mercoledì 17 giugno 2020

NAZARIO PARDINI LEGGE: "TRA I MIEI SOGNI" DI FRANCESCO TERRONE



Francesco Terrone
TRA I MIEI SOGNI

La dialettica dei contrari nel percorso
poematico di Francesco Terrone

Recensione di Nazario Pardini

La poesia di Francesco Terrone è una poesia fortemente umana, spirituale: una ricerca continua di un luogo dove l’animo umano possa confondersi coi colori della natura, coi raggi dei cieli azzurri, con i segni di un Creatore vòlti all’amore verso gli uomini, che, a loro volta,  reificano tutto il loro sentire nella grandezza del Cielo. C’è nella sua  poesia la vita in tutte le sue angolazioni: sogni, memorie, élan verso l’oltre, par-dessus le troit, direbbe Paul Verlaine, l’amore, il senso dell’eterno verso cui il poeta è diretto con tutta la sua portata ontologica. “Con il tuo strano / modo di amare / hai creato / un abisso nel mio cuore. / Ogni granellino di sabbia / una lacrima, / una goccia d’acqua / in un immenso mare / di confusione / e dolore” (Come il mare).  Ed è proprio il mare l’immagine più vicina al desiderio degli uomini nella loro ricerca verso l’alto. D’altronde siamo uomini e come tali soggetti a soffrire delle  nostre restrizioni di fronte all’assoluto. E il mare ne è il simbolo più visivo. Ognuno di noi ambisce a toccare con la nostra precarietà l’infinitezza degli orizzonti più lontani. Un’aspirazione a superare la soglia che ci tiene vincolati alla terra: “Vivo con rassegnazione / questa profonda ferita / che insiste / senza pietà / in fondo al mio cuore. / Capirai un giorno / il male che / mi hai fatto. / Ormai per me / sei solo una corteccia / che galleggia sulle onde di un oceano / senza pace!” (Corteccia d’amore). La lingua si agita nei suoi versi, si amplifica, si scorcia, si fa più ampia o meno, per concretizzare gli sbalzi emotivi. E quando il poeta ritiene che la sua parola non sia adatta a visualizzare il tutto, ricorre a figure retoriche di ampio respiro, metafore, sinestesie, metonimie, iperboli. E’ così che il suo diagramma fonetico si fa ora ampio ora apodittico, ora ristretto ora paratattico in una oscillazione continua verso l’impossibile: “È un sole / che piange, / un sole che sa di non poter / splendere di notte, / a mezzanotte!” (Così strano). D’altronde è l’amore la nota dolente della vita, è l’erotismo, che contro ogni dispersione emotiva si affaccia alla finestra con tutta la sua virulenza, anche a farti male: “Continuo / a volerti bene / anche se / la tua indifferenza / mi graffia il cuore / e mi rende solo / nel silenzio della notte.” (Graffi al cuore). E il poeta rivela proprio nelle poesie amorose tutto il suo epigrammatico pathos; tutta la sua ontologica sofferenza, tanto che l’aspetto erotico si traduce in ciò che la vita ci prospetta durante il corso della sua evoluzione; si può anche tramutare in una ricerca verso l’immenso, verso quella totalità che ci affranca dalle aporie del quotidiano:   “Se hai voglia, / se hai tempo, / guarda il cielo: / quello è il mio amore…/ l’immenso.” (L’immenso). A questo punto credo non sia improprio riportare una breve pericope tratta da un mio scritto sul poeta: “Poesia morbida, fluente, empaticamente sinuosa, dove il verso, con scarti di semantica adesione, dà corpo a sentimenti plurali e vitali. Tutto è guidato da un senso di armoniche misure, da un tatto di ontologica intrusione; e la vita con  la sua proteiforme complessità concede ai versi i suoi vasti movimenti; le sue più nascoste peripezie; le sue più sentite conflittualità: amore, solitudine, mistero, inquietudine, sogno, eros, thanatos…. Ed è dalle contrapposizioni vicissitudinali; dai contrappesi di memoria eraclitea che si sviluppa la saudade, la solitudine, l’inquietudine; è dal polemos degli opposti che nasce e cresce il senso dell’esser-ci: giorno notte, luce buio, melanconia gioia. Sono questi opposti che nella loro simbiotica fusione danno il seme al fiorire del canto. Un fiorire che richiede fatica e dolore, lavoro ed energia, memoria e potere creativo; quel lavoro che il Nostro impiega nel costruire strutture di varia portata epigrammatica, cresciute in base alle richieste del cuore, di un’anima tutta volta alla ricerca di se stessa…”. D’altronde l’Autore, umano tra gli umani, soffre della sua statura terrena, del suo essere precario di fronte a quel tutto a cui aspira, anche nel mistero escatologico del suo credo: Mistero: “I misteri della vita / sono i misteri della fede, / la fede in un Dio/ che si nasconde e tace. / Più lo cerchi / e più si nasconde/ un mistero profondo / anni e secoli, / che si concretizza / nel volo degli uccelli, / nel profumo dei fiori, / nelle lacrime di un bambino / appena nato / che cerca la mamma”. Forse è proprio nei palpiti di un mondo di spiritualità metafisica che il Nostro riesce a placare le inquietudini dell’esistere.
Nazario Pardini

Francesco Terrone, Tra i miei sogni, Guido Miano Editore, Milano 2018, pp. 100.
































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