Prefazione
a
A mio padre, Edizioni ETS, Pisa 2005. Pp. 32
di
Ada Bufalini Pericoli
"Ma chi sa che due righe in poesia
non sappian catturar questa emozione."
La silloge di Ada Bufalini Pericoli, di venti composizioni, trae il titolo dalla poesia A mio padre che ne costituisce il nucleo principale e per ispirazione e per stile e per motivazioni interiori. In questa pièce si ritrovano gli elementi poetici che connotano l’intera opera: il memoriale, gli affetti familiari, le immagini che ritornano illuminate e rafforzate dopo anni di permanenza nell’alcova dell’anima; così l’autrice concretizza, in ambiti figurativi, stati d’animo e vibrazioni di grande intensità che riescono sempre a trovare equilibrio estetico in combinazioni stilistiche fra forma e contenuto: l’ultimo sorriso, l’espressione dolce del volto, le mani, la carezza, e la certezza «di aver sentito dir :”Bimba a domani”» sono momenti che permangono nell’anima dell’autrice rafforzandosi per l’effetto propulsivo di un memoriale che tende a dilatare sensazioni e sentimenti. L’intera opera si snoda su un ordito di struttura, direi, classicheggiante che, per la preminenza dell’endecasillabo e un buon uso del significante metrico, riesce a far risaltare momenti di vita senza mai abbandonarsi, comunque, a toni languidi e lamentevoli. Lo stile è sobrio e di una connotazione tutta rattenuta che evita l’abbandono lirico. E i sentimenti e i pensieri, covati da tempo, si visualizzano in immagini concrete: Le voci delle cose, il riapparire del padre in Un giorno di settembre, la palla nel cortile, i capelli neri, l’agendina, la nostra scuola, la danza degli ombrelli, quella via di A mio figlio sono tante configurazioni visive che ritrattano e significano un’interiorità ritornata a vivere con forza e intensità per farsi poesia: «il cuor... / Ritrova la felicità della memoria / e l’anima sorride ora al passato, / non pensa più a quello che ha sognato / e mette in poesia ogni sua storia». E in effetti le cose parlano, afferma l’autrice in Le voci delle cose. Parlano con ritagli di giornale, mozziconi di matite, biglietti di cinema, fiori secchi, e primavere che furono: «I fiori secchi, lo so, non han profumo / eppure... eppure quando vien la sera / possono rammentar forse a qualcuno / che anche per lui, un dì, fu primavera».
La poesia di Ada Bufalini è proprio questa: poche fughe d’immaginazione, ma affetti, luoghi vissuti, figure familiari, e ricordi: la vita in tutta la sua dimensione, con le sue problematiche esistenziali, con pensamenti e riflessioni sull’essere, su una storia che rassomiglia a un viaggio fatto di tappe più o meno importanti che, accese in un’anima che vitalmente le rivive, tendono a fuoriuscire per dire che esistono: «Non è una passeggiata, ma un viaggio / alla ricerca di voci, luoghi e date, / quasi una sorta di pellegrinaggio / tra mille cose mai dimenticate. / Il viaggio prosegue, ma se fa sosta / lì, tra i bagagli della nostalgia, / qualche domanda trova una risposta, / e qualche risposta è quasi... poesia.>>
La poesia di Ada Bufalini è proprio questa: poche fughe d’immaginazione, ma affetti, luoghi vissuti, figure familiari, e ricordi: la vita in tutta la sua dimensione, con le sue problematiche esistenziali, con pensamenti e riflessioni sull’essere, su una storia che rassomiglia a un viaggio fatto di tappe più o meno importanti che, accese in un’anima che vitalmente le rivive, tendono a fuoriuscire per dire che esistono: «Non è una passeggiata, ma un viaggio / alla ricerca di voci, luoghi e date, / quasi una sorta di pellegrinaggio / tra mille cose mai dimenticate. / Il viaggio prosegue, ma se fa sosta / lì, tra i bagagli della nostalgia, / qualche domanda trova una risposta, / e qualche risposta è quasi... poesia.>>
Un altro momento importante della rivisitazione esistenziale è costituito dall’amore, dal gioco dei sentimenti, una volta vergini, impulsivi e ora vissuti con espressione direi quasi serena e anche pacata e sorridente: «Guardandomi allo specchio, stamattina / ho visto nei miei occhi, per un momento, / lo stesso sguardo di quando, ragazzina, / mi preparavo a quell’appuntamento. / Ed il pensiero è corso in quella via / dove talvolta si passeggiava insieme, / dove mi dicesti ch’era un’alchimia, / alla fin fine il mio volerti bene. /... / Ma qui la fiaba mia ebbe una svolta / e non seguì il copione già tracciato: / si replicò per me il “C’era una volta”, / ma con quel principe che tu non eri stato». «Fu colpa forse dei nuvoloni neri / o della pioggia che mi sferzava il viso, / se quel dì entrai nei tuoi pensieri / e ti seppi regalar qualche sorriso. / Ma quando poi l’estate se n’è andata / in una festa di luce e di colore, / di quello che pareva quasi amore, / resta un ricordo sol : quella giornata».
Ma l’autrice si risveglia spesso dal fascino del memoriale, e riflette sulla precarietà della vita; e tutto scorre, tutto è labile, e corrono i pensieri in quella analogia col treno che veloce si dilegua tra un oleandro rosa ed una vigna: «La piccola stazione di campagna / ti corre incontro, così, all’improvviso, / con lo stesso bagliore di un sorriso, / tra un oleandro rosa ed una vigna. /... / Il treno corre e corrono i pensieri, / presi dal gioco delle coincidennze, / tra gli arrivi, le attese, le partenze / e tutto quello che appartenne a ieri. / E voce narrante è quella stazione / che hai intravisto, quasi di sfuggita, / quella che tinse di rosa una stagione / e dette un senso, poi, alla tua vita». C’è sempre nell’autrice una visione bonaria, e tutto sembra promettere un senso positivo per cui vale la pena di vivere. Il fatto di esistere può nascondere tante soluzioni, ma dai versi di Ada Bufalini trapela sempre un attaccamento all’esistenza, e una volontà di sdrammatizzare, facendo anche dell’ironia sui fatti negativi. Semmai una melanconia delicata permea i suoi versi, dandogli quel tocco leggero di sapore umano. «Ha sorriso mio figlio, divertito, / pensando a quella che un tempo fui / e ha abbracciato poi, intenerito, / questa mamma più giovane di lui». E pur sempre permane questa aspirazione a sottrarsi alla caducità della tempo, a elevarsi al di sopra del contingente, a cercare un ricordo che dia colore e sapore: «Monete fuori corso in un cassetto / fra mille cose ormai dimenticate, / corde vibranti solo se sfiorate, / parole che vorresti avere detto. / Monete fuori corso... mai spese / per riaverle ancora fra le dita, / or che trascorso il tempo delle attese, / cerchi un ricordo per colorar la vita». Ma forse uno dei momenti di maggiore intensità lirica lo troviamo nella poesia A mio figlio, dove l’ispirazione, la “cascata” dei ripetuti endecasillabi, il memoriale tanto caro a Ada Bufalini, il senso di fragilità dell’esistenza e la scorrevolezza musicale delle rime si compenetrano in una calda simbiosi fra forma e contenuto: «Stamani ho percorso quella via / che facevamo per andare a scuola /... / Ma da tempo la scuola è già finita / e la polvere si posa su quei banchi, / io ora copro i miei capelli bianchi / e tu sostieni gli esami della vita. / Eppure, or che ci penso, è stato bello /ripercorrere ancora quella via, / se ho messo in rima la malinconia / come una rosa rubata ad un cancello».
Poesia chiara, semplice, arrivante quella di Ada Bufalini. Messaggio soggettivo e oggettivo insieme per una introspezione personale che sa raggiungere la sensibilità di ognuno noi. Ricorrendo ad un endecasillabo di sapore pascoliano, incatenato in rime ora baciate, ora alternate e in simbiosi con assonanze, consonanze e enjembements, riesce a creare una musicalità piacevole che lega anima e parola.
Nazario Pardini
13/12/2004
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