mercoledì 22 giugno 2011

Prefazione a "Graffiti" di Gino Giuseppe Silvatici

Prefazione
a
Graffiti, Il Portone/Letteraria, Pisa 2001. Pp. 16 
di
Giuseppe Silvatici


"Dalla strada rovente nella città deserta"
a
"non smetteremo di sognare"
in Graffiti


I versi liberi della silloge di Gino Giuseppe Silvatici si snodano su un percorso poetico alimentato da affetti, turbamenti, sogni, speranze, memorie, che scaturiscono dalla coscienza di esistere “affranto...su un prato di luce divina / che traspare da questo orizzonte sconfinato, / rapito dai pensieri nell’azzurro...” (Folate di vento).
Inizia con una  Lettera al padre  dove  l’alternarsi  di giochi metrici ora brevi ora più ampi “Perdona il mio egoismo, padre / insegnami questo gioco che non riesco ad imparare...” sembra abbia la funzione di assegnare alla disposizione dei versi dei valori significanti, a tratti immediati, a tratti più consoni ad espansioni verso figure vissute con intensità, ma nel memoriale mai del tutto pienamente. Un arrivederci accorato nella speranza che “l’anima bianca” del padre resti a rafforzare, con la sua luce, il mondo poetico con tutte le sue ombre. E la poesia è vita è memoria è immagine che torna con tutta la sua forza ad alimentare il verso che si fa effusione generatrice di altra vita, di altra forza. “Arrivederci occhi azzurri lascio il tuo corpo / prendo la tua anima bianca e mi racchiudo / in questa grande arte in questo piccolo mestiere / nella speranza che possa vincere / la tua luce contro le mie ombre”. Un memoriale idealizzato, fattosi motivo di tormento, “mito e leggenda” per “un piccolo uomo” cosciente che la stagione dell’estate volge al declino, verso una realtà sempre più amara “dove leggera polvere accecante / volteggia bassa sulla terra / lezza di sangue / e anche se il sole infuoca i corpi / sterminati sul marciapiede, / non è estate” (Non è estate).
Forse solo l’amore potrebbe esaltare la vita, come nemesi purificatrice di una realtà tanto rovente come lo è “...la strada / nella città deserta / che senza ombra si dipana / al suono di campane solenni / che interrompono a martello / il rumore dei grilli...” (Non è estate), sì!, di quei grilli canterini che consumano la vita donandola al canto, tanto simili ai poeti, che forse sperano di creare “un mestiere”, l’unico mestiere sublime che abbia il potere di slargare i confini oltre quegli orizzonti che affogano gli sguardi nel mare. “I tuoi sorrisi, ...la tua bocca a forma di cuore...le tue dolci parole...il risveglio all’alba...i sogni per il futuro...i Cd ascoltati...i viaggi nel vento...il cercarsi e non trovarsi” ma il tutto “si è trasformato in logiche parole /.../ silenzi d’esistenza tremanti in solitudine” (Una storia d’amore).
E in L’amore razionale “Se vuoi me ne vado / - dice il poeta - perché il dilemma tra sentimento e regolarità / si schianti come roccia vecchia / perché il trapasso vinca il dolore / .../ Se vuoi, allora, io decido di andare sul cavallo del tempo / nella consolazione dei giorni, nella memoria / dell’esperienza passata, nell’armonia del mio essere / che ha imparato a considerare / l’amore come cosa razionale” tradendo col suo dire intenso il pensiero del grande potere del sentimento e del suo stagliarsi supremo sulla pratica del razionale. E anche se più forte si accentua il risentimento in Fortuna “In me né lacrime né dolori / ma solo razionali risentimenti e illogici pensieri / che di macigni enormi il mio sorriso fanno / sempre più beffardo alla vista sconvolgente / di coloro che ti invocano e ti acclamano / senza faccia e senza tempo col nome di Fortuna”, “giungono - comunque - richiami di parole” ad accarezzare l’animo dell’autore disteso “...su un prato di luce divina / che traspare da questo orizzonte sconfinato, / rapito dai pensieri nell’azzurro...”.
Pur cosciente, il poeta, della sua fragilità e del tempo che domina fugace “dove soltanto ombre sento / in balìa del domani ...” pur cosciente che “La gelida primavera / di morte si perde / negli abissi della temporalità...” e che “ascoltiamo dalle rive / la quiete falsa delle onde...” la speranza e l’amore alla fine sono i sentimenti che prevalgono “Non smetteremo di sognare il cielo a capofitto. / Siamo pronti a combattere armati di ardore / per te, Adolescenza.../” (Adolescenza) e quella meraviglia fuggevole dell’attimo arricchito di tutti gli altri che l’hanno preceduto, può acquistare quasi un valore di eternità in quel valore che l’autore dà alla poesia e alla sua funzione liberatrice dalla “...materia informe / che solitaria striscia / senz’anima senza tempo.”
Versi ricchi, spontanei e meditati, dove l’alternarsi di vari percorsi, l’utilizzo di anastrofe, di metafore, di costrutti per aumentazione e della significazione metrica offrono alla silloge spessore espressivo e ampi spazi per sensazioni interattive.



                                                                                            Nazario Pardini
Arena Metato, settembre 2001

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