mercoledì 22 giugno 2011

Il gioco delle equivalenze in "Radici", di Nazario Pardini

“Il gioco delle equivalenze”
in
RADICI
di
Nazario Pardini
Fin dalle prime battute della mia silloge Radici credo risalti chiara la necessità di creare una giusta sinergia tra forza interiore e rappresentazione esterna che riesca a concretizzare  il cumulo delle sensazioni, dei sentimenti e delle immagini, sedimentati col tempo nella mia anima, in configurazioni naturali. E tutt’attorno (negli orti del paese, nei giardini, sul mare, nelle pinete, nei campi, nel mondo insomma che mi circonda) l’ostensione del panciotto verdastro, i suoni di velluto, il cielo in funi di mattone, le coccole ad occhieggiare, la presenza del crescione e del farfaro, i giunchi del colore verde rossiccio, l’erbale silenzio, il profumo di spigo, il rutilo calante o i solchi carrabili sbilenchi non sono altro che una lettura di  tanti momenti naturali strettamente speculari al tono di corrispondenti stati d’animo. E questo bisogno da parte mia di vedermi rappresentato nei giochi che la natura stessa offre col variare delle stagioni è anche la molla determinante di una poesia metaforicamente saporosa, dolcemente comunicativa e strutturalmente legata ad una ricerca paziente e di consolidato spessore culturale di elementi lessicalmente giusti all’intarsio. In Radici le liriche sono disposte secondo un ordine di successione temporale: dalle estati di Immagini, di Alla foce o di Tarda estate, agli autunni di D’autunno i falò, di Che dire dell’autunno; dagli inverni di Non ciurlavano nel manico le madri , di Nevicata o di Steccolito è il dicembre, alle primavere di Una pianta nata da poco, di Zufoli e fili d’erba o di Erbale silenzio, fino  ai tocchi rauchi e agli odori dimessi di una conclusione autunnale di A Lidia e di Lo stradone di scuola, dove, oltre ad emergere che proprio questa è la stagione più vicina al mio sentire, forse si attua anche il momento di maggiore intensità lirica e stilistica del “gioco delle equivalenze”. Ma a questo punto mi  è sembrato giusto e esegesicamente necessario tirare in ballo il critico che meglio di ogni altro conosce sia l’amico che l’opera, avendo già prefazionato due mie sillogi Le voci della sera, e Alla volta di Leucade. Così il Prof. Floriano Romboli ha acconsentito a collaborare per quanto riguarda la rimanente parte introduttiva.
        -  Certo è che Pardini non nutre da tempo ambizioni di vitalismo sfrenato e ciò non per banali ragioni anagrafiche, ma per acquisita lucidità della visione d’assieme: il suo animo è infatti improntato a quella consapevole, amara malinconia che gli suggerisce preferenzialmente immagini e atmosfere di questa stagione, la quale appare nei suoi versi evidenziata in tutta la sua centralità problematica di densa e complessa metafora. (”Che lanciavamo sassi ti ricordi? / Erano così veloci che anche i falchi / restavano di stucco nel sentirli / sibilare nell’aria.”, Lo stradone di scuola vv. 20-23).  L’armonia obiettiva della natura è magia segreta delle cose tentare di sondarne il mistero, magari leopardianamente cercando un colloquio con gli astri, è impresa superiore alle tanto modeste possibilità degli esseri umani, alla cui mente è negato il volo al di fuori o al di sopra di ambiti limitati (“è abituata / al fuggitivo scricchio del roveto / o al fremere leggero delle fronde / all’asolo che sfugge, od al cadere / funereo delle foglie nel settembre / tumido e rosso”, Eliaca stella vv. 22-27). Se la vitalità più congeniale all’autore è pertanto quella attenuata e ridotta del saggio ripiegamento autunnale, nondimeno giova il ricordo del proprio e dell’altrui sogno di un’esistenza gioiosamente tesa a un amor vitae senza limiti. Da questa disposizione spirituale nasce quel fascino seducente della memoria, prima semplicemente umana e poi più finemente poetica (“- Non temete. - / Noi restavamo avvinti - Non temete. / Si accenderanno stelle e dalla luna / gocciolerà su voi nettare vago / avvezzo a far sognare. Basta amare / e tutto sarà d’oro, e azzurro il cielo”, Vaghezza, vv. 29-34), che pervade l’intera raccolta e ne garantisce la compattezza strutturale. è d’obbligo far notare inoltre l’inequivoca continuità  nella ricerca stilistico-letteraria di Pardini, poeta dalla produzione ormai abbondante, ma sempre rigorosa e intimamente sorvegliata alla luce di una sensibilità raffinata e profonda. La sua elaborazione lirica ama le misure della precisione rappresentativa ove sono in primo piano gli oggetti o gli elementi del paesaggio o le situazioni consuete della sua campagna; e i suoi versi attraggono per l’efficacia della concretezza evocativa. E per questo il linguaggio pardiniano sovente oscilla fra un livello tecnico-agreste e popolareggiante (gruma, rama, sbalasciato, butti, buttate, seccume, e a proposito la cadenza proverbiale degli ultimi due versi della poesia Facciate “inganni quando dici / che il rutilo calante è un buon levante”) e un livello alto, aulico prezioso (rezzi, verdicante, concento, spiro, giovine, perleo). (“Le mura sono scabre e le facciate / arse nel mio paese. Sarà il sole / rutilo e grosso quando si sfarina / che le rende grinzose. Dico che / proprio a sera lo vedi. è quando l’aria / arriva obliqua e rossa sulle case / e di scancio le coglie che traspaiono / ombre e penombre raso le pareti / esposte ad occidente. Certo meno / si vede all’astro verticale se / con tutto il lucore meridiano / le ferisce”, Facciate vv. 1-12). (“Là infilava la mano uno stradone / fino a perdita d’occhio e riportava / tremiti d’erba medica alle greppie / frementi di muggiti. Si accavallano / gli sterpi nuovi a vecchie ributtate / di seccumi sul fumido selciato / della corte oramai invaso. Mio padre / lo faceva lucente con i tonfi / d’arzilli correggiati. I bei tramonti / rossi sui campi a esorcizzare cirri / su cerule speranze, si defilano / tra pazze rame in crisi d’abbandono.” L’aria è di cera, vv. 12-23). Ho appunto corsivizzato dei termini nei versi delle poesie sopracitate per indicare la ricorrente duplicità dei registri espressivi Non si tratta certamente di accostamento casuale, di giustapposizione distratta: porre in tensione esperienza personale, condizioni di vita determinate e tangibili, e riflessione astraente, modelli ideali, tradizione culturale-letteraria è il moto intellettuale di fondo, l’autentico nucleo genetico della poesia di Pardini. Nei componimenti di Radici il tessuto linguistico risulta comunque privo di dissonanze, rivelando tratti di armonia formale che costituiscono un risultato d’arte senz’altro maturo e compiuto. La nettezza descrittiva, di frequente associata a un sapiente gioco di rivelazioni cromatiche, è in funzione dell’attenta, sofferta partecipazione dell’autore al ritmo vitale della natura. -


Nazario Pardini

1 commento:

  1. Mi piace questo ritratto che miscela in un insieme saporitamente gradevole anima, campagna, memorie, mari ed orizzonti.

    Adriana

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