venerdì 1 aprile 2022

MARIA RIZZI E ISABELLA CONTE: "SINFONIA"

 SINFONIA

 

Come ogni giorno mi siedo al pianoforte, vicino alla finestra. Con una sola luce accesa, una abat-jour un po’ scassata, appoggiata sul davanzale.

Da un tempo di cui ho perso il conto, ripeto questo rito ogni mattina e ogni sera. Mi siedo e basta. Non suono, non ricordo più la meccanica delle note.

Lo spartito mi guarda muto. Ma il solo stare seduto lì mi dà un po’ di conforto.

Ogni tanto butto uno sguardo oltre i vetri, verso quel pozzo di luce ritagliato tra i tre lati dell’enorme condominio dove vivo da sempre. Tre ali, un numero imprecisato di anime e di vite che al mattino aprono le avvolgibili e spengono la luce; la sera, alle prime ombre, riaccendono le luci e chiudono le avvolgibili.

Solo due finestre, al quinto e al sesto piano, sulle ali opposte del palazzo, continuano a guardarsi, le luci rimangono sempre accese. Neppure io chiudo più le avvolgibili, il nastro ormai indurito dalla mancanza di utilizzo.

Inevitabilmente osservo la vita dietro i vetri di quei due varchi verso altre realtà. A destra abita un uomo anziano, perennemente in vestaglia da camera, che siede vicino alla finestra e osserva un punto di fronte a sé che io non arrivo a vedere. Suppongo sia un televisore. Ogni tanto si alza, sparisce nel buio di altre stanze e poi torna a sedersi là.

A sinistra una donna dall’età imprecisabile, con un grande foulard colorato avvolto intorno alla testa, a mo’ di turbante, che guarda fuori dalla finestra, assorta, poi si muove rapida verso il buio, poi torna alla finestra e riparte

verso il buio. Così, come la spoletta di un telaio.

Un giorno dopo l’altro comincio a distrarmi dalla tastiera silenziosa e avvicino di più la sedia alla finestra, per seguire la sinfonia di quei due personaggi che stanno diventando i protagonisti più importanti della mia esistenza immobile.

Mi sento molto simile a Novecento, nato su un transatlantico, che conosce solo la vita che attraversa il suo scafo. Di spazio ce n’è molto: quello compreso tra la prua e la poppa. Scendere i gradini e visitare le città gli riesce impossibile. Hanno troppe strade, troppe persone, si perderebbe. Ma lui almeno suona e sui tasti del pianoforte trova il suo mondo. Io ero bravo, mi chiamavano per i concerti. Ora è sceso il buio sull’esistenza di prima.

Ho scelto quest’abitazione senz’anima, perché è specchio fedele del mio stato attuale e il pianoforte mi ha seguito come un’appendice, ma non riesco a usarlo. Sono chiuso in una bolla. Così scopro le vite degli altri, non perché le trovi più interessanti della mia, ma in quanto paradossalmente, osservando loro dò un senso ai giorni che scorrono. Sono

giunto alla conclusione che se il tempo richiede la parte migliore di me posso eluderlo solo inventando altro tempo. L’uomo in vestaglia da camera sembra solo. Ha il conforto dello schermo. Presumo che si allontani solo per mangiare un boccone, lavarsi… sommariamente, e mi chiedo come possa fare la spesa, se abbia figli, parenti, amici. Io esco la mattina molto presto, compro il necessario e torno alla melodia delle due esistenze sconosciute. Lui è sempre lì, indossa ogni giorno la stessa vestaglia e ogni tanto si addormenta davanti alla televisione.

Passano i giorni e, come per ogni musicista, la sinfonia delle vite di quei due sconosciuti dirimpettai pretende che lo spartito proceda, alternando tempi e ritmi. L’uomo in vestaglia diventa il mio Andante moderato, la signora con il foulard colorato è il mio Allegretto.

Mi accorgo senza esserne veramente cosciente che comincio a prendere gusto a questa partitura sulla vita degli altri, e capita persino che una mattina, quando la signora Allegretto apre i vetri e si affaccia, abbia l’impeto di mettermi a fischiare per attirare la sua attenzione. Potrei sorriderle, chiederle come si chiami…e poi magari parlare un momento del tempo e di come si cominci a sentire aria di primavera… e poi e poi…

E poi nulla, le labbra non rispondono al comando, rimangono serrate e, come al solito, tutto rimane murato nel mio cervello. Anzi, mi allontano bruscamente dalla finestra, nel timore che il mio pensiero sia stato sufficiente ad attirare la sua attenzione.

Per alcuni giorni allontano la sedia, spaventato da questa fiammella di vita che ha brillato per un attimo nel buio della mia esistenza.

Infine la curiosità - o piuttosto un rinnovato senso di solitudine che mi ha assalito da quando non guardo più i due protagonisti della mia sinfonia -

mi fa compiere qualche passo verso la finestra. Molto adagio, adagio, andante lentarello…

Prima raggiungo il pianoforte. Mi pare di rivederlo dopo tanto tempo. E’ un attimo, la mia volontà è sopraffatta dall’automatismo di un gesto ripetuto troppe volte e di scatto alzo il coperchio.

Novecento torna a farmi visita. Mi ricorda che “i tasti sono ottantotto e su questo nessuno può fregarmi. Non sono infiniti, loro. Io sono infinito, e dentro quei tasti posso suonare musica infinita”. Restando in questa stanza

priva di suppellettili, di storia, di amore. Sono comunque libero perché posso creare qualcosa che torni a rendermi vivo, a darmi senso. Mentre poso le mani sui tasti impolverati mi accorgo che si muovono da sole. Stanno seguendo l’adagio andante quasi allegro che ho creato per i miei inconsapevoli dirimpettai. In fondo, mentre la musica fluisce e riempie il vuoto della stanza, penso che la vita è così simile a una sinfonia. Ne siamo gli autori determinandone il ritmo, decidendo con quali note e quali pause riempire il tempo. Decidendone gli accenti. So di aver sempre parlato attraverso la musica. Le donne mi ascoltavano con gioia i primi tempi, poi cercavano l’uomo che si celava dietro le note e non lo trovavano. Sapevo nascondermi. Loro volevano le parole, le passeggiate, i ristoranti, i cinema.

Io vivevo tra i concerti e la mia abitazione lussuosa. Le trascinavo nei miei sentimenti attraverso gli spartiti. Ogni giorno erano diversi, si saliva sul deltaplano delle passioni, della gioia, della solitudine, della rabbia. Le emozioni non erano finite come i tasti del pianoforte, ma infinite e davano tutte le risposte, anche quelle non cercate. Io non mi sentivo mai solo. Ora so che ero un pazzo egoista. Pretendevo di trascinare nel canto della terra che scorreva nelle mie viscere le donne, gli amici, i pochi parenti. Sono finito nella bolla perché mi hanno abbandonato tutti. Ho smesso di suonare e sono terminati i concerti, la fama, gli applausi. Della gloria non mi interessava nulla. Gli altri credevano fosse più importante dell’aria che respiravo. Mentre le mani volano sui tasti riconosco l’unica ragione della mia esistenza: la Musica! La sento dappertutto: nell’aria, nella luce, nelle fibre, nelle arterie, nei ricordi… è una tunica che mi avvolge, non devo fare altro che chiudere gli occhi e aprire l’anima.  E su tanta musica forse balla Dio quando nessuno lo vede.

 

 

 

 

 

5 commenti:

  1. Ringrazio il nostro Nazario per aver postato subito il terzo racconto scritto con Isabella Conte. Devo confessare che non immaginavo che Edda avesse in serbo un simile dono per me... dopo tutti gli altri. Isabella è nata per scrivere. Ha originalità, fiumi di idee, competenza e libertà. Pura gioia duettare! La ringrazio, la tengo nel cuore con la mia Edda e le abbraccio insieme al Condottiero che rende possibili questi miracoli!

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  2. Cara Maria concordo con te. Avevo già letto qualcosa di Isabella e a suo tempo l'avevo palesato anche a Edda.
    Questo racconto lo conferma. Se l'unione della vostra creatività è in grado di partorire simili perle, vi prego di continuare a deliziarci. Un abbraccio di luce ad ambedue e al nostro Nazario Pardini. Serenella

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    1. Serenella mia, cogli nel segno. Scrivere con Isa è un volo, un'intesa immediata. Credo non si distinguano neanche i suoi estratti dai miei. E la Storia che ci lega ha un profumo d'Amore che mi inebria. Le tue parole sono carezze. Ringraziarti è riduttivo. Ti tengo stretta!

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  3. Ringrazio Maria per la possibilità che mi sta dando di mettermi alla prova, accudita dalla sua grande esperienza letteraria e dal suo cuore grande
    Ringrazio anche il Prof Pardini che trova posto sul sul blog prestigioso anche per le note meno altisonanti
    Un caro abbraccio ad entrambi
    Isabella Conte

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    1. Isa mia, ti prego di non ringraziarmi. Non sto mettendo a disposizione nulla. Siamo in due. A creare, a sognare, a volare. E tu hai estro, carisma e nerbo narrativo incredibili. Lo dico perchè è vero. Scrivere con te è un dono del quale sarò grata per sempre a Edda! Ti voglio un mondo di bene!

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