lunedì 15 ottobre 2018

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "SENZA FISSA DIMORA" DI MARCO SOLARO


SENZA FISSA DIMORA, DI MARCO SOLARO
(Enoteca letteraria, 13/10/2018)


Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade
SENZA FISSA DIMORA, DI MARCO SOLARO
(Enoteca letteraria, 13/10/2018)

Le quinte si aprono con un non vedente seduto sul gradino di un marciapiede, un cappello poggiato sui sampietrini per l'elemosina e un cartello con su scritto: "Sono cieco, aiutatemi per favore". Il caso vuole che passi di lì un pubblicitario, il quale, versando una moneta, s'accorge che nel cappello ci sono pochi spiccioli. Così inizia il racconto, ma a lettura avanzata scopriamo che questa prima parte di Senza fissa dimora, di Marco Solaro (Enoteca Letteraria Edizioni), non è altro che un sogno, un lunghissimo sogno del non vedente che si apre con il ricordo di questo episodio di cronaca realmente accaduto, di cui molti hanno certamente memoria.
Il pubblicitario gira il cartello e scrive un'altra frase: "Oggi è primavera e io non posso vederla". Non rivela il trucco all'interessato, pur informandolo che ha riscritto la frase in un altro modo. A fine giornata il cieco si accorge di avere raccolto un bottino superiore ad ogni aspettativa, ma tornando a casa viene aggredito e derubato da un malvivente. Intorno a questo noto fatto di cronaca, l'autore, con una trama scarna e con pochissimi personaggi  costruisce uno straordinario ordito di riflessioni sul tema del linguaggio.
Il testo si presenta infatti come una lunga e vivace parabola che tende a mostrare l'importanza dell'autenticità nella comunicazione. Non si può comunicare con altri, se non si è leali con se stessi, allineati con la propria coscienza interiore. Lealtà, autenticità: parole rivoluzionarie, che si direbbero dimenticate in una cultura e in una società che hanno mandato letteralmente in pensione il mondo interiore, trasferendosi tutte sul piano superficiale ed esteriore del vivere (le cosiddette comunicazioni di massa).
 Le parole sono importanti, vuole dirci l'autore, ed hanno conseguenze imprevedibili. Se truffaldine, possono gratificare moltissimo, anche oltre il dovuto, come nel caso del bottino insperato, ma c'è il rovescio della medaglia, come nell'aggressione e nel furto subiti dal cieco. Il pubblicitario riscrive la frase, insensibile al problema morale che il linguaggio pone. Se interpellato, infatti, il non vedente non approverebbe quella frase, in quanto lui, pur non vedendo la primavera, è ugualmente in grado di riconoscerla e di poterla godere.
L'inganno, pur sembrando innocuo e benevolo, mostra di essere un boomerang che si ritorce contro il suo autore. Dall'inizio alla fine del racconto il tema della verità è e resta fondamentale. Sottile, dice l'autore, è il filo che separa, ma insieme unisce, la veglia dal sogno. La maggior parte dei sogni svanisce, ma ci sono sogni che lasciano segni indelebili nella vita reale. Il sogno del non vedente, egli scrive, "si era presentato al momento giusto, un utile carburante per proseguire". Una sorta di preambolo all'azione, una specie di preparazione psicologica per affrontare in modo migliore e diverso la vita.
L'handicap visivo che lo aveva pian piano condotto alla cecità era diventato nel tempo un alibi per nascondersi, per isolarsi dal mondo. "Aveva approfittato della sua cecità per rendersi invisibile alla vista degli altri", scrive l'autore. E ancora: "Era comodo far finta di non esistere per sottrarsi al pericolo e al timore di essere giudicato... In qualche modo aveva sfruttato il suo handicap. Si era nascosto dietro il buio dei suoi occhi". Eppure, proprio in quella condizione egli aveva potuto maturare pensieri e sogni - quel sogno in particolare - che lo aveva intimamente convinto di dover cambiare atteggiamento nei confronti della vita.
 Preparato proprio dal sogno, egli comprende di dover uscire dal guscio, fuori dal proprio steccato. E' il suo mondo interiore a pretenderlo, perché rifiuta l'isolamento e vuole fluire nel mondo, interagire con altre persone. E trova persino il coraggio di chiedere a un passante di aiutarlo a riscrivere l'ingannevole scritta del pubblicitario. Il fato di nuovo lo aiuta e il cappello si riempie di un insperato bottino, senza tuttavia incappare nelle spiacevoli conseguenze che nel sogno aveva subito. La sua vita migliora nettamente, diviene più ricca e gratificante, più fluida ed armoniosa.
"Cominciò a considerare quel sogno una specie di dono", scrive l'autore. E prosegue: "Ripensò alla frase di Borges, che conosceva da quando era giovane e che iniziò ora a interpretare in modo diverso. La chiave di quella frase non apriva la porta dell'individualismo e della semplice ricerca della propria identità, come aveva pensato da giovane. Al contrario, quella frase apriva la porta dell'altruismo. Portava alla consapevolezza che la propria identità, il proprio volto, si sarebbe potuto vedere tanto più nitidamente, quanto più si fosse rispecchiato nel mondo degli altri".
Di quale frase si parla? Borges, figura fondamentale della letteratura del nostro tempo, afflitto anche lui - guarda caso - da cecità progressiva, viene ricordato dal non vedente nel sogno per la sua visione antischematica, ancorata al mistero, consapevole dell'impossibilità di afferrare certezze definitive. Una poetica dello smarrimento, dove tutto è sfuggente ed ambiguo, mobile e inquieto, ma dove tutto è estremamente stabile e armonioso proprio in virtù di quell'incertezza creativa. Tuffarsi nel mistero non per perdersi, ma per ritrovare il sentiero della propria identità, delle proprie fonti archetipe, della propria patria interiore.
La frase, tratta dai versi finali dell'Elogio dell'ombra, opera senile di Borges, viene recitata dal non vedente a memoria e suona così: "Dovrebbe impaurirmi tutto questo / e invece è una dolcezza, un ritornare. / Posso infine scordare. Giungo al centro, / alla mia chiave, all'algebra, / al mio specchio. / Presto saprò chi sono". Il senso più compiuto della propria identità giunge nel momento dello stordimento mentale. Disfatta la corazza dell'ego, si apre la strada verso la vera identità, verso il segreto volto universale di se stessi.
 “Je est un autre”, ha detto Rimbaud, “Io è un altro”. Non "Io sono un altro", ma "Io è un altro". Identità come alterità, il come Altro da Sé, e viceversa. Tuffandosi in questo insondabile mistero, l'uomo non smarrisce se stesso, ma ritrova se stesso, o meglio la strada che conduce a se stesso e dunque alla concordanza universale. Dice il cieco: "la mia identità, il mio volto, coincide con il volto, con l'identità dell'universo, che a sua volta contiene tutti i volti". La coscienza profonda dell'uomo allineata con quella dell'universo intero. Siamo tessere di un immenso mosaico: ecco il messaggio di questa parabola speciale. Paradossalmente, l'uomo scopre la via di casa nel momento in cui smarrisce la propria fissa dimora.
 Una metamorfosi che produce nel non vedente uno stato di sconosciuta armonia. Una trasformazione che migliora radicalmente il suo stato, ma contiene, a dispetto della sua apparente dolcezza, elementi spiazzanti e inquietanti per il lettore. Quel passaggio avviene infatti sulla base di un apparente raggiro: l'utilizzo della famigerata frase del pubblicitario che inizialmente non trovava rispondenze nel suo vero sentire. Una furbata, dunque? un imbroglio, una bugia? Per rispondere, occorre rimuovere un pregiudizio grosso come una montagna e bisogna dare atto all'autore di avere molto coraggio.
Nell'ultima parte del sogno, il salumiere - figura nodale - chiede al non vedente: "Come è possibile che una persona buona sia anche cattiva?". Il fatto è che Caino e Abele non sono soltanto fratelli: simbolicamente sono una sola persona. L'integrità morale vuole, pretende, che il Bene ed il Male siano una cosa sola. Satanico (ma in fondo anche ingenuo) è dividere il mondo in buoni e cattivi. Il vero Male non è il Male, ma la separazione del Bene dal Male. Finché il Bene ed il Male si giovano dell'altro, ci troviamo nel cuore dell'armonia.
Intrigante la figura del salumiere. Uscito dal sogno e diventato uomo reale, costui ricorda un suo infantile pensiero. Gli uomini, pensava, "avevano deciso di mettere tutto il male dell'Universo dentro il Diavolo e tutto il Bene dell'Universo dentro Dio". Poi da adulto pensò che "senza conoscere il male e il dolore sarebbe stato impossibile conoscere l'altra faccia della medaglia, la bellezza del mondo". Un conto è il Male sterile e fine a se stesso, un altro il Male dalle cui zolle germoglia il Bene in continuazione. Si potrebbero portare centinaia di esempi a sostegno, ma non è il caso. L'uso della menzogna fatto inizialmente è assai diverso dall'uso fattone a metamorfosi avvenuta.
Nel primo caso c'è inganno perché il non vedente non è convinto di dover usare quella strategia. Nel secondo invece è lui stesso a sceglierla, per cui  tranello non c'è nei suoi confronti. Né gli altri risultano imbrogliati per questo,  visto che stanno lì ad attendere di poter essere generosi con lui. A lui comprendere: se accetta il mondo, il mondo lo ricambia con identica moneta. E gli sovviene una frase di Conrad che suona così: "Tradire. Parola grossa. Che significa tradimento? Di un uomo si dice che ha tradito il paese, gli amici, l'innamorata. L'unica cosa che un uomo può tradire è la propria coscienza". Quella coscienza che è sempre se stessa, immutabile, ma al tempo stesso partecipe del mondo, calata nel divenire.
Cercare l'identità non significa chiudersi nella propria torre d'avorio, nel proprio eremo interiore. Il se stesso profondo ha in odio l'ergastolo e vuole entrare in azione. Così il non vedente "capì che un imprevisto e un qualsiasi evento inatteso erano caratteristiche del mondo vero, il mondo delle infinite strade e delle infinite possibilità", scrive l'autore. Né rinuncia per questo alla sua verità, alla sua assolutezza, ma riesce ad accettare la mutevolezza, restando coerente con se stesso finanche nell'incoerenza apparente dell'agire quotidiano. Non incappa per questo nel relativismo morale.
Egli è in autoanalisi, esamina e giudica se stesso, non prende decisioni a cuor leggero. E' questo che conta. Ha una visione fluida e non schematica della vita interiore, una visione labirintica, ma al tempo stesso serena e superiore, davvero cosciente, capace di scorgere l'Unità nel Molteplice e la Molteplicità nell'Uno. C'è un accenno, nell'ultima pagina del libro, al problema di Dio. Un semplice accenno, giacché fuorviante risulta ogni discorso su Dio. E' a noi stessi che dobbiamo pensare. Dio sta fuori dal mondo, ma ci ha lasciato ogni coordinata per poter vivere una vita degna di questo nome. A noi metterlo in pratica, senza bisogno di nominarlo invano.
Interessanti le considerazioni finali del salumiere che, entrato in confidenza con il non vedente, decide di aiutarlo permettendogli, come era già accaduto nel sogno, di usare il suo magazzino. "Papà, papà, perché mi hai abbandonato?", ricorda il salumiere. "Perché quel Padre invisibile e silenzioso non si faceva mai vedere e sentire...?". E conclude: "Se non c'era un Padre immaginario disposto ad accogliere l'invocazione di un figlio, ci sarebbe almeno stato un fratello in carne ed ossa, in grado di aiutarlo". Così decide che sarebbe stato lui stesso l'ancora di salvataggio per il povero cieco.

                           Franco Campegiani


11 commenti:

  1. "Il testo si presenta infatti come una lunga e vivace parabola che tende a mostrare l'importanza dell'autenticità nella comunicazione. Non si può comunicare con altri, se non si è leali con se stessi, allineati con la propria coscienza interiore. Lealtà, autenticità: parole rivoluzionarie, che si direbbero dimenticate in una cultura e in una società che hanno mandato letteralmente in pensione il mondo interiore, trasferendosi tutte sul piano superficiale ed esteriore del vivere (le cosiddette comunicazioni di massa).".
    Così, Franco Campegiani, introduce - per poi ampliare il discorso - l'opera narrativa "Senza fissa dimora" di Marco Solaro.
    Ero in sala durante la presentazione e, pur non avendo letto il libro, mi sono sentito attratto dalla vicenda del non vedente di cui tratta il testo. Una parabola - la definisce Franco - e mi trova d'accordo perché si comprende che la storia è propedeutica, ha un fine: che è diverso da avere una morale. La parabola non lo esplica apertamente ma contiene un implicito insegnamento. Bene: cosa ci insegna il cieco? Ci mostra ciò che lui è riuscito a vedere senza avere la facoltà della vista o, meglio, ciò che si riesce a vedere guardando dentro di sé. E, dunque, (come si dice nello stralcio riportato) ci spiega come comunicare, autenticamente comunicare.
    E' ovvio: è solo una delle riflessioni che si possono fare ma mi sembra di prioritaria importanza: se non si parla, prima di tutto, con noi stessi salta tutto. E si finisce col non capirsi più, con il vedere (per restare in tema) solo quello che ci fa comodo.

    Sandro Angelucci

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    1. Caro Sandro, nonostante tu non abbia letto ancora il libro, ne hai già perfettamente colto l'essenza. Grazie per essere stato presente e per avermi regalato il tuo tempo.

      Marco

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  2. E' per me un grandissimo onore entrare, per mezzo della bellissima relazione di Franco, in un Blog letterario di tale spessore!!
    Ringrazio voi tutti e con piacere mi siedo sullo scoglio a osservare quel mare che tanto ha ispirato l'umanità, quel mare che è stato culla del nostro pensiero e che esige sempre da noi, nuove conoscenze.
    Marco Solaro



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  3. Serata da Sogno.
    Dopo la relazione di Franco ho pianto. E' stato vibrante, caldo, emozionato ed emozionante.
    Loredana, da parte sua, è stata complementare e ha reso tutto perfetto. Ovviamente a GIGANTEGGIARE
    c'era il nostro Marco, le cui profondità sono insondabili e solo dei subacquei artistici come i due relatori potevano
    visitarle. Grazie per avermi commossa e coinvolta fino all'inverosimile. Federica ha interpretato, non letto
    gli estratti e li ha resi vivibili. Una donna fantastica sotto tutti gli aspetti!
    Per quanto riguarda il mare, il nostro, lo Scoglio di Nazario e qualsiasi altro mare si identifica come ogni elemento naturale con la tua storia, Marco, che condividiamo e che ci rende 'fratelli'.
    D'altronde il sogno di "Senza fissa dimora" e di ognuno di noi e di ricongiungerci in quell'unico Volto.
    Tra noi e con il pubblico la magia è riuscita.
    Non finirò mai di esservi grata!
    Maria Rizzi

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    1. Cara Maria, le tue parole sono sempre poesia e emanano sempre amore per tutti coloro che ti sono attorno.

      Marco

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  4. Caro Marco, ho partecipato con piacere e interesse alla presentazione della tua nuova opera, è stato emozionante ascoltare gli approfondimenti filosofico-letterari di Franco Campegiani e la splendida lettura di Federica Sciandivasci.
    “Senza fissa dimora” credo che, come per tutti i racconti allegorici, si presti a varie interpretazioni, spesso dettate dall’interazione del “sentire” dell’autore con quello del lettore.
    Vorrei condividere con te, all’interno di questo prestigioso blog letterario, alcune riflessioni evocatemi dalla lettura del tuo racconto.
    Sicuramente l’importanza della “sincerità” nella comunicazione ha un ruolo chiave nel percorso narrativo, sia per il rispetto del processo di autodeterminazione, che per le conseguenze che questo può avere sulla nostra vita e quella altrui. Non mi riferisco soltanto al messaggio, immediato, del “fine” quale forza giustificatrice del “mezzo” necessario per raggiungerlo, ma anche a quello molto più ampio e interiore, che emerge come conseguenza del processo decisionale, della coesistenza del bene e del male all’interno di ognuno di noi. Hai dato ampio spazio alle riflessioni del salumiere, del cieco e del ladro, su come possano coesistere il bene e il male nella stessa persona, ma anche come un’azione abbia un significato negativo oggi e positivo domani (il cieco infine scriverà la frase del pubblicitario, il ladro passerà a fare l’elemosina dopo averlo rapinato).
    Altro spunto di riflessione è l’assenza di pentimento del ladro, con essa si apre una grande parentesi sul grave problema sociologico della adiaforizzazione delle regole morali, che ritroviamo quale nucleo fondante in “Cuore di tenebra” di Conrad, da te citato nel racconto, e splendidamente rappresentata nell’attuale e sagace analisi sociologica della crisi della rete sociale di Baumann, più nota con la definizione di “società liquida”.
    Lungo tutto il corso del romanzo emerge anche l’aspetto “empatico” della comunicazione e del suo ruolo relazionale; il cieco inizialmente ha pochi contatti umani, fondamentalmente solo con il salumiere; al contrario si percepisce un grande respiro di comunione con la natura (il canto degli uccelli, il ricordo dei colori dei fiori, i profumi delle piante). La natura segue una legge di efficienza e non pone quindi giudizi morali, può essere gioiosa o crudele ma non sarà mai ipocrita, compassionevole o comprensiva.
    Nella seconda parte del romanzo ci riveli che le esperienze, recentemente vissute dal cieco, siano in realtà un sogno e che solo al momento del risveglio il cieco si renda conto del profondo desiderio/necessità di aprirsi all’altro e di quanto tempo sia stato chiuso alla comunicazione con il prossimo.
    Tutti i personaggi del romanzo sono i componenti di una comunicazione globale che dovrebbe portarli a divenire tessere del mosaico che disegna quell’unico volto in cui si rispecchia il tutto. Questa grande spinta a ritrovarsi nell’altro e, tutti insieme a ricreare l’UNO, associata al desiderio di fusione con la natura, e all’impossibilità di separare il bene ed il male (esempio massimo di convivenza di tutti gli opposti), ricorda, più che l’idea dicotomica e proibizionistica del Dio cristiano, quella neoplatonica dell’UNO di Plotino.
    Vorrei poi sottolineare come la tua delicatezza d’animo, si rispecchi nel romanzo, e venga espressa, in diverse forme, nei vari personaggi, ma sempre volta sempre a tutelare la sensibilità “dell’altro” anticipandone ogni possibile causa d’imbarazzo o sofferenza (per citare solo alcuni episodi: il professore che si sofferma ad ascoltare e viene invitato dalla moglie del salumiere ad entrare nel dialogo - il padre che piange sulla spiaggia e il figlio finge di non vederlo)
    Altro aspetto particolare del romanzo è l’assenza di nomi propri di persona che aiuta l’autore a rendere universale il messaggio del libro e il lettore a immedesimarsi in ognuno di loro. Solo Borges e Conrad sfuggono a questa regola ma sono le due colonne che sorreggono la base ideologica del romanzo.

    Luca Pecchioli

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    1. Caro Luca, grazie per l'attenzione che hai riservato al mio scritto e per le profonde e colte valutazioni che hai espresso.Sei un bravissimo medico e uomo di grande sensibilità culturale. Ho la fortuna di poter scambiare opinioni letterarie con te, nei brevi ritagli di tempo che ci concediamo sul luogo di lavoro. i tuoi pareri e il tuo pensiero mi è sempre molto prezioso e serve a nutrire le mie conoscenze. Vedere le tue considerazioni scritte, mi inorgoglisce e in qualche modo, mi commuove.

      Marco

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  5. Caro Marco, ho partecipato con piacere e interesse alla presentazione della tua nuova opera, è stato emozionante ascoltare gli approfondimenti filosofico-letterari di Franco Campegiani e la splendida lettura di Federica Sciandivasci.
    “Senza fissa dimora” credo che, come per tutti i racconti allegorici, si presti a varie interpretazioni, spesso dettate dall’interazione del “sentire” dell’autore con quello del lettore.
    Vorrei condividere con te, all’interno di questo prestigioso blog letterario, alcune riflessioni evocatemi dalla lettura del tuo racconto.
    Sicuramente l’importanza della “sincerità” nella comunicazione ha un ruolo chiave nel percorso narrativo, sia per il rispetto del processo di autodeterminazione, che per le conseguenze che questo può avere sulla nostra vita e quella altrui. Non mi riferisco soltanto al messaggio, immediato, del “fine” quale forza giustificatrice del “mezzo” necessario per raggiungerlo, ma anche a quello molto più ampio e interiore, che emerge come conseguenza del processo decisionale, della coesistenza del bene e del male all’interno di ognuno di noi. Hai dato ampio spazio alle riflessioni del salumiere, del cieco e del ladro, su come possano coesistere il bene e il male nella stessa persona, ma anche come un’azione abbia un significato negativo oggi e positivo domani (il cieco infine scriverà la frase del pubblicitario, il ladro passerà a fare l’elemosina dopo averlo rapinato).
    Altro spunto di riflessione è l’assenza di pentimento del ladro, con essa si apre una grande parentesi sul grave problema sociologico della adiaforizzazione delle regole morali, che ritroviamo quale nucleo fondante in “Cuore di tenebra” di Conrad, da te citato nel racconto, e splendidamente rappresentata nell’attuale e sagace analisi sociologica della crisi della rete sociale di Baumann, più nota con la definizione di “società liquida”.
    Lungo tutto il corso del romanzo emerge anche l’aspetto “empatico” della comunicazione e del suo ruolo relazionale; il cieco inizialmente ha pochi contatti umani, fondamentalmente solo con il salumiere; al contrario si percepisce un grande respiro di comunione con la natura (il canto degli uccelli, il ricordo dei colori dei fiori, i profumi delle piante). La natura segue una legge di efficienza e non pone quindi giudizi morali, può essere gioiosa o crudele ma non sarà mai ipocrita, compassionevole o comprensiva.
    Nella seconda parte del romanzo ci riveli che le esperienze, recentemente vissute dal cieco, siano in realtà un sogno e che solo al momento del risveglio il cieco si renda conto del profondo desiderio/necessità di aprirsi all’altro e di quanto tempo sia stato chiuso alla comunicazione con il prossimo.
    Tutti i personaggi del romanzo sono i componenti di una comunicazione globale che dovrebbe portarli a divenire tessere del mosaico che disegna quell’unico volto in cui si rispecchia il tutto. Questa grande spinta a ritrovarsi nell’altro e, tutti insieme a ricreare l’UNO, associata al desiderio di fusione con la natura, e all’impossibilità di separare il bene ed il male (esempio massimo di convivenza di tutti gli opposti), ricorda, più che l’idea dicotomica e proibizionistica del Dio cristiano, quella neoplatonica dell’UNO di Plotino.
    Vorrei poi sottolineare come la tua delicatezza d’animo, si rispecchi nel romanzo, e venga espressa, in diverse forme, nei vari personaggi, ma sempre volta sempre a tutelare la sensibilità “dell’altro” anticipandone ogni possibile causa d’imbarazzo o sofferenza (per citare solo alcuni episodi: il professore che si sofferma ad ascoltare e viene invitato dalla moglie del salumiere ad entrare nel dialogo - il padre che piange sulla spiaggia e il figlio finge di non vederlo)
    Altro aspetto particolare del romanzo è l’assenza di nomi propri di persona che aiuta l’autore a rendere universale il messaggio del libro e il lettore a immedesimarsi in ognuno di loro. Solo Borges e Conrad sfuggono a questa regola ma sono le due colonne che sorreggono la base ideologica del romanzo.

    Luca Pecchioli

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  8. Mi unisco ai ringraziamenti di Marco per tutti coloro che hanno voluto commentare. Sandro Angelucci, Maria Rizzi e Luca Pecchioli hanno svolto interventi assai stimolanti, aggiungendo considerazioni e contributi importanti alla mia relazione. Marco Solaro mostra in questo libro spiccate facoltà fabulatrici unite a spinta trainante di sogno e di pensiero. Grazie di nuovo a tutti.
    Franco Campegiani

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