venerdì 12 ottobre 2018

N. PARDINI LEGGE: "NAVIGO NELLE PAROLE" DI GIUSEPPINA DI LEO




Giuseppina Di Leo. Navigo nelle parole. Libreria Editrice Urso. Avola. 2018


La metafora del viaggio nella Poetica di Giuseppina Di Leo



Navigo nelle parole
come un  naufrago si affida
alla corrente del mare.
Nessuna bussola
né coperta né remo
per orientarmi, coprirmi
o indirizzarmi, solo parole
flutti di parole per non naufragare.
Così, mettendo da parte
i pensieri, mi affido al mare.
Sorvolando onde gigantesche
rigetto al fondo
le parole urlate.
In un cielo che ci inabissa
nel silenzio si fa meno amara
la stanchezza della vita.

Partendo da questa poesia testuale si può entrare da subito nel percorso poetico della Di Leo,  nei suoi  elementi fonici e epigrammatici; nel suo mondo di voli e di stasi. Navigare nelle parole, il titolo, e la Poetessa conosce l’importanza della parola nell’insieme sintattico-emotivo di un percorso. Sa che si ricorre ai suoi sintagmi di ultra misura, quando il viaggio si fa duro e si spegne in un cul de sac; ed è un lungo viaggio che Ella affronta, nel mare, nella distesa immensa dei suoi flutti, nel piano infinito della sua apertura. Una navigazione piena di scogli e di trabucchi, che ci impediscono  spesso di proseguire verso quell’isola a cui aspiriamo. Considerando le nostre possibilità da terreni, il nostro miope sguardo, tutto ciò che vediamo è di gran lunga più piccolo di quello che immaginiamo; l’orizzonte si fa infinito, e la vista si offusca, non riesce ad andare oltre il limen che ci circonda. Sì, è umano, fortemente umano ambire ad un’isola che soddisfi il nostro desiderio; il fatto che quest’isola esista o non esista è secondario, quello che conta è sentire in noi la voglia di andare. Quando ci troviamo nel cuore dell’Oceano, nelle grinfie dei pelaghi, abbiamo bisogno di una imbarcazione robusta e attrezzata per continuare. L’imbarcazione della Di Leo è la parola; quel misterioso sintagma pensato, lavorato, smussato e artigianalmente inanellato che le dà la forza di azzardare oltre il termine stesso, alla ricerca di un quid che corrisponda ai barbagli del sentire. La parola, sì, proprio; è su quella zattera che la Poetessa si avventura per risolvere tanti dilemmi; è ad essa che affida il compito di chiarire il complicato gioco delle parti. È qui la forza di questa poesia, sta tutta  nella simbiotica fusione tra verbo e ontologico esistere. Ed il cammino della Nostra prosegue con tutti i dilemmi del vivere; con tutti gli interrogativi non risolti e irrisolvibili della nostra vicenda umana: il tempo, la memoria, la realtà, l’iquietudine, il malum vitae... Ci si aggrappa a scogli a strapiombo per ascoltare la voce del mare, per indagare sul mistero dell’essr-ci. E lo si fa, chiusi dentro noi stessi, con ampi accostamenti sinestetici; con una corposa metaforicità che aiuta non poco il dettato lirico:

Siamo qui
estranei a quanto sta accadendo
fuori
quasi e soprattutto il vento.

I versi si ampliano e si scorciano con rattenute monoverbali dove la Di Leo appoggia il valore di un signifiacante di grande effetto simbolico.
E si continua toccando spiagge intellettivo-meditative: cultura, emozione, ricerca, inquietudine e soprattutto etimi che appaghino:

Ci sono parole peggiori? Certo ingiuste
furono le parole per un’estate calda come questa.


Il figlio di Crono ti donò il sonno di Zefiro
e il sonno ti portò il sogno del ritorno
e tu vedesti gli uomini lavorare i campi
e le donne nelle arti affaccendate
e le vecchie agli usci silenziose ad aspettare.

L’attesa, il sonno, il sogno, i campi... tante note che danno un senso ad una storia: ora attraverso la Guerra:

Il ghetto si allarga e nuovamente lo spazio restringe
al vecchio modo al volere del re...

ora con Zarathustra,...

Nell’ora in cui l’uomo cominciò a parlare
delle sue virtù, Eloisa sapeva quanto a lungo
avrebbe atteso ancora. Il giorno non fugge via
è appena rientrato dalle porte, dietro alle finestre
aspetta che le imposte siano spalancate...

ora con Artemide:

Mi faceva sorridere
sempre attenta com’era
veloce con gli archi e con le frecce
dal nascere del sole alla sera.

Era della sera attesa la quiete
nei ventagli delle foglie si apriva un varco
allora nelle acque la sete placava.

Vederla dall’alto mi appagava
dall’essere sole. Dall’una all’altra
fummo entrambe Luna.

Dove il verso si fa più disteso, meno narrativo, più lirico e  più vicino alle vibrazioni emotive; al patema, all’apparenza, distaccato della Di Leo.

Ed ora su Il viale dei platani:

Gitana addormentata in fondo al tuo vestito
a rose antiche...

attraversando L’uomo onda,... Lisboa, Fogli e falle, per giungere a L’idea dove la Poetessa  con oracolare guizzo inventivo ci offre il senso della sua poetica:

andare o restare?:

Sì, viaggiare significa restare.
Un restare pigiati insieme
a tanti altri, di cui non importa:
se sapremo, mai ne ricorderemo i nomi.
E giù, più in basso andando,
ne verrebbe un altro controsenso
il dadaismo della costrizione
nella descrizione del dolore.
E mancare persino di speranza.

(...)

E andare lontano
dove restare fogli
per sempre.Vorrei. – Alé!

Forse è proprio dopo un lungo cammino che si sente il bisogno di scoprire altra verità: quella di fermarci... per esempio. Non importa se fogli o altro, basta assaporare finalmente l’ora dell’arrivo. Non era Pavese a dire: ““Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. E non era  Sidney Lanier a scrivere“La musica è amore in cerca di una parola”, quella musica che guida Giuseppina Di Leo nel lungo corso del suo “poema”.

Nazario Pardini

2 commenti:

  1. Caro Nazario, ho letto con emozione crescente le parole del tuo commento (bellissimo!) alla mia poesia. Gli elementi che la compongono ci sono tutti: dall'attesa alla necessità del ritorno… E davvero non saprei aggiungere nulla se non un grazie infinito per il modo mirabile con cui hai sapientemente colto gli aspetti che più ritengo importanti per la mia ricerca.
    Giuseppina Di Leo

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  2. Una doppia metafora caratterizza la poesia incipitaria –Navigo nelle parole- di G. Di Leo: la parola- onda inquieta, gigantesca che diventa necessario “sorvolare”, l’io poetante disorientato, in sua balìa, naufrago che si affida inerme, quasi sprovveduto (senza remo/nessuna bussola…)al mare e alla sua corrente cercando di allontanare “inabissare le parole urlate”. Una poesia che è pure espressione di una poetica vissuta e sofferta. Entrambe sono infatti sostenute dalla metafora-simbolo che le genera: quella, stanca, usurata, amara del viaggio. È il viaggio defatigante di un poeta che lotta corpo a corpo con i suoi poveri strumenti quotidiani, che all’urlo della parola usurata contrappone il silenzio: il viaggio della vita

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