
citazioni poetiche:
Mi hai
fatta ridere un sacco con i tuoi pensieri mentre stiravi… ne va della nostra
dignità e del nostro benessere… Non è la stessa cosa dormire tra le lenzuola
stirate bene e di bucato e lenzuola stropicciate e non profumate. Almeno il
sonno che sia tranquillo e confortevole sotto la protezione della Madonna che
sa tutto del come, del dove, del quando, di quel che ci succederà e ci starà
accanto. Anche io ero accanto a mia madre quando se ne è andata per sempre e le
tenevo la mano… “Che la mia morte sia dolce come un bel tramonto di sole” si
augurava e così è stato! Ma lo sai che i nostri desideri sono sentiti lassù e
se ci pensi bene forse sono stati anche esauditi… o lo saranno. Dobbiamo avere
fiducia perché non siamo soli. Mai.
E
quando il pericolo finì / e la gente si ritrovò / si addolorarono per i morti /
e fecero nuove scelte / e sognarono nuove visioni / e crearono nuovi modi di
vivere / e guarirono completamente la terra / così come erano guariti loro.
Ma
quante camicie hai da sitare… con due fratelli quante ne ho stirate anch’io!
Ero bravissima perché anche inamidavo il colletto. È un bel lavoro perché
intanto la mente vaga coi suoi pensieri… E non ti accorgi che il tempo passa e
intanto magari hai in mente la trama di un racconto o di una poesia… che subito
dopo sei pronta a buttar giù. Mio marito diceva che scriveva poesie,
rigorosamente in sonetti per esercitare, diceva lui, la memoria.
Se Tu
ritorni a Gerusalemme / non troverai pescatori di sogni / che tingono le reti
dei colori dell’alba / o pastori che aspettano canti di comete. / I fiori
appassiscono sui campi minati / dove il fuoco brucia antiche antiche primavere
/ e i fucili uccidono i silenzi / nel sogno di pace che muore tra gli ulivi.
a
Milvia Romano che ritorna bambina:
E
stira e stira, mi hai fatto venire in mente quando, da piccole, facevamo il
girotondo cantando la bella lavandaia. Ora canteremo le belle stiratrici perché
anch’io l’ho fatto ieri. Cerchiamo di tenerci in salute…
ad
Anna Chiodin che unisce ricordi materni ed altro:
Sono
considerazioni che mi ricordano tanto mia mamma, diceva le stesse cose,
naturalmente non con termini poetici, grazie, veramente bello e un po’ ironico,
che in questo periodo si apprezza ancora di più… per te il tempo del ritiro
obbligato diventa creativo.
Carissima,
se tu stirando crei racconti con vena poetica e nostalgica, fallo spesso. Il
centrotavola è meraviglioso e penso che altrettanto belle siano le opere uscite
dalle mani della nonna, simpatici poi tutti i vari riferimenti fatti, incontri
con le donne che raccolgono tarassaco, il tuo medico… grazie e sempre
complimenti per il tuo lavoro intellettuale.
a
Elvira Daniele con le sue battute scherzose:
Mi
inchino davanti alla poetessa che sa trasformare in poesia anche un gesto così
umile. La poesia mi è piaciuta davvero e capisco che con Marisa d’ora in poi
bisogna parlare solo in versi no versacci in versi poetici.
a
Luisa Segato con la sua saggia valutazione:
Emozionante,
Marisa, questo tuo andare nel tempo perduto tra ricordi e attualità per
rimanere serenamente in equilibrio. Grazie.
a
Luciana Filippi con i suoi sogni:
Appisolata
nel mio piccolo angolo di mondo ti ascolto e sogno. Grazie di questa gioia
immensa, dolce e malinconica visione di un mondo passato ma viva e tenace nel
presente…
Sei
unica Marisa…
a
Mario Richter con la sua puntuale sintesi:
Cara
Marisa, con piacere ho letto queste tue emozionate ed emozionanti rievocazioni,
queste tue vive impressioni. Grazie.
a
Daniela Babolin, mia scolara, che affettuosamente mi dice:
Non ho
parole, per questo racconto, per gli esiti degli stiraggi, per tutto ciò che
esce da quella penna e da quell'animo.
Posso
dire solamente: Brava, Prof!
E
grazie per tutto ciò che mi ha donato in questo lungo tempo insieme.
Espressioni,
come ho già detto, che hanno la forza di un incontro, impossibile dato il tempo
di Coronavirus, con queste care persone, però ugualmente sono un modo per stare
bene insieme nella parola. Ed ecco, inatteso, e per questo ancor più gradito,
l’incontro nel blog di Nazario Pardini Alla volta di Leucade con Maria
Rizzi che qui riporto nella bellezza delle note critiche esprimendole subito la
mia gratitudine:
Cara Maria, non sai la gioia che ho
provato nel leggerti ieri sera. Solo allora ho visto la tua bella recensione
perché a dirti il vero non seguo con grande passione internet, anzi sono
un’analfabeta, amo solo penna e calamaio. Ma ritorniamo alla gioia che nasce
dall’essere insieme in quelle mie parole con un’altra anima che ti riconosce,
ti capisce, ti scrive parlando la tua stessa lingua e sa leggerti dentro con
spirito acuto e grande sensibilità. Davvero hai detto cose meravigliose
espresse con la tua solita eleganza. E ancora ti sono grata. Ma è anche gioia
di ricordare i momenti vissuti assieme ad Abano al premio Voci, momenti di
grandi emozioni, di professionalità, di umanità che non dimenticherò mai, anzi
ieri sera ho rivissuto le due cerimonie lì in alto nel buio illuminato solo da
alcune luci sul palco, in un’atmosfera magica che solo i poeti e i bravi
presentatori sanno realizzare. E i ricordi belli nutrono l’anima e la fanno
volare oltre la bassa pressione virale. Se mi darai il tuo numero di telefono
mi sarà grande motivo di altra gioia parlare con te a viva voce col cuore in
mano.
…
Carissima Maria Luisa,
sono
io a ringraziare te per il meraviglioso 'quartetto d'archi' a suon di ferro da
stiro. Un'Opera di rara originalità, scritto con nerbo narrativo, padronanza
della penna e con un umorismo che nulla toglie alla tragedia che siamo chiamati
a fronteggiare…
Cara
Maria ti incito a chiudere, con le tue intuizioni felici e con le emozioni dei
nostri incontri al premio ricordato, questo programma radiofonico “In diretta
dalla Rai: reinventiamo l’ora, insieme nelle camicie!”: brevi racconti, come
dice Nazario, nati dalla fantasia e dalla memoria ripassando la vita, come affermi
tu.
A dir poco avvincente la lettura di questi
quattro racconti della cara Maria Luisa Daniele Toffanin, che ho avuto l'onore
di conoscere e premiare. Ero consapevole delle sue capacità poetiche, non la
conoscevo in prosa e devo dire che questo mese d'aprile scandito dal 'canto'
del ferro sulle stoffe di varia fattura, ricorda per ritmo e armonia una
ballata. Questo dolcissimo componimento musicale a carattere sentimentale,
diviso in quattro tempi - settimane - ha la grande struttura dell'allegoria di
un'intera vita attraverso l'atto dello stirare e la presa di coscienza di un
fermo - vita e di orrori inimmaginabili. Tutte le componenti di questa metafora
esistenziale hanno come filo conduttore il passo di danza della Scrittrice, che
narra, seduce, avvolge, coinvolge. Gli eventi del passato riemergono dai
territori della memoria e la saudade è palpabile... nei periodi tragici il
potere dei ricordi può essere sfiancante e curante al tempo stesso... Le verità
della vita lievitano nelle righe e tra di esse e spesso commuovono, in quanto
le storie evocate nel giro di ballo sono condivisibili ed è risaputo che la
Letteratura autentica crea uno stato di empatia tra chi scrive e coloro che
leggono. Posso dire di essere uscita arricchita in ogni senso da questo valzer
con il ferro da stiro, anche se non ho stirato meravigliose tovaglie o lenzuola
cucite da parenti. Le camicie sì... e da oggi in poi le vivrò con levità e con
la fantasia in libertà. Grazie Maria Luisa, possiedi un talento straordinario!
Ti abbraccio, insieme al caro Nazario che con il suo incipit ha dato voce alle
prime note. Maria Rizzi, 21 maggio
Quanto onore, Amici miei! Su quest'Isola avvengono magie impensabili. Il meraviglioso 'romanzo in versi' che ha arricchito il mio mando interiore per vari giorni e il 'Quartetto d'archi' che lessi su Leucade ricevono una valorizzazione impensata. Sono grata agli incontri, che rendono questo periodo particolare vento di nuovi germogli, e a voi due, ormai Amici di sempre, per queste gratificazioni. Maria Luisa, le stanze di via Gabelli sono davvero altissime per la sottoscritta: è stato un grande Onore! Vi abbraccio entrambi.
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