mercoledì 22 giugno 2011

Linguaggio e natura, natura e vernacolo in Nazario Pardini

                                         Linguaggio e natura, natura e vernacolo                
                                                                  in
                                                       Nazario Pardini 

Lo Zingarelli alla voce vernacolo così riporta relativo agli schiavi nati in casa, poi, paesano, domestico, da verna: schiavo nato in casa; come pernacchia da verna. Proprio del luogo in cui si è nati o si vive. Nativo, paesano. Parlata locale. Poesia in vernacolo; dialetto. Quindi il discorso deve essere affrontato su due fronti: a livello linguistico e a livello poetico, e poi, se si vuole, è il poetico che ingloba ambo le questioni. Credo che la più grande presunzione a proposito sia quella, pur apprezzabile e per lo sforzo di studio e per i contributi alla storia delle lingue, di voler generalizzare il vernacolo con grammatiche e sintassi specifiche e capillari che sfuggono alla varietà incontrollabile delle esigenze e dei substrati delle singole località. Daltronde la peculiarità degli spazi è talmente ridotta e limitata ad aree veramente microportanti, che in uno stesso paese non era raro il caso che si usassero forme e parole diverse da corte a corte. Era sufficiente un muro un po' più elevato a creare microstorie che affondassero le radici in esperienze personali. E presunzione ancora più grande è quella di volersi fare supervisori di vernacolo fino a dire che questo lo è o non lo è. Roba da ridere. O ancora di più affermare che tale linguaggio è poesia tradotta in vernacolo, quando il vernacolo è parola, con tutte le sue sfumature fonetiche variabili da luogo a luogo, cultura con tutte le altre sfumature che la riguardano, linguaggio che non è detto debba essere per forza diverso in tutti i suoi singoli sintagmi dal ceppo della madre lingua, e poesia, soprattutto poesia che comporta musicalità, immaginazione, personalità che riguardano solo e solamente quel poeta con la sua totalità espressiva strettamente connessa al suo bagaglio di vita e di cultura vernacola. Il vernacolo è voce soprattutto orale e personale che cambia e si trasforma da luogo a luogo, spesso da componente a componente della stessa famiglia, in base alle relazioni di vita e di cultura che ogni singolo individuo ha e ha avuto. Naturalmente tutto questo prima che il mass media e gli altri veicoli di comunicazione ( viari e scolastici e di altro tipo) riducessero la portata delle microlingue a vantaggio di una lingua virtuale cosiddetta nazionale. E di certo il vernacolo del popolo di Metato era diverso da quello dei cittadini di Pisa ed era diverso da quello con cui si parlava  a Vecchiano o a Nodica. Una volta bastava un fiume come il Serchio a determinare diversità notevoli a livello linguistico. Dato che le vie di comunicazione erano ridottissime e che i paesi erano pressoché relegati a vivere una vita isolata e circoscritta al proprio ambiente. Quindi la prima norma, e la più importante, credo che sia quella di accettare le piccole storie linguistiche legate singolarmente ad esperienze individuali diverse e per motivi di vita e per fattori di ambiti  economici, di studio e di mestiere. Che a Vecchiano i brenciuli fossero i cavoli (parlo degli anni ‘50) lo seppi frequentando dei compagni di scuola che facevano il superiore assieme a me. E così imparai che lo strizzagnolo era la strettoia e che il redulo era il viottolo. Addirittura qualcuno affermava che si dicesse brenciolo altri brenciulo. Altri ancora redolo invece di redulo. E questo per gli stessi vecchianesi, che magari abitavano in strade diverse. Non è il caso che qui ci si soffermi a disquisire sulle verità filologiche, competenze che non ci riguardano. Ma per venire a noi e non rendere troppo serio il discorso linguistico sia a livello diacronico che sincronico, il linguaggio di Pardini è prima di tutto pardiniano e poi metatese. Pardiniano in primo luogo perché zeppo di tutte quelle esperienze, cioè, che Pardini ha fatto nella sua vita e da paesano e da uomo di cultura con la sua professione ed i suoi titoli che gli hanno permesso di frequentare determinati ambienti. Ed è bene che sia così, se Dio vuole, perché l’arte e quindi la poesia è prima di tutto personalità, spontaneità, e adattamento di un linguaggio alle esigenze di una materia abbastanza convulsa che vuole fuoriuscire. E non il contrario. Pardini si rifiuterebbe senz’altro di sottoporsi a virtualismi paragrammaticali o paramorfosintattici per incasellare il suo mondo in base a delle forme prestabilite e chi sa in base a quali criteri, che ne condizionerebbero la spontaneità. Pardini si esprime con il suo vernacolo e non con quello degli altri. E quello che ancora di più conta nell’autore è la continuità di carattere stilistico e ispirativo  che i diversi critici hanno avuto occasione di mettere in evidenza nelle prefazioni delle sue opere anche in lingua. Romboli Floriano afferma mi piace indicare la ricorrente duplicità dei registri espressivi che in altra occasione mi è capitato di mettere in risalto quale caratteristica specifica del linguaggio pardiniano sovente oscillante fra un livello basso, tecnico- agreste e popolareggiante e un livello alto, aulico-prezioso(...) Mi piace esordire con una citazione testuale allo scopo di segnalare aspetti di inequivoca continuità nella ricerca stilistico-letteraria di Nazario Pardini(...). Pardini è alla ricerca continua di se stesso e del suo mondo interiore rappresentato dalla realtà che lo circonda. (“ Gliè venuto dar mare ‘r maestrale / bello zuppato d’aria di ‘ontrada.” La rïiesta der vento) La sua poesia è fatta di simboli ed ogni simbolo naturale rappresenta un suo stato d’animo. (“Mamma mia ‘ome mi sembrano più vecchi / ll’arberi spersi ‘n mezzo alla ‘ampagna!” C’è solo ‘r cäo ‘he brilla) Di qui il suo amore viscerale, espresso ora in maniera ironica e divertita (“Ti guardo ‘oll’occhi lucidi stasera / mentre ‘he strofini e’ soliti tegami” Beppe alla su’ Rosa), ora passsionale (“Valla a cercà’, canzone, vai nell’aria / vai dappertutto e cerca di trovalla” Canzone d’autunno) per una natura che sembra quasi contraccambiare al poeta il suo affetto agevolandogli la comunione con i suoi suoni, i suoi colori, i suoi palpiti, le sue vibrazioni, le sue gioie e i suoi dolori. (“Anc’oggi tira ‘r vento e ‘r cèlo è un velo / di nubi bige ‘he toccano le dita.” Per la festa de’ morti) Il Pardini si oggettivizza in maniera icastica nella sua campagna che personificata gli risponde (“Mi squarciano la gola e ‘nquanto ar bé’ / mi trattano ‘on veleni e detersivi. / Com’ero ‘ontenta prima ner vedé’ / prati fioriti sparsi ‘n mezzo a’ rivi.” Tra Beppe e la natura). Per leggere la sua poesia e la sua lingua occorre interpretare i quadri della sua Valdiserchio (“Cara mi’ terra bella mi’ Metato / che ti distendi ‘n piano lungo ‘r fiume/ rïopperta di rame mäolato / e di foglie ‘he ti ‘ascano ‘ome piume” La terra di Beppe)  , e il vernacolo metatese o meglio pardiniano che ne deriva è un linguaggio metaforicamente panico e allegoricamente saporito. E a conclusione uno dei sonetti  più esemplificativi.  (“Stamani mi són messo solo solo / ad ascortà’  e’ lamenti de’ gabbiani /lontano dalla terra, ’n cima ar mòlo, / con tutto ‘r mare strinto tra le mani.” Giovinezza)


Nazario Pardini

1 commento:

  1. Commento al mio libro in vernacolo pisano e sulla questione di una grammatica vernacola.
    Secondo me il vernacolo è legato a dei microterritori e ad esperienze addirittura paesane, per cui bastava un fiume o un qualsiasi tipo di confine a creare linguaggi e storie linguistiche completamente differenti. Farne delle grammatiche è una cosa inadeguata, data la varietà dei linguaggi.

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