mercoledì 22 giugno 2011

Prefazione a "La casa sulla golena", e a "Un polso ferito" di Luciana Tagle

                                                   Prefazione
                                                         a
La casa sulla golena, Edizioni Il Portone/Letteraria, Pisa 1999
         di
                    Luciana Tagle

                   è costruita su una golena di detriti alluvionali
                                           la casa sulla collina di Luciana Tagle


Quale immagine più efficace e più penetrante di quella del poeta che sulla golena osserva scorrere le acque della vita? E quale metafora più incisiva di quella dell’accostamento dei giorni della settimana ai momenti dell’esistenza in una circolarità concatenata che ci nega l’accesso a “l’anello mancante”?
Luciana Tagle vi ricorre senza scadere in eccessivi sentimentalismi, raccontando con dati oggettivi una realtà spesso amara. è proprio con questa amarezza nell’anima che il poeta inizia la silloge partendo da una Domenica memoriale in cui “No future scrivevano i punk / con vernice nera sui muri scrostati / della città negli Anni Settanta / qualcuno del gruppo se l’è divorato l’eroina...” E poi il ritorno alle abitudini quotidiane “senza futuro” di un presente monotono, il Lunedì, che sa tanto del pessimismo esistenziale delle maschere pirandelliane “Eclisse  dei sentimenti e della musica / in quest’oscuro / presente senza futuro - albeggia sulla città / sui giardini racchiusi / tra i palazzi come uova nel nido -”. Ma si può ricominciare? “...non è impossibile / sgomberare l’armadio dai vecchi abiti / accatastare libri [...] / gettare vecchie carte [...] / tagliarsi i capelli [...] / ripulire dalle scorie i bassifondi dell’anima / [...] / predisporre il rituale delle ceneri / disperse al vento [...] e non pensarci più”. Quanto amara quella soluzione delle ceneri disperse al vento del Martedì! o quella “...pena / ostinata di sopravvivere” che “ tiene / ancora insieme le fragili / ossature di questa / nostra casa sulla golena” del Mercoledì. Forse l’amore... “...ma tu non ci sei - non esisti -”. Forse la speranza... “tutti ripetono: domani è un altro giorno”. Ma “Il domani che tu insegui ti sfugge sempre / tra le dita. E ancora spunta un’altra / alba livida di pena”. E anche il Sabato non è altro che “Vivere fino all’ultima  stilla la vecchiaia e il dolore / è questo che ci aspetta / la poetica della ginestra / si riduce a questo orrore”. A chiudere, un poemetto in trittico forgiato su Case celesti che non ci appartengono o sulle nostre sbilenche case che sorgono “sui detriti alluvionali su faglie / tettoniche in attesa del big - one / su pendici vulcaniche in continuo sussulto / magmatico su dune / di sabbia itineranti nel vento [...]” e che stagliano un senso di quanto mai struggente caducità sull’orizzonte della vita umana. “Alla fine non resta / che la casa dell’anima dove rifugiarsi / chiudendo stretti gli occhi bloccando / il respiro” e la conferma che “Nel buio / sottoterra o nelle ceneri / disperse al vento il ciclo si perpetua / nell’orrore del vuoto panta rei”. Ma proprio nella perpetrazione del ciclo dell’umano forse sta quell’inconscia religiosità laica che vince i confini del singolo e, con la poesia, si estende alla sommità del tutto in Luciana Tagle.   

                                                                             Nazario Pardini

Ottobre 1999


           Prefazione            
a
Un polso ferito, Il Portone/Letteraria, Pisa 1999. Pp. 32
di
            Luciana Tagle






La preghiera alla divinità pagana Nekuia  “Dammi, ti prego, il sangue e vita e amore / e giovinezza ancora e rimembranza................../ Nekuia” dà inizio alla silloge Il polso ferito che si snoda attraverso un percorso memoriale e meditativo-esistenziale di profonda intensità lirica. L’ “erma corrosa dal tempo / termine di questa notte / sul ponte buio degli anni / Ultimi fuochi” o l’improvviso e inaspettato ricordo “di un collettino di pizzo / Souvenir” o l’accorato “Addio, Ale!“ come grido “collettivo Date Lilia” a contraddire il senso della fine, o ancora l’invocazione all’emblematica Euridice “Lasciati risucchiare dall’altra parte, ove non sai / che cosa troverai....... Euridice “ sono alcuni dei tanti momenti che possono acquisire funzione simbolica nella vita di ognuno. Momenti di un tragitto che l’autore riesce a concretizzare in immagini poetiche suggestive sorrette da uno stile moderno e forbito come quello di Orsa Minore dove già la citazione del Divino Poeta non viv’egli ancora? Non fère gli occhi suoi lo dolce lome? ci prepara ad uno dei momenti di maggiore intensità del percorso poetico dell’opera. Il memoriale si fa qui “ Sassi appuntiti non erosi dal tempo / .....mentre contemplo le costellazioni / ........per rivivere quelle emozioni / e chiamarti tanto a lungo finché tu risponda./ “ Il disegno dell’Orsa Minore con le stelle di mare poste a essiccare sul muro costituisce il segreto intimo del poeta di poter tessere quel filo di continuità tra il reale caso dell’essere e l’imperscrutabile senso dell’esistere in cui la memoria “pur sassi appuntiti” assurge in fondo a valore di vera sconfitta che possiamo infliggere alla morte.Ma  “né sassi né stelle potranno ridarmi le tue parole / quelle parole crudeli scansioni del mio pensiero. / ” è qui che l’autrice dimostra tutta la sua forza d’attaccamento a una vita costituita per la maggior parte di momenti  riaffioranti da un vissuto tanto incisivo da continuare a implodere con vitalità dentro di lei. Ed è proprio in questo binomio “di corone di spine” e coerenza di forma che il più delle volte si attua il tanto difficile e non meno misterioso miracolo dell’arte, per Lorca polso ferito che cerca di sondare le cose da un altro lato.


                                                              Nazario Pardini
    Settembre 1999

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